di Stefania Pezzopane
E’ diventata aquilana in 700 ore Sabina Guzzanti, il tempo necessario di girare il materiale del suo documentario. Per lei non potranno esserci richieste di cittadinanza onoraria, eppure, anche lei come la Protezione Civile, ha reso un grande servizio a L’Aquila. La Protezione Civile ha soccorso la popolazione con ogni mezzo e bene nella primissima emergenza, ha costruito prontamente case per i senzatetto, facendo apprezzare la propria efficienza in tutto il mondo. Sabina, portando nella platea di Cannes (e non poteva certo essere Venezia) un riequilibrio dell’informazione, ha reso un po’ di giustizia alla fama di ingrati e piagnoni che era stata incollata addosso agli aquilani per via dell’abile e violenta disinformazione che il Governo aveva orchestrato alla perfezione sul set del terremoto, anche tramite maliziosi lapsus verbali che nel racconto dei fatti scambiavano sistematicamente la “costruzione” ex novo di new town prefabbricate, imposte e decontestualizzate, con la “ricostruzione”. Cosa ben più difficile.
Il vero miracolo oggi, per gli aquilani, sarà convincere il Governo a destinare risorse al ripristino di una città che è fra i primi 20 capolavori d’arte italiani. Di questo si dovrà parlare sulla stampa.
Alla Guzzanti va dunque un grazie commosso per aver rotto il muro del conformismo giornalistico imperante, schiacciato, tolti alcuni casi isolati, sul “tutto risolto”.
Mi auguro che le platee intellettuali che guarderanno il film, non siano la solita minoranza lasciando alla gran parte dell’opinione pubblica la favola dell’Aquila del miracolo berlusconiano.
Dal punto di vista registico, l’operazione della Guzzanti ha molti meriti. Ho letto un doppio canale informativo che divideva con molta onestà il commento di una antiberlusconiana dichiarata, dai fatti veri e propri. Alla voce fuori campo dell’artista-giornalista erano affidate le considerazioni soggettive, e al puro concatenarsi dei fatti il racconto della realtà, condito dalle voci dei protagonisti del terremoto. La scelta ulteriore di privilegiare per la maggior parte voci favorevoli all’azione del Governo oltre che onesta è stata particolarmente efficace per sottolineare come la manipolazione abbia fatto proseliti in primis fra le stesse vittime del disastro. Un disastro che non è solo quello del terremoto, ma della stessa speculazione propagandistica, d’immagine, edilizia, e tutto quello che ancora ha da venire. Nonché dell’abbandono a cui L’Aquila è stata lasciata a marcire: milioni di tonnellate di macerie nelle strade (il Ministro Prestigiacomo aveva annunciato la rimozione in due settimane alla vigilia delle ultime elezioni), risorse irrisorie per una ricostruzione che neanche comincia dopo un anno, il nulla assoluto per la ripartenza delle piccole economie locali.
Una frase del film è la summa di tutta la vicenda:” Quando gli aquilani si sono accorti di essere stati gabbati, le telecamere erano ormai spente”, o impegnate su altri scenari, come Messina, Hayti, il vulcano, le scandalose inchieste su ministri e faccendieri, la crisi greca”. Una strategia comunicativa infernale che ha inventato proprio Berlusconi, e che nessun altro può usare come lui che le telecamere le comanda a suo piacimento. Giocarsi l’asso a telecametre accese e riservarsi le scartine quando il pubblico è distratto ed il popolo non ha più voce e microfoni per protestare. Da soli possiamo poco o nulla contro questo pachidermico meccanismo.
Questa la violenza fatta agli aquilani, a cui è stata rubata la città dal terremoto, ma la verità ed il futuro, dal Presidente del Consiglio, con la complicità dei suoi servi e adulatori che gli hanno prontamente allestito i vari set sulle macerie, mostrando solo i successi e ignorando i problemi veri da affrontare. Nessuno pretendeva che si risolvessero con uno schioccar di dita, ma neppure che venissero nascosti al resto del mondo, facendoci passare per incontentabili.
Sabina ha saputo cogliere tutta l’amarezza di 70.000 vite da terremotati. Molti di noi ancora non risolvono neppure il problema dell’emergenza, in esilio forzato, come sono, in hotel lontani e in caserme.
Non mi sento affatto disonorata né come aquilana né come italiana dalla verità della Guzzanti. A disonorare l’Italia non è chi racconta i misfatti, ma chi i misfatti li consuma, come la stessa Sabina ha ricordato ieri durante la proiezione, davanti a migliaia di persone. Spettatori autoctoni che hanno apprezzato commossi e che guardando quel racconto hanno provato sollievo.
Una verità che finora non era stata mai detta così bene. C’è chi oggi non può far altro che minimizzare bollando Draquila come uno dei tanti punti di vista. Ma da aquilana vi assicuro, se punto di vista è, è quanto di più vicino alla realtà vissuta da ciascuno di noi. E soprattutto, un punto di vista che finora non era mai riuscito a scavalcare la prepotenza e la sfacciataggine della verità ufficiale dei telegiornali.
L’Aquila non si ricostruisce senza verità. E Sabina Guzzanti ha messo la prima pietra.