di Roberto Seghetti
Perché le imprese che producono informazione dovrebbero avere uno statuto speciale? Il rapporto tra istituzioni e cittadino oggi è mediato quasi per intero dal sistema dell’informazione. La stabilità dell’attività economica si basa sulla attendibilità della comunicazione e ancora di più dell’informazione specializzata. Le news sono diventate come il sangue per il corpo umano. Il fatto stesso che il contenuto dell’informazione possa essere influenzato dagli altri interessi che ruotano attorno all’industria dei media diventa dunque un fattore di inquinamento, di avvelenamento per la vita sociale, civile, politica, per le scelte economiche collettive e individuali. In poche parole, un rischio per le forme della democrazia.
Il problema nasce dall’idea del mondo imprenditoriale, non solo italiano, che nella produzione dell’informazione, pur essendo rimasto invariato dal punto di vista formale il tema dell’interesse collettivo e del contributo alla democrazia, prevalga l’aspetto dell’ impresa, con tutto ciò che questo comporta: dal fatto che sono giustificati tutti i modi per produrre profitto attraverso questo tipo di azienda, anche a costo di snaturarne gli obiettivi di fondo, di inquinarne lo scopo principale (informare, appunto) per favorire altre attività del mondo dei media, per esempio lo spettacolo o la raccolta pubblicitaria, fino alla possibilità di piegare l’informazione perché assecondi gli affari nei diversi campi in cui sono impegnati gli azionisti anche al di fuori del mondo dei media. L’inquinamento dell’informazione attraverso la commistione tra spettacolo e giornalismo, tra pubblicità e informazione, tra marketing e contenuto, tra vendite collaterali e notizia, o con il prevalere degli interessi personali degli azionisti su quelli degli utenti, non è un fenomeno solo italiano. Così come non è un fenomeno solo italiano l’intreccio tra proprietari delle reti e degli strumenti di trasmissione e i proprietari delle aziende produttrici di contenuti.
Per gli Usa basti in questa sede ricordare che in seguito all’alleggerimento delle regole federali Usa nel corso del decennio 1985-1995 (presidenti Reagan e Clinton) si è verificata una concentrazione verticale tra industria dello spettacolo e network televisivi, tale da accentuare la commistione e la compenetrazione tra esigenze dello show business, industria fondamentale e produttrice di cultura mainstream made in Usa, e del giornalismo: la Disney ha acquisito, tra l’altro, la Abc; la Universal, già controllata dalla gigantesca conglomerata General Electric, si è associata a Nbc; Time Warner a Cnn e Hbo; News Copr. ha esteso la rete Fox; e forti connessioni sono rimaste tra Viacom e Cbs.
In Europa, basti ricordare a titolo d’esempio il francese Le Figaro e l’industria aeronautica (e bellica) Dassault, produttrice tra l’altro di alcuni dei caccia e dei bombardieri che abbiamo visto sulle prime pagine proprio nelle ultime settimane, in occasione dell’intervento in Libia.
Tuttavia, come ben sapete, in Italia questo intreccio ha assunto caratteristiche di eccezionalità. L’intreccio tra industria dell’informazione, banche, industria manifatturiera, industria dello spettacolo e politica è straordinario. Basti ricordare che Rcs Mediagroup, editrice de Il Corriere della Sera ha tra i principali azionisti Mediobanca (14,2 per cento), Agnelli (10,4), Banca Intesa (5,0), Benetton (5,1), Della Valle (5,4), Ligresti (5,4), Pirelli (5,1), Assicurazioni Generali (3,9). E che Mediobanca ha molti di questi stessi azionisti (o azionisti dei propri azionisti, come la Fondazione Cassa di Risparmio di Verona, che è socio fondamentale di Banca Intesa), più Mediolanum (3,3), Berlusconi (2,0), l’Unicredito (8,6) e i francesi Bolloré e Groupama. Come dire, tutta la prima linea delle banche, delle assicurazioni, delle industrie italiane. La famiglia De Benedetti, che ha tra le altre cose fortissimi interessi nel settore dell’energia, controlla il gruppo Espresso. Caltagirone è l’editore de Il Messaggero, Il Mattino, Il Gazzettino, tra le altre cose. E ovviamente Berlusconi è l’azionista principale di Fininvest, di Mediaset e di Mondadori, mentre Telecom Italia (che ha per azionista principale Telco, che fa capo oltre che alla spagnola Telefonica a Generali, Banca Intesa, Mediobanca) controlla La7.
Da qui, da questi intrecci di interessi, nasce dunque l’esigenza di trovare qualche forma di limitazione e di separazione: uno strumento che possa essere usato nella battaglia giornaliera per garantire quanto più possibile, nelle condizioni date, l’autonomia e la correttezza dell’informazione.
