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Il caso Rega: per avere la scorta prima ti devono sparare
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di Alberto Spampinato*

Il caso Rega: per avere la scorta prima ti devono sparare

A Nello Rega, giornalista di “Televideo Rai” pluri-minacciato, è stata finalmente assegnata una protezione di polizia: lo accompagnerà un’autovettura con a bordo almeno un agente armato, quella che in termini tecnici è definita una protezione di “quarto livello”. Il Comitato provinciale di Potenza per l’ordine e la sicurezza pubblica lo ha deciso venerdì 7 gennaio, poche ore dopo l’ultimo e più grave avvertimento contro il giornalista: all’una di notte un colpo di pistola ha raggiunto l’auto su cui Rega viaggiava sulla strada Statale Basentana, diretto al capoluogo lucano. Dobbiamo rallegrarci con Rega per lo scampato pericolo e per l’assegnazione della scorta che rafforza la sicurezza di un cittadino esposto a minacce gravi e ripetute, di un giornalista che meritava senza alcun dubbio di essere protetto dalle forze dell’ordine.
È confortante che il Comitato si sia riunito in quattro e quattr’otto e abbia assegnato la scorta il giorno stesso dell’agguato. È meno confortante vedere che prima di giungere a tale decisione si è aspettato un vero e proprio assalto a mano armata che, per fortuna, non ha provocato conseguenze più gravi. Questa tempistica ci sorprende perché il ‘caso Rega’ era ben noto da oltre un anno, da quando il giornalista riceve minacce presso la sua abitazione e i suoi luoghi di lavoro a Roma e a Potenza, dove vivono i familiari. Da allora, in ogni occasione pubblica e privata, noi dell’Osservatorio Ossigeno per l’Informazione abbiamo parlato di Nello Rega come del giornalista italiano più esposto e più meritevole di una scorta. Abbiamo segnalato il suo caso ai responsabili dell’ordine pubblico. Elencando i 78 casi di cui ci siamo occupati nel “Rapporto Ossigeno” 2010 abbiamo indicato la delicata situazione di Rega come la principale emergenza. E non siamo stati i soli a lanciare l’allarme. Lo ha fatto la Federazione Nazionale Stampa Italiana; lo hanno fatto alcuni parlamentari con interrogazioni rivolte al ministro dell’Interno Roberto Maroni (finora senza risposta); lo hanno fatto i suoi colleghi della redazione di “Televideo”. Inoltre il caso Rega, a differenza di molti altri che pure avrebbero meritato attenzione, ha avuto visibilità su alcuni quotidiani nazionali, in particolare sul “Corriere della Sera”. Insomma, l’agguato di venerdì sulla Basentana, che ha terrorizzato Nello e a noi ha fatto saltare il cuore in gola, non è stato un fulmine a ciel sereno. E allora chiediamoci perché si proceda così. Perché si rinviano decisioni così delicate e si lascia un giornalista minacciato a fronteggiare da solo un rischio chiaramente evidenziato?
Ci hanno spiegato che è difficile valutare se le lettere anonime,  gli avvertimenti che si manifestano  con il ritrovamento della testa mozzata di un agnello sulla propria auto (come è accaduto a Nello), siano da prendere sul serio al punto da assegnare una scorta. Si svolgono indagini, si fanno valutazioni, si fanno i conti con i tagli di spese e di personale che colpiscono anche i servizi di scorta… Poi si fanno nuovi accertamenti. E intanto qualcuno spara sulla tua auto. O spara proprio a te uccidendoti, come accadde al professor Marco Biagi. Ci chiediamo se nel dubbio, mentre si approfondiscono gli accertamenti dovuti, non si debbano predisporre servizi di protezione più efficaci di quelli troppo blandi ed episodici che erano stati previsti in questi casi. E ci auguriamo che la protezione sia estesa a Roma dove Rega vive e lavora.
Purtroppo il caso Rega non è isolato. Nel nostro disgraziato Paese le minacce e le intimidazioni contro i giornalisti sono diventate una pratica diffusa. Non parlarne, fingere che non ci siano, non adottare misure di protezione e di contrasto alle tecniche più diffuse per mettere a tacere i giornalisti è ciò che avviene. È la risposta dello struzzo che nasconde la testa nella sabbia per non vedere il pericolo, che arriva lo stesso. Non può essere questa la risposta. Ci vogliono servizi di scorta quando servono. Ci vogliono norme più incisive contro chi usa la violenza o altri mezzi per mettere a tacere i giornalisti.  Ci vuole soprattutto più solidarietà fra i giornalisti e con i giornalisti che entrano nel mirino, nei giornali e nella società, se si vuole difendere il diritto di noi cittadini di conoscere informazioni di rilevante interesse. Perché diversamente, in mancanza di protezione e di solidarietà, molti giornalisti adottano l’auto-censura come l’unica forma di sicurezza possibile. Lo dice anche l’ultimo rapporto di “Reporters Sans Frontières” segnalando che se nell’ultimo anno, nel mondo, il numero dei giornalisti assassinati è diminuito, è perché molti hanno rinunciato a ‘coprire’ gli avvenimenti più scomodi e pericolosi.

*Direttore di Ossigeno per l’informazione, osservatorio della FNSI e dell’Ordine dei Giornalisti sui cronisti minacciati e le notizie oscurate con la violenza
Tratto da narcomafie.it

 

 


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