di Fulvio Fammoni*
Essere esposti al maggior numero di opinioni possibili per realizzare la scelta più consapevole. Questo è il presupposto del finanziamento pubblico e diritto soggettivo per l’editoria. L’iniziativa del governo, di taglio ai fondi e al diritto, cancella questo concetto di democrazia, con ricadute pesantissime sulle testate e sull’occupazione.
L’editoria, un settore già in forte difficoltà, risente degli effetti della crisi e il governo che fa? Risponde con tagli e creando l’impossibilità di rivolgersi al sistema creditizio, mettendo in crisi il futuro di decine di testate e di oltre 4000 lavoratori.
In Parlamento esiste una maggioranza favorevole a risolvere il problema ma il governo si oppone e ricorre alla fiducia. Perché?
Non si usi l’alibi per giustificarsi di sprechi o distorsioni, perché gli operatori hanno avanzato rigorose proposte di intervento. Ma è evidente che non è il rigore che si vuole fare, né tantomeno una vera riforma.
La risposta non può che essere duplice. Da un lato il futuro del sistema di comunicazione, i temi del pluralismo e libertà di informazione, al centro della manifestazione del 3 ottobre.
Dall’altro il tema della concentrazione e del monopolio che arriva a ignorare il futuro dell’impresa e dell’occupazione.
Siamo ad una nuova fase del conflitto di interessi: la sua palese ostentazione. La priorità di questi giorni è l’editoria, ma è giusto ricordare la tastiera vasta su cui il governo si va muovendo: decreto sulle TV, Internet, pubblicità, produzione culturale, distribuzione e sullo sfondo norme sulle intercettazioni, il futuro di Telecom e la prossima fine della norma che prevede l’impossibilità per editori televisivi di comprare giornali. Il metodo è molto diverso rispetto al passato. Interventi spezzettati, diluiti nel tempo, inseriti in provvedimenti diversi; più difficili da far capire e da contrastare, ma non per questo meno incisivi e chiaramente parte di un unico progetto.
Se la reazione è troppo forte li si accantona, ma non si rinuncia, e l’editoria ne è un esempio evidente.
A questo stato di cose occorre reagire con la necessaria determinazione. La nostra iniziativa non può essere relegata al ruolo di limitazione del danno, cosa pur utile e necessaria, ma deve avere l’ambizione di un progetto alternativo.
C’è un tessuto grande di società in campo per la libertà e il pluralismo dell’informazione.
Chiede chiarezza nei contenuti e certezza di continuità nell’iniziativa. Deve esser nostro impegno contribuire a proporre una piattaforma di contenuti e un concreto programma di iniziativa a suo sostegno che tutti, ognuno mettendo da parte qualche particolarismo, dobbiamo impegnarci ad avanzare in tempi rapidissimi.
Per tutto questo, a partire dai diritti dei lavoratori per la tutela del pluralismo, l’iniziativa sull’editoria è decisiva, una priorità.
Tutte le azioni proposte devono essere sostenute: appelli alle più alte istituzioni della Repubblica, raccolte di firme fra i parlamentari, pagine coordinate di denuncia fra le testate, verifiche legali e come sempre le iniziative di mobilitazione, a partire dal fissare una prima giornata di lotta, e se necessario anche di sciopero.
Il problema non può essere di quelle 100 testate e di quelle migliaia di lavoratori, è di tutti coloro che si battono per il pieno rispetto dell’art.21 della Costituzione e per la tutela del lavoro.
E il governo deve sapere che questa iniziativa durerà. Durante la discussione del milleproroghe alla Camera, se non dovesse bastare durante la predisposizione al decreto sviluppo e così via.
Continueremo fino a risultati concreti e definitivi.
*dal Manifesto