Beninteso: bacchette magiche non esistono. Così come non esistono soluzioni certe e senza controindicazioni. Ma strumenti che possono essere usati a favore dell’interesse pubblico nella contrapposizione tra l’informazione e gli interessi diversi si possono mettere in campo.
Non è un problema semplice da affrontare. E certamente sarebbe giusto e opportuno affrontarlo in sede europea, dove la maggiore sensibilità al tema dell’informazione potrebbe aiutare. In ogni caso, nel trattare questo tema bisogna ricordare che sono coinvolte diverse libertà fondamentali sancite dalla Costituzione italiana e da tutte le Carte europee: la libertà di impresa, la libertà d’opinione, la libertà di stampa. Ma bisogna nello stesso tempo non perdere la consapevolezza che in diversi settori dell’attività economica, laddove il Legislatore abbia ravvisato interessi collettivi da tutelare, la libertà di impresa ha subito parziali quanto importanti limitazioni e controlli. (energia, telecomunicazioni, autostrade, credito, finanza tanto per fare qualche esempio). La legge bancaria, la direttiva europea Market abuse, concessioni e contratti di servizio nel settore dei trasporti, regolamentazione delle telecomunicazioni e così via. Non si vede per quale motivo non si possa procedere nello stesso modo per l’informazione, linfa essenziale per una moderna società democratica. Pensare che questo non sia possibile significa solo arrendersi all’interesse di chi lo sostiene. Può essere difficile, ma non impossibile e neppure scandaloso pensarlo. Pensare che basti, per quanto difficile, trovare una soluzione che impedisca il monopolio o il ristretto oligopolio nella raccolta delle risorse pubblicitarie significa arrendersi all’idea che le imprese dell’informazione debbano rispondere solo all’interesse economico dell’imprenditore.
Come intervenire? Due sono le possibilità volte a salvaguardare l’autonomia dell’informazione garantita dalle diverse carte costituzionali salvando al tempo stesso la libertà di impresa. E non sono in alternativa tra loro.
Limiti al controllo azionario
Una possibilità è quella di seguire la stessa strada indicata dalla legge bancaria: moneta e credito sono così importanti per la stabilità dell’intero sistema che il legislatore ha ritenuto opportuno limitare l’accesso alla proprietà delle banche da parte di soci che abbiano interessi diversi, per esempio gli industriali e sottoporre questa attività allo stringente controllo di autorità con poteri cogenti e forti. Ci sono soglie massime di pacchetti azionari che un’industria può detenere di una banca, soglie massime per l’insieme delle partecipazioni industriali in una banca e anche viceversa. E sono previste complesse procedure di autorizzazione da parte delle autorità vigilanti. Non si vede perché, dunque, le autorità che operano nel mondo della comunicazione (e dell’informazione) non debbano avere poteri altrettanto forti, a livello europeo e a livello nazionale. E non si vede per quale motivo non possano essere previste, in Europa come in Italia, norme che limitino non tanto il pacchetto azionario del singolo azionista, ma la quota di azionisti di un’impresa che fa informazione giornalistica che abbiano interessi prevalenti in diversi settori dell’economia. Per esempio, si potrebbe stabilire che:
a. Industriali, banchieri e finanzieri, cioè editori portatori di evidenti quanto legittimi interessi diversi da quelli dell’informazione, non possano superare ciascuno la soglia del 3/5 per cento del capitale di un’impresa giornalistica (se si escludono Mediobanca e Agnelli, Rcs Mediagroup è già così).
b. Nessun mezzo di informazione possa essere controllato da una maggioranza azionaria formata da soci che abbiano interessi prevalenti nell’industria manifatturiera, il credito o la finanza.
c. Un’Autorità riservata alla sola informazione giornalistica, o la stessa Agcom riformata, abbia poteri di intervento obbligato su questi temi.
Statuto speciale per l’impresa giornalistica
La seconda possibilità riguarda il varo di un possibile statuto speciale dell’impresa di informazione giornalistica. In questo caso l’obiettivo è di fissare una netta separazione tra la società, o la divisione societaria, che all’interno di un gruppo svolge l’attività di informazione giornalistica e le altre società di un gruppo, o le divisioni di una stessa società, che fanno diverse attività, dai film alla tv commerciale, compresa la raccolta di pubblicità, la cura del marketing, la distribuzione e la commercializzazione del prodotto informativo. Non si tratterebbe di un muro invalicabile. Nessun muro lo è mai stato, come dimostra la storia, dalla muraglia cinese al Vallo di Adriano, fino alle fortificazioni della linea Maginot. Ma è uno strumento, che può essere utile nella battaglia per l’autonomia.
