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Articolo 21 - INTERNI
Caro Marino, parliamo di Fini
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di Loris Mazzetti*

Caro Marino, parliamo di Fini

Caro Senatore Marino, mi rivolgo a lei perché la ritengo uno dei pochi politici non inquinati: per lei buongiorno significa ancora buongiorno. La sento lontana dal dibattito che in questi giorni corre lungo l’intera penisola: tutto è lecito pur di mandare a casa Berlusconi, anche fare squadra con chi è stato l’erede di Almirante che fu ufficiale della Repubblica di Salò, Gianfranco Fini. Più di ogni altro dirigente del Pd lei rappresenta la base, quel popolo straordinario che ancora con grande entusiasmo dà vita alle feste dell’Unita o del Pd. Donne e uomini che in tutti questi anni hanno accettato ogni decisione della classe dirigente. La Cosa uno, poi la Cosa due, dal Pds ai Democratici di sinistra, infine il matrimonio con la Margherita e la nascita del Partito democratico. Hanno continuato a cucinare anche quando hanno capito che il nuovo partito li avrebbe portati a vivere sotto lo stesso tetto con: ex democristiani, socialisti craxiani, industriali, ma anche con ex piduisti, tanti massoni e qualche pregiudicato.

La tentazione del compromesso
Molti degli attuali dirigenti vivono nel compromesso da quando hanno governato il Paese (dalla discesa in campo del Cavaliere, 1994, il centro-sinistra è stato a Palazzo Chigi, escludendo l’esecutivo Dini, sette anni, poco meno dello stesso Berlusconi), hanno volutamente evitato di realizzare la legge sul conflitto di interessi che avrebbe risolto il problema della nostra democrazia. Le ricordo le parole di Violante pronunciate nel 2003 durante un intervento alla Camera: “Sin dal 1994 Berlusconi aveva avuto la garanzia che le sue tv non sarebbero state toccate”. 
Quel popolo straordinario di volontari che serve ai tavoli un piatto di linguine allo scoglio e uno di salsiccia alla griglia, rinunciando alla ferie, si chiede perché nonostante quello che magistrati e giornalisti hanno scoperto del mondo berlusconiano (escort, ricatti di ogni genere, P2, P3, cricche varie, protezioni incivili, corruzione da far invidia a Tangentopoli), per mandare a casa il governo dei Scajola, Verdini, Cosentino, Bertolaso, Dell’Utri, Brancher, il Pd ha bisogno di Gianfranco Fini?  Bersani e Letta, segretario e vice, sono stati chiari, con Fini la nuova alleanza, e se ci staranno anche Casini e Rutelli l’alleanza diventerà santa. A quei compagni che hanno fatto la Resistenza, che credono nel valore della Costituzione, nella giustizia sociale, nella “questione morale” di Enrico Berlinguer, nella memoria di Falcone e Borsellino come valore, nella forza della parola di Roberto Saviano, nella ricerca della verità che deve essere al primo posto su tutto, come giustificherà la scelta della santa alleanza? Citerà Montanelli e il suo “turiamoci il naso”?

La violenza del gangster                                                                                        
Caro Senatore, lei si rende conto che è a loro che bisognerà spiegare che per sconfiggere Berlusconi è necessario sedersi a tavola, sedia contro sedia, gomito contro gomito, con il cofondatore del Popolo della libertà, che non si chiama Paolo, che non ha viaggiato sulla strada di Damasco e che non è stato folgorato.  Fini ha impiegato ben diciassette anni per convertirsi, ha impiegato diciassette anni per capire che Berlusconi è un plurinquisito, e, per salvarlo dalla galera, si è reso disponibile a votare 39 leggi ad personam. E’ stato colluso per diciassette anni con un, come lo ha definito Flores D’Arcais, “gangster al potere”.                                                                 
Il presidente della Camera, sta vivendo un periodo difficile (lo strappo da Berlusconi,  affari immobiliari da chiarire meglio, le volgarità dei giornali della famiglia del Cavaliere contro la moglie), sta provando sulla sua pelle la violenza del “gangster”, come tanti altri prima di lui, in quei casi però, si è girato dall’altra parte e ha fatto la figura della bertuccia: non vedo, non sento, non parlo. Questo sarebbe il futuro alleato da proporre ai volontari delle feste?
Caro Senatore, è certo che non ci sia un’alternativa al metodo Montanelli?                
Vogliamo parlare dei fatti accaduti nel 2001 al G8 di Genova? Qui neanche una pozione magica è in grado di giustificare la presenza di Fini (allora vice di Berlusconi alla presidenza del Consiglio), nella sala controllo della Questura, mentre la polizia per le strade eseguiva ordini che ricordano il Pinochet degli anni migliori.
Ritorniamo alla tavola. Di fianco c’è Fini, e ci stiamo turando il naso, se fronte capitano alcuni suoi camerati d’avventura come Enzo Raisi (quello che da anni lotta per far togliere dalla lapide, che ricorda le vittime del 2 agosto 1980, la dicitura: “strage fascista”) o Fabio Granata (pupillo, insieme con il sindaco Alemanno, di Pino Rauti il fondatore di Ordine nuovo), cosa consiglia di fare? Turarsi, oltre al naso, la bocca? Così si rischia di non respirare.
Non crede, caro Marino, che le alleanze potrebbero essere diverse se si ha la volontà di guardare da un’altra parte? Lei potrebbe dare l’esempio cominciando a dialogare con chi ha dimostrato di essere trasparente e senza scheletri nell’armadio, come Luigi De Magistris, Sonia Alfano, Debora Serracchiani, Giuseppe Lumia, Beppe Giulietti, con il partito di  Vendola e Fava, e soprattutto con la società civile che è stanca di assistere agli intrallazzi dei partiti attraverso i quali tutto si giustifica. Forse non ci sarebbe bisogno di apparecchiare una tavola che nascerebbe traballante sin dall’inizio e sarebbe una risposta a tutti quelli che da anni aspettano, come Nanni Moretti, che qualcuno dica finalmente qualche cosa di sinistra.       

* “Il Fatto Quotidiano” – 21 agosto 2010


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