di Giuseppe Giulietti
Non siamo tra quelli che gioiscono quando viene emessa una sentenza di condanna nei confronti di chiunque, anzi ci piacerebbe vivere in un mondo senza galere e senza patiboli. Eppure abbiamo provato un moto di commozione quando la corte d'Assise di Torino ha pronunciato la sentenza per il rogo della Thyssen, l'abbiamo provato perché finalmente è stato strappato il velo della omertà, della ipocrisia che ha sempre circondato le morti sul lavoro, considerate quasi un inevitabile tributo da pagare sull'altare dell'arricchimento, del profitto sempre e comunque, anche a costo di risparmiare sui sistemi di sicurezza e sulle vita dei lavoratori.
Ci ha fatto piacere anche per quei familiari e quei compagni di lavoro che hanno atteso per oltre tre anni questo momento. Non cercavano la vendetta, ma speravano nella giustizia, l'hanno trovata, senza bisogno di invocare norme ad personam, senza minacciare i propri giudici, senza esporre cartelli minacciosi dentro e attorno al palazzo di giustizia di Torino.
Questa sentenza, esemplare in tutti i sensi, andrebbe letta nei principali tg, andrebbe studiata nelle scuole e nelle università pubbliche, perché il giudice Guariniello e i suoi colleghi non sono andati solo alla caccia dei colpevoli, ma hanno ricostruito l'organizzazione del lavoro, le condizioni interne all'impianto, hanno raccolto decine e decine di testimonianze, hanno ricostruito il contesto nel quale è maturata l'esplosione mortale.
Così si è appreso di allarmi trascurati, di impianti non verificati, "tanto la fabbrica doveva essere chiusa e trasferita a Terni", persino un intervento dal costo di venti mila euro fu ritenuto eccessivo, una spesa da tagliare, un costo da comprimere.
"Perché proprio noi...", sembravano interrogarsi alcuni dirigenti condannati, quasi increduli che si possa essere sanzionati per aver fatto quello che tanti altri fanno, perché le cose vanno così, perché non si può stare a sottilizzare sulla sicurezza, perché lo dice anche questo governo che bisognerebbe ridurre i controlli, comprimere quei maledetti diritti che la Costituzione e lo Statuto dei lavoratori hanno previsto.
Bene questa è anche una sentenza che ci ricorda che la Costituzione c'è ancora, che i diritti non si possono vendere, che il diritto alla vita non può andare in prescrizione, che la ricerca dell'utile deve avere dei confini, dei limiti insuperabili, come per altro ha voluto ricordare più volte ed in modo solenne quel presidente Napolitano al quale il giudice Guariniello ha voluto significativamente dedicare la sentenza.
“Da oggi nessuno potrà continuare a parlare di morti bianche...” ha scritto Luciano Gallino, uno dei più accreditati studiosi del nostro sistema industriale, ed ha perfettamente ragione.
Queste sono state e sono morti sporchissime , anzi proprio la sentenza di Torino deve indurre anche noi di Articolo21 a riprendere la campagna per eliminare dal linguaggio giornalistico sia le parole " morti bianche", quasi fossero morti senza causa, e l'altra analoga “tragica fatalità”, quasi che questi decessi fossero il frutto del cinico capriccio di un Dio cattivo.
No queste morti sono state e sono, in molti casi, la conseguenza di scelte e di decisioni che antepongono il far soldi alla sicurezza individuale e collettiva.
Nella giornata nella quale un presidente imputato è tornato a raccontare barzellette da postribolo, e ad aggredire la scuola pubblica e i giudici che fanno il loro dovere, ci sembra ancora più significativo poter ringraziare donne e uomini che invece non hanno abbassato la bandiera della legalità, della dignità, del rispetto dei valori costituzionali.
Grazie a loro l'Italia può ancora sperare in un futuro migliore!
IL SERVIZIO DI SANTO DELLA VOLPE PER RAINEWS