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Articolo 21 - INTERNI
Il referendum e il lavoro
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di Nicola Tranfaglia

Il referendum e il lavoro La battuta dell’amministratore delegato della Fiat Marchionne  che,conquistando la maggioranza assoluta della Chrisler e proponendosi di acquisire tutto il pacchetto azionario dell’azienda americana,ha detto che ci vuole il cambiamento dell’Italia per crescere come sta accadendo negli Stati Uniti.
Un’affermazione impegnativa e attendibile,senza dubbio alcuno,se si tiene conto,più di quanto ha fatto lo stesso Marchionne,della situazione italiana.
Personaggi che sono in posizioni politiche  diverse come il segretario della CISL Bonanni, e soprattutto il segretario della CGIL Camusso, hanno dovuto  ricordare  a Marchionne che l’accordo concluso due anni fa  dal governo americano  con la Fiat non ha previsto soltanto la flessibilità del lavoro,già raggiunto negli anni scorsi in Italia malgrado alcune resistenze residue,ma anche l’appoggio finanziario del governo che ha consentito alla Chrisler di evitare il fallimento e di collaborare alla ripresa dell’industria automobilistica.
In due parole non si può accettare una posizione come quella dell’imprenditore di Fiat che fa finta di dimenticare l’inerzia del governo Berlusconi rispetto ai problemi del lavoro in Italia, l’assenza che dura dal 2008 di una politica industriale ed economica in grado di stimolare la ripresa, che conclude accordi separati con rappresentanze sindacali minoritarie, pur di spuntare accordi come quelli di Pomigliano e  rischiano di violare accordi fondamentali degli operai.
L’Italia deve cambiare ma non può farlo, se c’è questo governo che pensa di uscire dalla crisi senza alimentare la crescita economica (  lo ha ricordato stamane sul Messaggero, Romano Prodi) e senza porre al centro dei propri obbiettivi la ripresa della produzione nazionale.
Di qui la parzialità dell’intervento di Marchionne che fa pesare completamente sui lavoratori un risultato che non si può raggiungere, se il governo del paese non collabora in maniera determinante per raggiungere il risultato che si vuol raggiungere.
Come si spiega un errore così grande da parte di un imprenditore come Marchionne? La risposta è semplice:ai vertici della Fiat c’è oggi un uomo che non conosce l’Italia e non è quindi in grado di cogliere gli errori della classe politica e dirigente  italiana e la sua attuale incapacità di rispondere alle esigenze della società italiana.
E questo significa che all’assenza di una politica economica del governo Berlusconi corrisponde purtroppo oggi la sua più generale incapacità di affrontare i problemi più ampi della moderninazzione italiana:pensiamo a una riforma della giustizia degna di questo nome(e in nessun modo paragonabile alla ridicola proposta berlusconiana),a una politica capace di attenuare e quindi eliminare il dislivello tra il Sud e il Nord del paese,a misure che possano far ripartire la competitività nazionale e l’acculturazione degli italiani, insomma a una piattaforma complessiva di porre l’Italia ai primi posti del continente europeo, piuttosto che agli ultimi della classifica continentale, come siamo oggi nell’Europa unita.
Di qui l’impossibilità di accettare il giudizio unilaterale  di Marchionne e l’obbiettivo pressante, al contrario, di terminare attraverso il successo dei referendum, i risultati complessivi ottenuti nel Centro Nord attraverso le elezioni amministrative di  maggio, soprattutto a Milano e a Napoli ma anche in città importanti come Trieste,Cagliari,
Bologna e Torino.
Se, attraverso i referendum del 12-13  giugno riusciremo ad eliminare il legittimo impedimento che viola i principi fondamentali della costituzione repubblicana(a cominciare dall’articolo 3 della costituzione),il progetto sotterraneo dell’attuale maggioranza parlamentare di riprendere a tempo debito la costruzione delle centrali nucleari e dire definitivamente di no all’energia nucleare,di evitare la privatizzazione selvaggia del bene comune acqua,avremo posto le premesse necessarie per battere il populismo autoritario e delineare  la piattaforma di fondo per le prossime elezioni politiche, destinate a mandare definitivamente a casa il partito populistico che Berlusconi  vuol lasciare,pur con qualche difficoltà, alle cure del suo delfino Angelino Alfano.
Non è una battaglia facile, sia per il raggiungimento del quorum elettorale che significa il  superamento di  venticinque milioni di votanti, sia per la necessaria unità di un schieramento democratico che deve andar oltre i patriottismi di partito ma, se raggiungiremo un simile obbiettivo, potremo guardare con maggiore  fiducia a un’Italia nuova e più fedele alla nostra costituzione repubblicana.
Soltanto una grande rivoluzione democratica dal basso potrà creare le condizioni necessarie per superare, dopo diciassette anni di sonno,il populismo autoritario degli anni novanta e farci tornare alle regole e  ai comportamenti che sono propri di una democrazia sociale e moderna quale era quella che sognavano, già negli anni trenta,i combattenti del socialismo e della democrazia moderna da Carlo Rosselli ad Antonio Gramsci. 

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