di Gianni Rossi
Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria non si è lasciata perdere l’occasione. “L’Emma di acciaio” non si è fatta intimidire e ha ripreso l’elmo e la corazza per gettarsi nell’agone delle ultime vicende politiche, senza badare ai rischi che le potrebbero derivare da eventuali ritorsioni mediatiche da parte del “fronte armato berlusconiano”. E così dal palco del Convegno dei Giovani imprenditori a Capri ha sferrato il suo affondo di etica pubblica: “Ci risiamo, una nuova ondata di fango lambisce la credibilità delle istituzioni e del governo. C'è un senso di sfiducia forte, un senso di smarrimento. L'Italia è in preda alla paralisi. Se ogni giorno il dibattito politico viene travolto da questioni che nulla hanno a che fare con un'agenda seria, noi ci arrabbiamo e ci indigniamo”.
Il paese è in profonda crisi, gli imprenditori che ancora riescono ad avere mercato fuggono il più lontano possibile, delocalizzando gli impianti, gli altri si arrabattano con cassa integrazione, prepensionamenti, licenziamenti, richieste di finanziamenti, le riforme fiscali per detassare imprese e lavoratori tanto strombazzate dal duo Berlusconi-Tremonti non si vedono ancora all’orizzonte. “Il governo non c'è, a parte qualche iniziativa singola. Il Parlamento non legifera più. Non si riesce nemmeno a eleggere il Presidente della Consob”, accusa la Marcegaglia sena mezzi termini, per poi rincarare la dose sul clima da “ultimi giorni di Pompei” del regime berlusconiano: “È piuttosto squallido che molti deputati della maggioranza pensino al loro futuro, a dove andare di qua e di là, piuttosto che all'oggi del Paese. È inaccettabile”. E poi l’affondo contro lo stravolgimento dell’etica pubblica e privata del Sultano di Arcore e dei suoi cortigiani: “Anche in questa situazione difficile, quando la sostanza e lo stile si allontanano da una soglia minimale di decoro, la nostra azione è di misurare parole e di parlare di cose serie. È necessario ritrovare il senso delle istituzioni e il senso della dignità, altrimenti non si va avanti. La politica deve riprendere il senso delle istituzioni, altrimenti l'Italia non ce la fa”.
Stile, dignità, decoro, senso dello stato, attaccamento alle istituzioni: tutte parole che sembrano spazzate via dal vento gelido caprese in questo inverno anticipato per il Patriarca di Palazzo Grazioli. Berlusconi intende correre verso il baratro con tutti i suoi corifei, senza badare ai danni che arrecheranno i colpi di coda del suo furore iconoclasta al paese. Senza fermarsi a riflettere per un istante neppure ai finora deboli richiami che vengono dagli ambienti diplomatici del Vaticano. La Chiesa è ancora asfittica, teme la gerarchia della Curia romana di poter perdere quelle rendite di posizione e finanziarie, finora garantite dall’anticomunista Berlusconi e dalla sua maggioranza. “Occhio non vede, cuore non duole”, sembra essere il leitmotiv seguito a quattro mani dal duo “B&B”, Bagnasco-Bertone, i due cardinali che reggono le sorti della “cristianissima” Italia. Almeno finchè il raffinato teologo e provetto pianista, Sua Santità Benedetto XVI, non decida di suonare un’altra musica e passare dalle lievi e delicate melodie di Chopin alle robuste e dirompenti suonate di Beethoven.
Nell’attesa che da oltre Tevere si levi il dito indice dell’ammonimento etico e teologico, il confronto politico si fa aspro e gli eventi potrebbero precipitare verso soluzioni imprevedibili: più che elezioni anticipate, si fa strada l’ipotesi di un “governo di salvezza istituzionale”, con la Lega di Bossi neutrale spettatrice, purchè duri poco e avvii le riforme fiscali con il federalismo, la riforma elettorale e vari il piano di stabilità, ovvero la finanziaria per il 2011 con aiuti alle piccole e medie imprese, che nella Padania stanno soffrendo le pene dell’inferno e che, altrimenti, abbandonerebbero il sostegno proprio alla Lega. Nel frattempo, chi non ha ancora capito dove tira l’aria e pensa che i giorni delle vacche grasse non siano ancora finiti è quell’ex-socialista, craxiano di ferro, di Maurizio Sacconi, che occupa la poltrona del ministero del Welfare, un tempo detto anche del Lavoro (termine desueto, inappropriato, addirittura vietato nel regime mediatico berlusconiano, dove tutti sono “imprenditori di sé stessi”!).
Il ministro, che fino all’altro ieri si sperticava in lodi per “l’uomo forte” della FIAT, Marchionne, perché aveva saputo dare una bella lezione a quegli “sfasciacarrozze” della Fiom, e che un giorno sì e l’altro pure godeva per la divisione tra i “sindacati buoni” (CISL-UIL-UGL) e quelli estremisti e cattivi della CGIL, stavolta non ha gradito l'affondo della Marcegaglia, tacciando lei e i suoi colleghi di essere dei borghesi furbetti, in pratica degli approfittatori: “Tutto si può forse dire tranne che il governo sia paralizzato. Le borghesie furbette non si illudano. La parola torna sempre al popolo che sa riconoscere le élite egoiste in ricorrente combutta con i conservatori ideologizzati". Insomma, che la parola torni al “popolo sovrano elettore”, lo stesso che ha dato legittimità al regime del Sultano di Arcore e che, per questa investitura “divina” non può essere né criticato né giudicato, dai giornalisti, dai magistrati, tanto meno dalle èlite oligarchiche in combutta con quei reazionari di oppositori di sinistra, comunisti, sindacalisti, democristiani, liberali e persino conservatori come quei “rompiscatole” di Futuro e Libertà. Sì proprio loro che, anziché accodarsi alle reprimende “sacconiane”,hanno preso le difese della Marcegaglia, senza mezzi termini: “L'allarme lanciato dalla presidente di Confindustria è da noi condiviso al cento per cento e credo sia lo stesso che preoccupa l'intera classe dirigente italiana”, ha sentenziato il capogruppo alla Camera Italo Bocchino, “Fli è pronto nel Parlamento e nel Paese a lavorare per ridare dignità alla politica”.
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