di Ahmad Rafat *
È passato un anno da quel 12 giugno, quando Mahmoud Ahmadinejad è stato rieletto per un secondo mandato, in elezioni i cui risultati sono stati fortemente contestati dalla popolazione. Un anno di proteste, ma anche un anno di feroce repressione. Migliaia di arresti, un centinaio di morti, diverse esecuzioni e una valanga di condanne durissime. Questo, in poche parole, il bilancio del primo anno del secondo mandato di Mahmoud Ahmadinejad. Un mandato iniziato con il sangue. Il prossimo 20 giugno è infatti l’anniversario dell’assassinio di Neda Agha Soltan, la ragazza di 27 anni, uccisa con un colpo al cuore, mentre manifestava contro i brogli elettorali.
Come ormai avviene da anni, sono sempre i giornalisti a pagare il prezzo più alto. Dal 12 giugno 2009 al 12 giugno 2010 sono stati arrestati 170 tra giornalisti e bloggers. Tra questi 32 sono donne. 22 tra giornalisti e bloggers sono stati condannati ad un totale di 135 anni di detenzione. 85 giornalisti e blogger sono in attesa di giudizio. 100 milioni di euro è la cauzione versata dai giornalisti per uscire dal carcere in attesa del processo. 23 sono i giornali e le riviste chiuse negli ultimi 12 mesi. 37 sono invece i giornalisti e i blogger ancora in carcere. Alcuni di loro torturati brutalmente, come Ahmad Zeidabadi, noto editorialista e collaboratore della Bbc. Altri, come la giornalista Hemgameh Shahidi, o come il giornalista Emadeddin Baghi, sono gravemente malati. Questi dati fanno dell’Iran la più grande prigione di giornalisti e bloggers, dopo al Cina. Un centinaio i giornalisti sono stati costretti ad abbandonare legalmente o illegalmente il paese. Un giornalista, Ali Reza Eftekhari, 29 anni, è stato ucciso il 15 giugno 2009, in circostanze ancora da chiarire. Ali Reza Eftekhari lavorava per il quotidiano economico Abrar Eghtesadi.
I giornalisti, che nel passato, chiusi i giornali e rimasti disoccupati emigravano sul web, dopo l’acquisto della società pubblica di telefonia e comunicazione da parte dei Guardiani della Rivoluzione, non riescono più ad avere nemmeno accesso al mondo virtuale. Chi riesce a sfuggire alle maglie della censura sbarcando nel mondo virtuale, diventa preda di cyber-jihad. Questo è il nome che i Pasdaran, le Guardie della Rivoluzione, hanno dato alla loro unità di hackers, e che secondo fonti ufficiali, è composta da 20.000 persone. Questo esercito internauta ha una presenza così diffusa nel mondo virtuale, da scovare e oscurare anche il sito di un piccolo comune sardo che pubblica la notizia della presenza sull’isola di due scrittori iraniani per parlare dell’Onda Verde.
La vita è diventata difficile a Teheran, anche per la stampa internazionale. Diversi giornalisti stranieri sono stati fermati dalla polizia iraniana, alcuni incarcerati e altri espulsi. Diverse testate straniere, tra cui l’italiana ANSA, hanno dovuto momentaneamente richiamare in patria i propri giornalisti, per evitare “spiacevoli incidenti”. Il governo di Ahmadinejad, ha pubblicato un elenco di testate giornalistiche internazionali, oltre che fondazioni e associazioni, con le quali i cittadini iraniani dovrebbero evitare di parlare. Tra questi la BBC, Radio Free Europe, Voice of America, Al Jazeera e Al Arabya.
Se prima in Iran non esisteva la libertà del “dopo pubblicazione”, oggi non si può pubblicare nessuna critica, nemmeno se firmata da un giornalista “amico”. E’ infatti “ospite” di una cella del carcere di Evin, sottoposto a torture fisiche e psichiche, Mohammad Nourizad, un giornalista fedele alla Repubblica Islamica e fedele alla Guida Suprema, che scriveva su Kayhan, il giornale più conservatore e filogovernativo della capitale. La “colpa”, per la quale si trova in carcere dal mese di gennaio, quella di aver scritto una lettera indirizzata all’Ayatollah Seyyed Ali Khamenei, nella quale criticava alcuni abusi commessi dal governo di Mahmoud Ahmadinejad.
I giornalisti iraniani all’estero, oramai oltre un migliaio, hanno deciso di dar vita ad una loro associazione, dopo che il sindacato indipendente dei giornalisti in Iran è stato chiuso e i suoi massimi dirigenti messi in carcere. Con sede in una capitale europea, questa associazione vuol farsi portavoce dei colleghi rinchiusi nelle celle della prigione di Evin, o costretti a vivere in un carcere più grande chiamato Iran. Questa associazione, che molto probabilmente nascerà alla fine dell’estate con l’aiuto della Federazione Internazionale dei Giornalisti (Fij), potrà sopravvivere solo se le associazioni di categoria nei paesi democratici, soprattutto in Europa, sosterranno l’iniziativa. La libertà di stampa, infatti, è un bene irrinunciabile, non potrà esserci piena libertà di stampa in nessun paese se in qualche altro paese l’opinione pubblica non ha diritto ad essere informata liberamente.
* Fondatore dell’Iniziativa per la Libertà d’Espressione in Iran e membro dell’esecutivo dell’Isf