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La Caporetto della giustizia
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di Valter Vecellio

La Caporetto della giustizia Il settimanale “l’Espresso” ancora in edicola pubblica una lunga, dettagliata inchiesta: “Tutti prescritti”. Si racconta che sono circa 150mila i processi che ogni anno vengono chiusi per scadenza dei termini. Una sorta di impunità, si legge, anche per reati gravi, come l’omicidio colposo. La giustizia, insomma, sta soffocando sommersa dai fascicoli, uno scandalo senza fine, al punto che molti procuratori rinunciano ai giudizi. E le cose, per quanto possa sembrare incredibile, sono destinate a peggiorare. Per reati come la corruzione o la truffa, c’è ormai la certezza dell’impunità. Le cifre: nel 2008, 154.665 procedimenti archiviati per prescrizione; nel 2009 altri 143.825. Nel 2010 circa 170mila. Quest’anno si calcola che si possa arrivare a circa 200mila prescrizioni. Ogni giorno almeno 410 processi vanno in fumo, ogni mese 12.500 casi finiscono in nulla. I tempi del processo sono surreali: in Cassazione si è passati dai 239 giorni del 2006 ai 266 del 2008; in tribunale da 261 giorni a 288; in procura da 458 a 475 giorni. Spesso ci vogliono nove mesi perché un fascicolo passi dal tribunale alla corte d’appello. Intanto i reati scadono e c’è la quasi certezza di scamparla per corruzione, ricettazione, truffa, omicidio colposo. A Roma e nel Lazio, per esempio, quasi tutti i casi di abusivismo edilizio si spegneranno senza condanna, gli autori sono destinati a farla franca. A Milano, nel 2010 l’accumulo è cresciuto del 45 per cento, significa più di 800 processi l’anno che vanno a farsi benedire. Nel solo Veneto si contano 83mila pratiche abbandonate in una discarica dove marciscono tremila processi l’anno.
   Conclusione? Un’amnistia mascherata. Viene fatto un esempio concreto. Nel tempo richiesto per la lettura dell’articolo dell’ “Espresso” vanno in prescrizione tre processi. Potrebbe essere il caso della donna di 54 anni morta durante un’operazione all’anca a Reggio Emilia: i familiari hanno speso soldi per costituirsi parte civile e hanno atteso invano per dieci anni, la verità non ci sarà mai. O il più grande scandalo di corruzione della sanità romana, le tangenti elargite da Lady Asl per farsi rimborsare ricoveri inesistenti. O le mazzette intascate per la ricostruzione dell’Irpinia terremotata, la vergogna della prima Repubblica: il processo è finito al macero da poco, 30 anni dopo il sisma. Una Caporetto della giustizia: colpevoli impuniti, e per contro, cittadini che pagano per colpe mai commesse e che solo dopo un penosissimo calvario vengono dichiarati innocenti.
   Di fronte a un disastro simile, che fare? Si può far finta di nulla e lasciare incancrenire la situazione, sperando che non si debba mai incappare, nel corso della vita, nella macchina giudiziaria; oppure – ed è quello che ci si attende dai riformatori – ci si fa carico del problema, di come “governarlo”, si studiano possibili rimedi; si discute su quel che si può e si deve fare.       
    C’è chi ha una proposta: è Marco Pannella: «Per affrontare in modo serio il problema del funzionamento della giustizia in Italia, e l’emergenza del sovraffollamento delle carceri, non si può che cominciare dall’amnistia. Un’altra strada non c’è. Oggi lo Stato è fuorilegge, è un delinquente professionale: mandare in prescrizione 200mila processi all’anno, negare il principio - esistente dai tempi del diritto romano - per cui la sentenza si ottiene in tempi reali, significa infatti negare la giustizia e riempire le carceri di detenuti che per il 30 per cento, lo dicono le statistiche, sono ancora in attesa di giudizio, una situazione che è sicuramente più infame di quella che ci ha lasciato il ventennio fascista».
