di Ennio Remondino
Si chiama “animus donandi” e può essere una forma politicamente generosa ma amministrativamente illegittima per spendere soldi pubblici non dovuti. E la Corte dei Conti del Lazio emette sentenza: chi sbaglia paga, ma lui personalmente, il singolo Consigliere di amministrazione o vertice aziendale che quei soldi pubblici ha “regalato” a qualche super dirigente amico. Non so perché ma, quella notizia, individuata per caso in una giornata di lettura più rilassata, mi sembra di rilevante attualità. La sentenza riguarda le Ferrovie dello Stato ma, azzardo, potrebbe valere per molte altre aziende “private” vincolate agli obblighi del diritto pubblico, visto che il loro solo azionista è il ministero del Tesoro. La Rai, ad esempio. Restiamo alla cronaca. “L’illegittima erogazione” punita dalla Corte dei conti riguarda ben 4 milioni e mezzo di euro. Il fortunato fruitore di tanta generosità è l’ex amministratore delle Fs Cimoli al momento del suo autolicenziamento per passare ad Alitalia. Come sia andata a finire alle due aziende sotto tale direzione lo sappiamo. Le vittime di tanto “animus donandi”, tre consiglieri di amministrazione che avallarono allora il pagamento e che oggi, dovranno risarcire di tasca loro “l’ingente danno erariale” provocato. Non male. Non male davvero.
Proposta di riflessione politico-giuridica a lavoratori e sindacati di altre aziende “Semipubbliche”, vedi la Rai di cui sopra. Tutta teoria, ovviamente la mia. Ragionamenti dal mondo di Fantastilandia. Prima domanda. Possibile continuare ad assistere a sperperi spesso clientelari senza poter in alcun modo ritorcerli contro mandanti ed esecutori? Dubbio numero 2. Possibile che reiterate e plateali violazioni contrattuali destinate ad essere dovutamente risarcite dalla magistratura possano essere adottate come sistema soltanto per guadagnare tempo (opportunità di politichetta o di equilibri aziendali del momento), ben sapendo che questo alla fine costerà un sacco di soldi all’azienda di capitale pubblico che tu sei chiamato a dirigere? Il quesito numero 3 viene dal cuore ingenuo di Fantastilandia. Possibile che non esistano responsabilità personali e dirette del vertice che ha firmato il danno e della catena di comando che l’ha o avallato o eseguito senza esercitare la proprie dovute responsabilità di gestione e controllo? La volontà dell’atto ed il servilismo dell’esecuzione, ad intenderci. Insomma, non dovrebbe esistere ovunque una sorta di Fata Turchina equa e imparziale in grado di evitare o almeno di punire gli eccessi più scandalosi di “animus donandi” o di “animus escludendi”?
Dal mondo della fiabe alla nostra dura realtà, il quesito lo vorrei porre ai sindacalisti e alla sapienza giuridica, ad esempio, dell’amico avvocato D’Amati. Facciamo un esempio senza fare nomi. Devi risarcire un direttore trombato per ragioni politiche e, per evitare una causa già pronta e dargli un posto, trombi un altro professionista piazzato -per pura ipotesi- all’estero. Lo richiami in Patria senza dargli incarico e lui, ovviamente, s’arrabbia. Blocchi una prima causa di lavoro (forse) ma ne apri una seconda che sai di essere destinato platealmente a perdere. Guadagni tempo e perdi soldi. Il professionista coinvolto nel frattempo perde ruolo, dignità e spesso salute. Considerazione amara: possibile che in tutte queste vicende, alla fine paghi sempre e soltanto Pantalone? La braga in questione è quella sempre meno abbondante dell’Azienda che rappresenta la cassaforte ed il futuro di tutti. Quesito serio, questa volta. All’apertura di una causa di lavoro, oltre a citare l’Azienda e chiedere il riconoscimento dei propri diritti contrattuali, è possibile rivalersi personalmente su chi ha deciso provocando il danno? Banale aspirazione boyscautistica, forse. Oppure rivoluzionaria.