di Ottavia Piccolo
Noi, generazione dei sessantenni, nati quindi dopo la guerra mondiale, abbiamo ricevuto da chi ci ha preceduto un Paese libero, democratico, fondato su una Costituzione intelligente, equilibrata, perfettamente equilibrata. In seguito, la pratica della democrazia, da parte nostra e dei nostri fratelli maggiori, non è stata delle più limpide e ci ritroviamo ora a dover ammettere che il prezioso dono della libertà – la libertà materiale, ma anche quella d’informazione e d’espressione – non l’abbiamo trattato bene. I più democratici di noi guardano ormai ai vecchi costituenti come a preziosi baluardi, a insostituibili custodi della democrazia.
Noi, generazione di mezzo, siamo quasi impotenti. Pensavamo che la nostra costanza nel voto fosse sufficiente a mantenere l’equilibrio del Paese e a tenerci lontani dal rischio di derive avventuristiche. Invece no. Ci siamo mossi a suo tempo con i Girotondi, ma non è servito a molto: vi assicuro che eravamo in buona fede e fiduciosi (anche se qualche imbecille cercò di farci passare per pericolosi terroristi), ma non avevamo gli strumenti per fare alcunché se non manifestare. E non avevamo gli strumenti per impedire che i partiti strumentalizzassero le nostre piazze e fagocitassero le nostre buone intenzioni. Insomma, volevamo “resistere, resistere, resistere”, secondo l’interpretazione che avevamo dato delle parole di Francesco Saverio Borrelli. Ma non siamo stati buoni resistenti.
Oggi, a quanto pare, c’è nuovamente bisogno di scendere in piazza e l’iniziativa è passata nelle mani di gente giovane, che frequenta con disinvoltura la rete.
Io in piazza il 5 ci sarò perché ne condivido le parole d’ordine anche se non le ho inventate io. Ci sarò anche perché, se la mia faccia può essere utile a sottolineare l’urgenza di un risveglio democratico, spero che chi fa informazione venga attratto da me ma poi scelga di ascoltare le parole degli altri che avrò accanto: i ragazzi in viola, che hanno più diritto di dire la loro. Visto che più facilmente saranno loro a vedere la fine della vergogna nella quale ci siamo infilati. Una vergogna di egoismo, razzismo, conformismo, ignoranza, arroganza e beceraggine con cui si umilia il nome dell’Italia.