di Ylenia Di Matteo
“Le regole del gioco vennero scritte prima che il gioco cominciasse, senza calcoli precostituiti, senza la lente deformante del tornaconto di un partito”, scrive Michele Ainis, costituzionalista, nel suo ultimo libro “L’assedio. La Costituzione e i suoi nemici”. Nemici che si travestono da grandi riforme, annunciate da piccoli politici, tra frodi e crisi di legalità che di fatto assediano lo Stato di diritto, minandone i valori e i princìpi, fino ai suoi poteri. Non tutto è perduto, “giacché rievocare il lavoro dei costituenti significa evocare la promessa di libertà e di liberazione che rimane ancora iscritta nelle tavole costituzionali”.
“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, scriveva Tomasi di Lampedusa ne Il gattopardo. Dopo Tangentopoli, nulla è cambiato?
Un cambiamento c’è stato, non in meglio: quando una società esprime un desiderio di palingenesi, di rinnovamento, e questo è frustrato, essa si ritrova ad essere peggiore che nel passato, sicuramente più cinica.
La politica è diventata più arrogante?
Le seconde file oramai hanno sostituito le prime,è il sistema dei partiti ad essere diventato più arrogante. Un esempio? La lottizzazione della Presidenza della Camera, un tempo affidata a personaggi politici di maggioranza e anche dell’opposizione (specie nell’ultima parte della prima Repubblica) che erano figure nobili (si pensi allo stesso Napolitano o a Nilde Iotti), e riuscivano davvero ad essere presidente di tutti. Questo è cambiato nella seconda Repubblica, allorquando la Presidenza della Camera è entrata nella contesa politica e la neutralità di questa istituzione è andata stemperandosi. Fini, nel riscoprire questa neutralità è diventato sgradito alla stessa maggioranza.
Le Istituzioni appaiono logore, per “un veleno che goccia a goccia le intossica”. Un assalto ai poteri dello Stato, dunque, come alla Presidenza della Repubblica…
A volte l’aria che tira è quella dell’“ossequio formale, irriverenza sostanziale”. Il Presidente della Repubblica è la sentinella del governo, non il maggiordomo. E’ un organo di garanzia, non di indirizzo politico.
“Siano le leggi signore dei cittadini e insieme anche dei Re, se le trasgrediscono (…) Tutto questo fate con lealtà ed onestà” scriveva Platone… Disciplina ed onore che rientrano tra i doveri costituzionali dell’art. 54…
A Berlusconi nessuno può rimproverare di non assumere la disciplina come valore, tant’ è che quando Fini è diventato indisciplinato lui lo ha cacciato fuori.
Nessuna pietà per gli indisciplinati, a vari livelli. Ecco allora l’intervento dei “costituenti per caso”, e le loro riforme tanto annunciate, spesso tentate, a volte realizzate. Alcune, come quella della giustizia, hanno sì dietro le vicende personali del Presidente del Consiglio ma è riduttivo leggerle soltanto come leggi ad personam perché c’è di più. Tu mi dai fastidio, io adesso ti taglio le unghie. Alcuni esempi? Il Lodo Alfano, la legge “bavaglio”, la riforma dell’art.41, dalla Magistratura all’informazione, dal Presidente della Repubblica fino alla Corte Costituzionale. Nessuna pietà.
Quanto all’onore, poi, è una concezione talmente soggettiva…
Siamo tra i doveri etici, non accompagnati da una sanzione (ad eccezione dell’art 53, sul sistema tributario). Doveri dunque. Di essere fedeli alla Repubblica, di lavorare, di votare, princìpi che appartengono a una parte della Carta che pulsa di tensione etica; la tensione etica come quella “erotica”, si potrebbe dire, nel senso che non dura a lungo. Ci sono stati dei momenti, Tangentopoli ad esempio, in cui l’onestà e le virtù civili sono state reclamate ma è durato un attimo. La normalità costituzionale vorrebbe invece che, senza scatti di reni, senza necessità di rivoluzioni in piazza, quella bussola ci fosse nella vita quotidiana, nell’impegno di tutti.
La nostra società è divenuta così disgregata per l’eclissi dei doveri costituzionali?
Sì, questa ne è la conseguenza. Perché ho il dovere di lavorare? Perché la parola lavoro è la più citata nella Costituzione italiana? Perché il lavoro è socialmente utile. Questo accomuna tutti i doveri costituzionali. Sono doveri verso gli altri, sono doveri di solidarietà, che rendono ciascuno di noi parte di una comunità. E responsabile gli uni verso gli altri. La democrazia è responsabilità.
“22 dicembre 1947. E’ pomeriggio. Dinanzi a Montecitorio, sotto la scalinata, va addensandosi una piccola folla trepidante. Uomini che parlottano in capannelli separati (…), ma s’incontrano pure gruppi di studenti e qualche donna…”. Il 12 marzo saremo in migliaia in piazza, lei ci sarà?
Ci sarò perché penso che nonostante tutto, c’è da avere fiducia; perché è vero che la nostra società è un po’ incattivita o che per farti largo hai bisogno di qualche santo protettore, però ciascuno di noi ha bisogno di un orizzonte, di un ideale di vita e la Costituzione questo continua a figurarlo. Presentarla in modo retorico è il peggiore servizio che si possa fare alla Costituzione. Che è la parola più rappresentativa in questi 150 anni di Italia unita. Sì, bisogna avere fiducia.