    Può piacere o non piacere, ma è una proposta; una voce isolata? Meno di quanto si creda. Al fianco di Pannella, che conduce da quasi due mesi uno sciopero della fame, tra l’indifferenza dei più e il fastidio di qualcuno, si sono schierati via via gli avvocati penalisti, i sindacati della polizia penitenziaria, gli psicologi penitenziari. Scrive la dottoressa Daniela Teresi, psicologa penitenziaria, che aderisce all’iniziativa del digiuno:“Contro l’indifferenza emozionale del Governo per lo stato di estrema emergenza delle carceri di tutt’Italia, contro la cecità verso le innumerevoli problematiche penitenziarie del personale civile; contro la sordità delle problematiche del personale di polizia penitenziaria veramente costretto a farsi carico fisicamente e moralmente di un lavoro massacrante; contro lo stato di disagio psichico della popolazione detenuta soprattutto di quella che ha perduto la speranza; contro l’alto numero di suicidi riguardanti i detenuti ma anche della Polizia penitenziaria; contro ogni violazione del principio di uguaglianza di vivere una vita dignitosa ed umana…La cupa consapevolezza di quanto potrebbe accadere se si continua a non far nulla a livello di Governo mi impone di aderire alla coraggiosa e nobile iniziativa di Pannella a favore delle problematiche delle carceri italiane ed è per questo che esprimo apertamente la mia stima, il mio apprezzamento e tutta la mia gratitudine con il suo sciopero della fame”. Come la dottoressa Teresi, centinaia di detenuti, le loro famiglie, migliaia di cittadini comuni: silenziati, ignorati, censurati, cui si nega la voce e la possibilità di essere conosciuti.
   Ora qui vi chiedo di lasciare la parola allo stesso Pannella: “L'obiettivo del mio sciopero della fame è quello di far rientrare nella legalità lo Stato italiano, uno Stato che si trova in una situazione di criminalità professionale. Da decenni si stanno realizzando in Italia forme di detenzione che non sono previste e tollerate dalla legge italiana e internazionale. E rappresentano una forma di sequestro ad opera della forza pubblica. Tutti i media, e soprattutto quelli del servizio pubblico, da mesi, da trimestri, da semestri, da anni, censurano ogni nostra possibilità di denuncia e ogni dibattito su quello che diciamo. Davvero è una situazione da Shoah. Gran parte del popolo tedesco forse nei primi anni non conosceva la situazione dei lager. Oggi non si può dire che la situazione non si conosca. Malgrado questa televisione di Stato e privata, che ha stabilito che noi non abbiamo diritto di esistenza, di informare. Prendo atto che i responsabili costituzionali ed istituzionali si stanno comportando in un modo che a me ricorda fortissimamente il comportamento di tanti Stati europei, compreso quello tedesco, che realizzava la prima consistente realtà di Shoah, nascondendola al popolo tedesco. In Italia si è fatto della comunità penitenziaria, in tutte le sue parti, dai direttori alla polizia giudiziaria ai detenuti, una situazione criminale, perché dura da decenni. Lo Stato italiano, a tutti i suoi livelli di responsabilità, malgrado l'aiuto che abbiamo inteso fornire perché non si insista in un atteggiamento quantomeno omissivo, sembra ignorarci. La nostra lotta deve diventare sempre più nonviolenta. Il Paese non ha il diritto di scegliere tra queste nostre lotte e quelle del Regime, che è composto dal centro, dalla destra e dalla sinistra. Rispetto ai problemi del diritto e dei diritti umani, della giustizia, della legalità, della sofferenza di milioni e milioni di persone, il Regime è da una parte e noi siamo dall'altra. Annuncio che passerò a tre o quattro giorni di sciopero della sete. Uno sciopero della fame che faccio con assoluto amore, senza rabbia, con la ri-conoscenza di tutti coloro che vivono e lottano perché questo risultato venga raggiunto". "Lo faccio in nome della legge, in nome della legge internazionale, in nome della legge europea, in nome della Costituzione, della legge suprema e delle leggi ordinarie, della cosiddetta Repubblica italiana. Io rischio la vita e, per quanto possibile, non la morte".
   Io credo che Pannella abbia ragione; e se ha ragione come possiamo restare inerti e indifferenti di fronte a quello che accade?
                                          

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