di Nicola Tranfaglia
Leggere oggi L’Italia si è desta. Stampa satirica e documenti d’archivio per una lettura storico-iconografica dell’Unità di Italia a cura di Fabio Santilli (pagine 272, s.i.p. Centro Studi Gabriele Galantara per la satira sociale e di costume, Montelupone, 2011) si ha l’impressione che poco sia cambiato nel nostro paese dai tempi drammatici ma anche gloriosi della nostra unificazione nazionale.
E spiego meglio perché.
Gli obiettivi di una satira, fatta con pochi mezzi e a volte nella periferia del paese ma anche nelle ex capitali del regno o dei regni precedenti come Napoli, Milano,Torino che erano state nei secoli precedenti città importanti del continente europeo, erano quelli che ancora oggi percorrono - con sempre maggior difficoltà non possiamo negarlo - i quotidiani che hanno ancora si permettono questo lusso, grazie al successo di lettori e di pubblicità che hanno raggiunto come il Corriere della Sera con le vignette di Giannelli, la Repubblica con quelle di Elle Kappa e di Altan o perché conducono una battaglia politica di opposizione, come ancora oggi l’Unità con gli interventi di Staino, il Manifesto con quelli di Vauro.
Al centro del bersaglio c’erano nello Stato liberale le modalità dell’unificazione con la nostalgia, in certi casi, degli antichi stati e della piccola patria, in altri addirittura del papa Pio IX che sembrò per un momento prendere sul serio il problema dell’unità e dell’indipendenza. E subito dopo la nuova classe dirigente liberale che era emersa dal processo e che poco soddisfaceva gli italiani rispetto agli ideali di Mazzini e di tutti quelli che si erano sacrificati per l’unità della penisola. Un esito, ormai dal punto di vista storico lo sappiamo bene, improvviso e molto rapido, quasi miracoloso rispetto alle condizioni di partenza, ma anche tale da provocare problemi di difficile soluzione rispetto a una classe dirigente ristretta, non sempre preparata, e legata per molti aspetti a un passato ormai concluso.
Certo, le personalità di Camillo di Cavour e di Giuseppe Mazzini (assai più del sovrano Vittorio Emanuele II, poi magnificato negli anni successivi ma anche di personaggi più difficili, severi o sfortunati, ma allo stesso modo grandi come il milanese Carlo Cattaneo o il napoletano Carlo Pisacane che dominavano la scena nazionale e questo si avverte anche nel libro di Santilli perché come osserva il curatore e alcuni autori dei saggi pubblicati nel volume si avverte con chiarezza un nodo centrale che percorre ancora oggi la storia e la vita italiana dopo centocinquant’anni dall’Unità: la oscillazione costante degli italiani tra modernità e arretratezza, tra il futuro e il passato.
Il tema si avverte con forza particolare nei decenni che seguono l’unificazione nazionale e che costruiscono la parte più ampia del volume di Santilli ma in maniere diverse riemerge di fronte alla vittoria del fascismo come a quella successiva delle forze che si installano al centro dello schieramento politico dopo la Liberazione.
Proprio a chi scrive è capitato qualche anno fa di constatare, dopo un lavoro collettivo che aveva impegnato storici di tutta Italia per un volume su Le classi dirigenti nella storia d’Italia (edito da Laterza nel 2006 e mai più ristampato), di poter verificare un risultato contraddittorio: le classi dirigenti migliori, pur con i loro errori e difetti, erano state quelle che fecero l’unificazione e quelle che ricostruirono il paese dopo la guerra, non le successive.
Di qui la difficoltà di ricostruire la storia italiana postunitaria con lenti ideologiche o con pregiudizi preventivi. La realtà della nostra storia è complessa e va verificata con gli strumenti più moderni e raffinati della nostra ricerca storica.
Ma, alla luce di queste considerazioni, la satira e l’analisi di costume presenti in questo libro serve eccome. Ci conduce per mano a ritrarre i nostri antenati, a vederne qualità e difetti, a cogliere quegli elementi del passato che influiranno anche sul futuro e persino sul tempo difficile in cui stiamo vivendo.