In sintesi, penso che il mezzo di informazione possa e debba essere al centro di una società che abbia per oggetto solo l’informazione giornalistica, perché questo tipo di società ha regole che rispondono al mercato dal punto di vista economico, ma anche regole che devono rispondere alla qualità e alla garanzia dell’informazione dal punto di vista democratico. Addirittura si potrebbe arrivare a una Telegiornali Rai Spa, TgMediaset Spa, Corsera Spa. Imprese separate e diverse anche da quelle che raccolgono pubblicità, fanno marketing, distribuiscono e trasmettono o addirittura producono spettacolo, per non parlare delle imprese manufatturiere o delle banche.
Quando si parlò di riforma della legge sull’editoria ai tempi dell’ultimo governo Prodi misi per iscritto una bozza di intervento su questo tema (anche se sarebbe limitativo intervenire con uno statuto dell’impresa di informazione pensando solo all’editoria tradizionale e non valevole per tutto il mondo dei media). In quella bozza (che ricalcava un’analoga formulazione approvata dal Consiglio generale della Fnsi) si leggeva:
La societarizzazione. Si potrebbe modificare l’articolo 1 della legge 5 agosto 1981,n 416 e successive modificazioni, includendo tutto il comparto dell’informazione, attraverso l’aggiunta dei seguenti commi 1 bis, 1 ter, 1 quater, 1 quinquies, 1sexies, 1 septies.
1 bis. <<L’impresa editrice, quando abbia per oggetto anche l’informazione giornalistica, deve organizzare questa specifica attività sotto forma di società autonoma con l’informazione giornalistica come unico oggetto di attività. La società è organizzata con un consiglio di amministrazione nominato dagli azionisti e un consiglio di sorveglianza formato per un terzo da rappresentanti dell’editore, per un terzo dai giornalisti dipendenti e per il restante terzo da personalità indipendenti. Al Cda spetta la scelta della linea politica, le scelte economiche, la scelta del direttore. Al consiglio di sorveglianza spetta il compito di garantire l’autonomia, la libertà e la qualità dell’informazione all’interno della società>>.
1 ter: «La società editrice che ha per oggetto l’informazione giornalistica ha un proprio statuto che fa esplicitamente richiamo ai criteri di libertà e di autonomia della stampa fissati dall’art.21 della Costituzione. I singoli giornalisti che violino lo statuto di autonomia dell’informazione possono essere pubblicamente richiamati dal responsabile dei diritti degli utenti previsto dal successivo comma 1 sexies, oltre che dal direttore responsabile della testata giornalistica, dall’Ordine dei giornalisti o dall’Autorità garante delle comunicazioni. La direzione giornalistica che violi lo statuto autonomo previsto dal corrente comma può subire un richiamo pubblico, oltre che dall’Ordine dei giornalisti, dal responsabile dei diritti degli utenti previsto dal successivo comma 1 sexies. In caso di ripetute e comprovate, gravi violazioni dello statuto il direttore responsabile delle testate giornaliste può essere deferito dal responsabile dei diritti degli utenti all’Ordine nazionale dei giornalisti o, nei casi più gravi fissati nello statuto dell’impresa, licenziato dal consiglio di sorveglianza>>.
1. quater: «Le attività di raccolta pubblicitaria, di distribuzione o trasmissione del prodotto, di promozione commerciale, cosiddetto marketing, e di vendita di prodotti collaterali non possono essere organizzate all’interno della società che ha per oggetto l’informazione giornalistica».
1 quinquies: «La società che ha per oggetto l’informazione giornalistica fissa ogni anno le linee della propria autonoma politica editoriale sulla base delle indicazioni esplicite di linea politico-editoriale proposte dal direttore responsabile e approvate con documento pubblico dal Consiglio di amministrazione».
1 sexies: «Il consiglio di sorveglianza può nominare al proprio interno un responsabile dei diritti degli utenti, fissandone pubblicamente compiti e poteri, in autonomia dalla direzione giornalistica, dalla direzione dell’impresa editrice e della società controllante. Detto incarico può essere affidato a una singola persona fisica ovvero a più persone fisiche. Lo stesso consiglio di sorveglianza può autonominarsi responsabile dei diritti degli utenti. L’incarico di detto responsabile dura due anni e non può essere rinnovato per più di due volte, a meno che non si tratti dello stesso consiglio di sorveglianza».
1 septies: <<Fermi restando gli obblighi di trasparenza sulla proprietà delle azioni di società editoriali, chiunque acquisisca, a titolo individuale o in accordo con altri soci, pacchetti azionari che superino quote del 5 per cento del capitale sociale della società che abbia come unico oggetto di attività l’informazione giornalistica deve chiarire quali progetti persegue e aderire formalmente allo statuto dell’impresa giornalistica, con particolare riferimento all’autonomia e alla libertà dell’informazione>>.