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L’inferno del Patriarca di Arcore. Tra crisi economica, scene da basso impero e TV di regime muore il “sogno berlusconiano”
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di Gianni Rossi

L’inferno del Patriarca di Arcore. Tra crisi economica, scene da basso impero e TV di regime muore il “sogno berlusconiano”

S’aggira un interrogativo tra gli ambienti più ricercati dell’intellighenzia cattolica: “Cosa diranno ora Bagnasco e Bertone?”. Il duo “B&B” ai vertici del Vaticano, secondi solo dopo Sua Santità il Papa, reggono, rispettivamente, uno le sorti della CEI, ovvero il “governo di Santa  romana Chiesa” sulle diocesi d’Italia, e l’altro, Bertone, è in pratica il ministro degli esteri della Santa Sede. Entrambi nel passato recente si sono sempre dimostrati piuttosto diplomatici nei confronti delle scene da basso impero, che ripetutamente hanno coinvolto il presidente del consiglio Berlusconi. Erano come “distratti” da altre preoccupazioni: togliere l’ICI da tutti gli immobili in qualche modo riconducibili alla Chiesa (pratica ora condannata dall’Unione Europea); il finanziamento seppure indiretto degli istituti scolastici privati confessionali; la tenuta dell’elettorato moderato sotto l’alone delle reprimende etiche; l’ostracismo verso forme di matrimonio tra omosessuali; la contrarietà alla regolarizzazione delle famiglie di fatto;il diniego all’uso degli embrioni e alla procreazione assistita; la ripulsa per qualsiasi forma di “morte dolce” o eutanasia; la richiesta umile di qualche spicciolo per le famiglie numerose.
Per il resto il “giardino di San Pietro” poteva respirare aria fresca e inebriarsi del tiepido sole romano: l’amata Italia riposava tra le mani amiche del più “cattolicissimo” governo che sia mia esistito in 150 anni di storia unitaria! Che poi intorno a questo governo si aggirassero anche cricche di malfattori incappucciati o meno, “ex-piduisti” o addirittura “pitreisti”, che  uomini sposati in chiesa o divorziati ma timorati di Dio tenessero allegre serate in compagnia  di “escort”, ovvero meretrici a pagamento, e giovani minorenni, tutto questo era solo “spazzatura mediatica”.
Come non dare fiducia all’anticomunista  Patriarca di Arcore, con  tanto di zia suora, mamma e sorella devotissime, lui stesso sempre contrito perché vivente nel peccato in quanto sposato in seconde nozze con la Veronica, ma desideroso di comunicarsi ogni domenica, tanto da scomodare anche qualche vescovo in suo favore?  E neppure il caso del “metodo Boffo” è riuscito a scardinare l’imperturbabilità del Sacro Collegio, dietro i portoni bronzei del Vaticano michelangiolesco!
L’ultimo scandalo della giovane marocchina potrebbe certo essere la “buccia di banana” del Sultano e di tutta la sua corte dei miracoli. Personaggi da sempre a lui vicini, questa volta, hanno dovuto ammettere quello che si vociferava da tempo sui vizi privati del loro Califfo, divenuti pubbliche virtù a beneficio di quella parte del suo elettorato, che sente il richiamo della foresta degli istinti più retrivi dell’essere umano e che cerca da sempre di identificarsi nella condotta senza inibizioni del Mago di Arcore.
Quest’ultimo caso ha aperto le cataratte del Nilo meneghino: le ammissioni di Berlusconi sull’intervento presso la polizia ha troppi testimoni per essere ritrattato; l’intervento dei fedeli amici Lele Mora ed Emilio Fede hanno lasciato tracce evidenti; l’entourage del premier ne esce come compartecipe e gaudente.
Il sipario è strappato e il re corre nudo tra le scene disadorne del teatro della vita! Con malcelato disincanto i media amici e i corifei eletti in Parlamento tentano di ripetere la vecchia litania che i vizi privati di uomini pubblici sono solo affari riservati, roba da tenere al riparo dagli occhi e dalle orecchie indiscrete di giudici e giornalisti. Nel resto del mondo civile, libero, maturo e anche “lontano dal severo sguardo della Santa Chiesa”, non è così però. La condotta privata degli uomini pubblici viene sempre passata al setaccio, prima, durante e dopo gli impegni pubblici: siano semplici parlamentari, ministri, sottosegretari, capi di stato o di governo o, addirittura, top manager o capi di grandi aziende. All’uomo pubblico non è ammesso nella stragrande maggioranza dei paesi del G-8, G-20 e dell’OCSE comportarsi “allegramente”, come si comportano il Sultano di Arcore e i suoi tanti corifei.
