di Roberto Morrione
C‘era una volta l’inchiesta televisiva…Ha segnato pagine memorabili nella storia del Paese, ampliato la conoscenza e il senso critico degli italiani, accompagnato la società dopo la ricostruzione e il boom economico, allargato al mondo lo sguardo degli spettatori, attraversato il terrorismo e la strategia della tensione, illuminato le stanze opache del potere, denunciato il dilagare delle mafie, del malaffare, della corruzione diventata sistema. In un Paese che non legge, dove la vendita dei giornali è ferma da sessant’anni a una soglia irrisoria, dove è fortissimo l’analfabetismo primario e di ritorno, ma dove – come attestano sondaggi del Censis e dell’ISTAT – per la stragrande maggioranza di famiglie è la televisione la fonte sostanziale di conoscenza, di formazione del senso comune, di modelli di comportamento, di consumo, di identificazione civile e politica. Pagine memorabili, dunque, realizzate da generazioni di giornalisti televisivi in gran parte sotto l’ala della Rai, ma successivamente anche in alcuni settori dell’emittenza privata e della parte più evoluta delle TV locali. Sempre fra difficoltà, polemiche, strumentalizzazioni, condizionamenti politici tramutati in limiti editoriali, tentativi del potere di tracciare confini di censure e
autocensure, ma tuttavia vincenti nell’immaginario e nella memoria degli spettatori.
C’era una volta, come nelle fiabe, perché la realtà dell’inchiesta televisiva è cambiata. La programmazione ne ha via via ridotto gli spazi, emarginandola, svuotandone i contenuti, costruendo modelli “leggeri” ben lontani dall’affrontare in profondità temi e segreti scottanti. Vi hanno contribuito interessi che nulla hanno a che fare con le finalità del giornalismo, ma che rispondono a logiche di potere, alla ricerca del consenso politico evitando argomenti scomodi, alla caccia di un mercato fatto di pubblicità, di gossip, di consumo a ogni costo. Sulla scia di una deriva culturale improntata al protagonismo, all’emozione, agli effetti speciali della parola, i modelli stessi dell’informazione televisiva sono in gran parte mutati, sostituendo lo studio televisivo e il talk show al confronto diretto che scava nella realtà, utilizzando frammenti raccolti nel vivo della società e nel mondo come semplici pillole per la mediazione del ceto politico, dei rappresentanti dei “palazzi” e di “esperti” che esprimono quasi sempre la volontà dei vari poteri forti. La stessa evoluzione tecnologica, che potrebbe sviluppare l’inchiesta, sprovincializzandola e fornendo nuove fonti e strumenti di verifica, è stata utilizzata per centralizzare l’organizzazione del lavoro redazionale, spesso sfruttando la forza-lavoro di precari contrattualmente non garantiti, allo scopo insieme di ridurre i costi e di controllare maggiormente il prodotto. Al gigantesco conflitto d’interessi del presidente del consiglio, con l’occupazione capillare dell’impero televisivo e dello stesso Servizio Pubblico, del quale stiamo vedendo effetti devastanti in questo drammatico scorcio della vita nazionale, a partire dall’annullamento in veste elettorale di ogni dibattito giornalistico nella Rai, si sono sommati i limiti della categoria, l’opportunismo di direttori etero-diretti da chi li ha posti in quel ruolo. E l’inchiesta televisiva è stata così svirilizzata, emarginata, ridotta a poche eccezioni, che pure se collocate nella giusta programmazione riscuotono grandissimo interesse negli spettatori, come attestano su Rai 3 gli impatti di Report e delle dirette di Iacona o, per la stessa Mediaset, ciò che resta de Le Iene.
Fra queste eccezioni, da anni ha un ruolo rilevante il nucleo delle inchieste investigative di Rai News 24, coordinato da Maurizio Torrealta. Una piccola squadra affiatata, che lavora su scala multimediale da quando la formai cinque anni fa, mentre dirigevo il Canale, partendo dall’inchiesta di Sigfrido Ranucci sull’uso del micidiale fosforo bianco da parte degli americani nella battaglia di Fallujah. Dalla dimensione internazionale, che ha denunciato al mondo aspetti sconosciuti come la progettazione e l’uso di armi e ordigni non convenzionali nei conflitti in Iraq, Afghanistan, Libano, quel nucleo ha esteso il raggio d’azione, con la nuova direzione di Corradino Mineo, illuminando ogni settimana in Italia deviazioni istituzionali, scandali amministrativi, corruzioni, contiguità fra politica e affari criminali, situazioni sociali disperate. Un modello produttivo che, con costi bassissimi, in media non più di 2.500 euro per ogni inchiesta di 24 minuti, ha anche consentito di integrare nel digitale le potenzialità di Internet, di usare direttamente da parte dei giornalisti le telecamere portatili, di sperimentare tecnologie di montaggio e di trasmissione satellitare. E sono venuti i riconoscimenti, il prestigio sul mercato audiovisivo americano, i numerosi premi conquistati dalla Testata ( più volte il Premio Alpi e il Cronista dell’anno) insieme con un’attività didattica di alto livello, che ha proposto le testimonianze di alcuni fra i più prestigiosi inviati internazionali. Un fiore all’occhiello di Rai News 24, dunque, ma più in generale di una Rai ormai omogeneizzata, sommersa da un’informazione banale , allineata, troppe volte addirittura servile, vecchia nei modelli narrativi, sempre più povera di contenuti.. E ciò non ha impedito agli altri settori della Testata di lanciarsi a loro volta in approfondimenti e reportages di qualità, a cui quel nucleo produttivo fornisce l’indispensabile funzione di battistrada e una forza d’innovazione e d’immagine di cui l’intera redazione, secondo la mia antica esperienza, dovrebbe solo andare fiera…
Ora da Facebook viene inopinatamente una consistente voce, suffragata da proteste di spettatori, secondo la quale quel nucleo sarebbe in via di scioglimento, suppongo all’interno di un piano di riorganizzazione del quale non conosco le linee e che comunque non mi permetterei di giudicare, soprattutto nella delicata veste di “ex direttore”. Penso tuttavia e sento il dovere di affermare che in ogni caso una riorganizzazione deve implicare integrazione e non certo liquidazione di uno specifico patrimonio acquisito, ancora di enorme valore professionale e innovativo per la Testata, per il Servizio Pubblico, per spettatori oggi desolatamente orfani di vera informazione. Inoltre sono purtroppo convinto che un’operazione di questo tipo agevolerebbe in futuro gestioni della Testata molto meno aperte e illuminate dell’attuale, che in tanti a ogni livello apprezzano e stanno cercando di difendere, corrodendo ulteriormente i superstiti spazi dell’inchiesta investigativa di eccellenza, oggi già ridotta a una sorta di Fort Alamo.