di Marialaura Carcano
Il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia ha lanciato un appello al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi affinché vengano presentati dal governo "robusti emendamenti alla legge in discussione sulle intercettazioni". Il procuratore aggiunto, che si occupa delle inchieste più delicate di mafia, ha detto: "Ho apprezzato molto le dichiarazioni del presidente Berlusconi quando dice, parlando del dilagare di fatti di corruzione, che 'chi ha sbagliato deve pagare'.Credo anche che sia importante essere conseguenziali e che occorrerebbero emendamenti alla legge se si vuole davvero che i corruttori rispondano dei reati commessi e che la magistratura possa svolgere il ruolo di tutela della collettività fino in fondo".
Abbiamo chiesto a Antonio Ingroia di mettere in ordine di importanza gli emendamenti che ritiene necessari al Ddl in discussione in Commissione Giustizia al Senato.
Ecco i più importanti sul piano investigativo: per Ingroia il requisito dei 'gravi indizi di reato' necessario per autorizzare le intercettazioni deve rimanere una dicitura secca perché nel testo all'esame in Commissione Giustizia del Senato sono stati inseriti una serie di paletti che riconducono alla sussitenza della prova e quindi riportano, in sostanza, alla necessità di sussitenza di 'gravi indizi di colpevolezza' che era la prima dicitura della legge fortemente restrittiva per autorizzare il ricorso alle intercettazioni.
L'intercettazione, di fatto, nelle indagini serve sempre di più a raccogliere prove. Richiedere che le prove siano antecedenti alla disposizione dell'intercettazione significa riportare indietro l'orologio della storia della lotta alla criminalità. Significa spuntare le armi alle indagini che oggi sempre di più si avvalgono di strumenti tecnologici un tempo inesistenti, strumenti che hanno consentito consistenti passi avanti nell'individuazione dei colpevoli di svariati reati e nella prevenzione anche di nuovi delitti. Una posizione che Ingroia ha illustrato ampiamente nel suo libro C'era una volta l'intercettazione, edito da Stampa alternativa.
Ingroia sostiene inoltre che vada eliminata la equiparazione tra intercettazioni, analisi dei tabulati telefonici e videoriprese. Il magistrato deve poter utilizzare questi due ultimi strumenti di indagine anche senza 'i gravi indizi di reato'.
C'è una differenza sostanziale che va mantenuta tra intercettazione e incrocio dei tabulati telefonici. Nel primo caso infatti si ha modo di ascoltare i contenuti di conversazioni anche private. L'analisi dei tabulati telefonici consente invece di avere informazioni sulla rete delle relazioni personali di un soggetto, attraverso l'analisi del suo traffico telefonico e delle utenze che incrocia, il diritto alla privacy è interessato in modo sostanzialmente diverso rispetto alla intercettazione e non ha senso una equiparazione tout cours.
Per quanto riguarda le video riprese, l'equiparazione porta al paradosso che quelle effettuate senza l'autorizzazione preventiva saranno inutilizzabili ai fini processuali. E così anche in presenza di un filmato che riprende una rapina o uno stupro quella prova non potrà essere usata nei confronti dei malfattori. Inoltre, dall'equiparazione delle videoriprese alle intercettazioni anche la polizia non potrà più predisporre un apparato di ripresa se non in presenza di 'evidenti indizi di reato' e di un'autorizzazione del Tribunale. Ovvero con molto ritardo rispetto al momento in cui si compie un reato.
Il termine di 60 giorni di tempo per intercettare nelle indagini per Ingroia è del tutto insufficiente. Ci si potrebbe trovare nelle condizioni in cui al 61esimo giorno di intercettazione di un'utenza, quando comincia a dare risultati importanti sul piano delle indagini, il magistrato sarà costretto a ordinarne l'interruzione alla polizia giudiziaria. Tutto questo per scadenza dei termini, troppo brevi.
Altro punto messo in evidenza dal procuratore aggiunto di Palermo è quello dell'utilizzabilità delle intercettazioni in un procedimento diverso da quello per cui sono state disposte. Con la nuova legge ci si potrebbe trovare nelle condizioni di non poter utilizzare una intercettazione che 'casualmente' ha portato all'individuazione di un reato diverso perchè raccolta in un altro procedimento.
In realtà nelle indagini sono molti i casi in cui si intercetta seguendo una pista per scoprire altri crimini.
La tutela della collettività, che non è un principio secondario alla tutela della privacy, passa anche dal diritto del pubblico a sapere e farsi una opinione. Una volta tutelato il segreto investigativo spiega Ingroia, è necessario il ripristino della libertà di pubblicazione degli atti non segreti mentre il Ddl vuole vietare anche la pubblicazione degli atti non coperti da segreto investigativo (quindi anche quelli pubblici, già a disposizione delle parti o per esempio già utilizzati in un dibattimento) fino al limite dell’udienza preliminare.
Per ora l'emendamento che prevedeva l'inasprimento delle pene per la stampa è stato ritirato. 'Per stemperare le polemiche' ha detto il relatore del provvedimento Centaro (Pdl).
Ma non è un gran passo avanti: resta quanto stabilito nel testo licenziato dalla Camera lo scorso giugno: l’arresto per i giornalisti fino a 30 giorni invece che 60, le multe fino a 10 mila euro anziché 20 mila, la sospensione temporanea dalla professione. Ieri è passato l'emendamento che prevede multe salatissime per gli editori che pubblicano atti processuali o intercettazioni vietate che saranno condannate al pagamento di una somma che va dai 65 ai 465 mila euro.
Tutto questo ha una evidente ricaduta sulla libertà dei giornalisti e sul diritto del pubblico ad essere informato. Quand’anche un giornalista fosse propenso a rischiare un mese di carcere, a pagare di tasca sua, a essere sospeso dalla professione ci sarà sempre un editore che non è disposto a pagare decine di migliaia di euro.
"Più ancora che come giornalista mi sento offesa come cittadina - di Bice Biagi / "Introducono l'omertà di stato. Intervista al giornalista di Repubblica Attilio Bolzoni - di Nello Trocchia