Nel pieno di una crisi economica che sta precipitando nel baratro il sistema produttivo italiano, che divora le sue forze lavoro (oltre l’11% di disoccupati secondo Bankitalia, e ora accreditato anche dal superministro Tremonti), che strangola milioni e milioni di famiglie ormai incapaci di arrivare alla “terza settimana” del mese, che sbarra qualsiasi futuro di lavoro ai giovani, ma che vede “premiati” top manager privati e pubblici con inspiegabili retribuzioni  da milioni e milioni di euro l’anno, ebbene in questo regime allo sbando i segnali di crepe vanno aumentando giorno dopo giorno.
C’è un’antica parabola che circola da decenni tra i corridoi del palazzo di vetro di Viale Mazzini 14, a Roma: “Quello che succede in RAI anticipa quello che poi, a breve, accadrà in politica”.
Sta di fatto che gli equilibri interni alla maggioranza di centrodestra del CDA sono saltati da mesi, mentre la gestione dell’azienda è paralizzata e neppure pressioni riservate dalle stanze del potere politico e governativo riescono a far procedere l’opera di “normalizzazione” e di perdita di ulteriore autonomia, che il governo Berlusconi si è imposto per ridurre il servizio pubblico a mera comparsa nel mercato multimediale. Mediaset non riesce mai a superare la RAI negli ascolti, eppure viene premiata nella raccolta pubblicitaria,  mentre con il digitale terrestre sta ampliando i profitti e gli abbonati. L’unica concorrenza che sembra temere il colosso di Sua Emittenza è la TV satellitare di SKY Italia dell’amico-rivale, lo “squalo” Murdoch. La RAI, come avverte l’USIGRAI, il sindacato dei giornalisti, sta scivolando sempre più “verso il baratro”. Le forze di opposizione e ora anche i “finiani” chiedono un cambio di gestione e di “governance”.
Ma proprio il precipitare degli eventi in RAI, con la contrapposizione tra il vertice e tutte le rappresentanze sindacali e professionali, con le schermaglie fatte di provvedimenti disciplinari, di nomine discusse, spostamenti, ricorso ad esasperazioni burocratiche, fanno intuire che si avvicina il “redde rationem” per i tanti protagonisti di questa lunga telenovela da “Viale del tramonto” in salsa meneghina-romanesca.
La RAI sta per implodere così come il governo Berlusconi. Pochi granelli di sabbia ancora una volta fanno scricchiolare gli oleati ingranaggi del potere. I piccoli David ancora una volta riusciranno a sconfiggere gli energumeni Golia? Certo, c’è bisogno di qualche “spallata”, di un sussulto di orgoglio della parte sana del paese. Il ritorno ad un’etica pubblica pulita ed univoca, non più ambivalente e assolutoria, sia per la destra  sia per la sinistra; il risveglio della coscienza evangelica da parte degli alti vertici della Curia vaticana; il vanto di sentirsi eredi di una civiltà tanto antica e ancora tanto ammirata nel mondo. L’orgoglio di difendere i valori unificanti e sempre attuali di una Costituzione che, seppure nata dopo uno spargimento di sangue fratricida, oggi è sentita da ampi settori della società e anche della politica come una “Bibbia laica” su cui fondare una nuova alleanza. Non è più il tempo per dividersi, ma per includere. E’ tempo di abbattere steccati e lasciarsi indietro arguzie politichesi ed egoistici interessi. Le rendite di posizione non pagano più in politica, nella società, sui media: la libertà della Rete ci rende tutti protagonisti.
E’ ancora troppo presto per intravvedere la luce oltre il tunnel, assaporare la quiete dopo la tempesta, ma è anche troppo tardi per chi in questi ultimi 16 anni ha imbarbarito il clima sociale, la cultura, la politica, l’economia, il confronto democratico, ha stravolto l’etica pubblica e privata, e poi  far finta che in fondo “siamo tutti sulla stessa barca” e che “così fan tutti”. L’epoca della politica spettacolo da tre soldi, e l’avanspettacolo per la politica sta volgendo al tramonto.

 

 

 


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