di Bruna Iacopino
Un laboratorio per condividere esperienze e trovare modalità di intervento che possano essere condivise e soprattutto riproducibili nei contesti più vari. Questo quanto si propone il workshop che a partire da domani e fino al 17, si terrà a Napoli all’interno della Maison de la paix. L’idea è quella di creare un tavolo attorno al quale far sedere persone che per la loro storia personale si sono trovate a combattere, nel vero senso della parola, all’interno di veri e propri scenari di guerra ( dichiarata e non), oppure hanno avuto a che fare con situazione di conflitto anche di tipo sociale, scegliendo nel primo caso, di lasciare le armi, nel secondo di adoperare da subito gli strumenti della non violenza. “Il work—shop” spiega Gianluca Solera, della fondazione Anna Linndh, ente promotore dell’iniziativa – è il primo passo verso la realizzazione di una rete internazionale di cooperazione tra movimenti di ex-combattenti che hanno deciso di scegliere la via della pace”. Nonostante un colpevole silenzio da parte dei media sui temi che riguardano la pace e la non violenza, come rimarcato nel corso della conferenza stampa dal rappresentante degli Enti locali per la pace e i diritti umani Flavio Lotti, e da Michele Cafasso presidente della Fondazione Mediterraneo, esiste una realtà di uomini e donne che dopo aver deposto le armi hanno deciso di mettersi al servizio della pace. E’ questo il caso di Nouraldin Sheada, palestinese di Combatants for peace da ex membro delle brigate Al Aqsa di Fatah. La sua rinuncia alle armi è stata dettata, racconta, dal grande amore per il fratello, in carcere dopo la prima intifada e ferito gravemente dopo la seconda: da lì la decisione di abbandonare la lotta armata e di costituire una fondazione di non combattenti palestinesi, fino al passo successivo, forse il più difficile, l’incontro e il confronto con gli ex-nemici, militari dell’esercito israeliano convertiti alla stessa causa.
Esperienza analoga seppur lontana geograficamente è quella di Gerard Foster, irlandese del Teach Na Failt. Gerard ripercorre il suo ingresso, giovanissimo, in un’organizzazione combattente per l’indipendenza dell’Irlanda, gli anni di galera e l’allontanamento dalla politica fino all’incontro, sconvolgente, per un verso, illuminante, dall’altro, con i famigliari delle vittime…
Storie di uomini, con un nome e cognome, che, semplicemente hanno cambiato strada e vorrebbero provare a convincere molti altri. Il gruppo di Nouraldin, per esempio, può contare già su 500 ex combattenti in Cisgiordania, comprese alcune donne fra cui la sua compagna. A Napoli porteranno la loro testimonianza, come la porteranno israeliani, bosniaci, serbi, croati, turchi e inglesi e accanto a loro ci saranno le associazioni, gli enti, le Ong che promuovono da sempre la non violenza come via privilegiata per la risoluzione dei conflitti: dagli Enti locali per la pace, a Libera, Amref, Arci… Perché come sottolinea il presidente Paolo Beni: “ Mai come in questo momento in Italia è necessario parlare di non violenza…” E in tal senso, una riflessione è d’obbligo ed è legata al tema dell’immigrazione trattata, secondo Beni, in termini “patologici”.
Non violenza dunque, ma nell’accezione dell’incontro e del dialogo, facendo emergere la ricchezza proveniente dal confronto.
E qui l’affondo ai media non poteva di certo mancare: “ Se in occasione dell11 settembre i media avessero dedicato anche un solo trafiletto ai 14 secoli di cooperazione tra mondo arabo e mondo occidentale il seme dell’odio e della paura non si sarebbe instillato così facilmente” il duro commento è di Michele Capasso, che aggiunge: “ Nella giornata di ieri è stato inaugurato il Totem della pace alla Farnesina, dedicato ai militari italiani caduti in Afghanistan alla presenza di Monsignor Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme, alla presenza di ambasciatori, sindaci, rappresentanti di Stato dei paesi dell’area del Mediterraneo, neanche una riga è apparsa sui giornali…”