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L’impero dello “Squalo” Murdoch in declino. Cosa cambia nel mondo, dopo l’arresto di Rebekah Brooks?
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di Gianni Rossi

L’impero dello “Squalo” Murdoch in declino. Cosa cambia nel mondo, dopo l’arresto di Rebekah Brooks?

Non sono passate neppure 24 ore dalle scuse pubbliche, stampate a pagamento in caratteri cubitali sui principali quotidiani britannici (“We are sorry”), che altre tessere del mosaico dell’Impero di Rupert Murdoch sono andate in frantumi. Il suo braccio destro, la sua “pupilla”, l’amministratore delegato di “News International”, la casa editrice britannica e già direttore del “News of the World”, Rebekah Broohs, 43 anni, è stata arrestata per una serie impressionante di reati: associazione a delinquere, intercettazioni illegali e corruzione. Si è, quindi, dimesso il capo di Scotland Yard, Paul Stephenson, e trema per la sua libertà, anche il figlio di Murdoch, James,capo dell’azienda familiare. Crolla così tutto il castello di buone intenzioni e di ridimensionamento dello scandalo, messo in piedi negli ultimi tempi proprio da Rupert Murdoch.Il caso delle intercettazioni illegali operate dal tabloid scandalistico “News of the World”, di proprietà del magnate australiano-americano Murdoch, denominato anche lo “Squalo” non è un “affaire” solo inglese o tutt’al più americano (anche l’FBI sta investigando per i reati commessi negli USA).

Ci coinvolge tutti: europei, americani, australiani, cinesi e giapponesi. Nell’estate del declino dell’Impero della “News Corporation”, la società multinazionale di Murdoch (che tra l’altro detiene aziende mediatiche di primo piano, come il Times, il Sun e il Sunday Times a Londra e la tv satellitare BSKYB; la FOX cinema, la Direct Tv, la FoxTV , The New York Post e il prestigioso “Wall Street Journal” a New York, SKY Italia, Star Tv in Asia, “The Australian” e Foxtel in Australia) rischia di fare la fine del protagonista di un film in qualche modo profetico del 1997, diretto da Roger Spottiswoode, “Agente 007-Il domani non muore mai”. James Bond (Pierce Brosnan) combatte e sconfigge il magnate dei media Elliot Carver (Jonathan Pryce), impegnato a favorire e distruggere governi e carriere di VIP con i suoi potenti mezzi TV e stampa, da una parte all’altra del mondo, fino ad arrivare sul punto di far scatenare una guerra tra la Cina e la Gran Bretagna, amplificando strumentalmente con i propri media attacchi terroristici alle rispettive navi militari. Certo, Murdoch non è arrivato a tanto, ma, ripercorrendo le tappe del suo dominio mediatico in Gran Bretagna, in Australia e negli Stati Uniti, ci si accorge dello strapotere non solo informativo abbia finora esercitato, accumulando danaro e situazioni di monopolio mondiale. La sua ascesa politico-mediatica l’ha concretizzata, come in un laboratorio, proprio in Gran Bretagna, favorendo le fortune dei conservatori alla fine negli anni Settanta, prima con la Margareth Thatcher, spalleggiata contro le idee laburiste, nello smantellare una gran parte del welfare state storico, nel martellare tutte le lotte sindacali dell’epoca (epica quella dei minatori, guidati da Neil Kinnock, poi sconfitti), nel sostenere le battaglie economiche dei “monetaristi” alla Friedman, appoggiando liberalizzazioni e privatizzazioni; fino a fomentare l’opinione pubblica per l’intervento armato nell’82, per riprendersi le isole Falkland, occupate “fantozzianamente” dagli argentini. E poi l’ostinazione della Thatcher a firmare il Trattato di Maastricht, per rifondare l’Unione Europea, con clausole che tutelano l’isolazionismo di Londra. Non solo, ma sempre i media di Murdoch furono i più accaniti sostenitori della trasformazione genetica dei Laburisti in New Labour, appoggiando Tony Blair fino alle vittorie nei confronti dei Tory, purchè conservasse lo spirito neoliberista della Thatcher.

La forza del suo impero mediatico ha fatto sì che negli Stati Uniti fosse eletto il giovane rampollo George W. Bush per due volte, nonostante che alla prima elezione fossero stati compiuti brogli elettorali evidenti. Poi è diventato il più acerrimo oppositore di Barack Obama, caldeggiando sia la battaglia oltraggiosa della sua dubbia nascita americana e della sua fede religiosa, sia sponsorizzando i circoli ultraconservatori dei “Tea party”, contro la riforma sanitaria e la riduzione del deficit statale. E che dire dell’interventismo militare dello Squalo? La sua campagna a favore della guerra in Iraq e in Afghanistan, dopo l’attacco alle torri gemelle dell’11 settembre 2001 non ha mai conosciuto momenti di tregua, attaccando persino il presidente francese François Chirac, con un’edizione straordinaria in lingua, che lo raffigurava come un lombrico, titolando “E’ un verme!” (il Sun, allora diretto proprio dalla Brooks, fu distribuito a Parigi per distruggere l’immagine del capo dello stato, in quanto contrario all’intervento in Iraq). Con la Brooks, ormai nelle stanze del potere dello Squalo, le armi illegali delle intercettazioni, dei dossier, dei ricatti hanno preso il posto alle solite campagne propagandistiche e dei gossip. Prima contro i Tory, poi, con l’arrivo di Gordon Brown al posto di Blair, di nuovo contro i Labour, ritenuti non affidabili e filo-europeisti. Ecco allora le indiscrezioni sullo stato di salute del figlio minore di Brown e l’esaltazione delle doti moderate e innovative del giovane David Cameron, che alla fine delle elezioni del 2010 riportò i Tory a Downing Street, dopo 13 anni di esecutivi laburisti.

In realtà, la svolta neoconservatrice di Murdoch fu spinta dalla paura che la Gran Bretagna, come aveva promesso Brown, anche a causa della forte crisi economico-finanziaria del 2008, potesse entrare nell’Euro, la vera “bestia nera” dello Squalo, fautore dell’euroscetticismo trasversale inglese e dell’alleanza economica-finanziaria e diplomatica tra Londra e Washington. Per Murdoch, l’Europa è solo un territorio di conquista mediatica, dove però non è riuscito finora a sfondare (nonostante abbia il grande staff di lobbisti a Bruxelles), causa le rigide norme e la resistenze sia dell’Europarlamento, sia della Commissione, sia di alcuni stati guida come la Francia e la Germania. Tranne che in Italia, grazie alla stretta amicizia che un tempo lo legava al suo epigono Berlusconi, l’ingresso nelle TV satellitari o via cavo del gruppo SKY hanno sempre trovato molti ostacoli.

Certo, ora, anche alla luce dello scandalo del News of the World, dovrà dire addio ai piani espansionistici sull’intero pacchetto azionario di BSKYB, il canale satellitare ultimamente però messo in crisi dalla concorrenza della pubblica BBC con la sua offerta via satellite insieme ad altri Network nazionali britannici.La sua parabola è avvenuta anche con l’espandersi della RETE, con l’estrema libertà delle nuove generazioni e non solo di informarsi e scambiarsi le comunicazioni. Murdoch aveva in qualche modo intuito le possibilità commerciali espansive del WEB, ma essendo di una generazione “analogica” (come lo stesso Berlusconi, anche lui nei guai con la generazione “digitale”) ha inanellato una sconfitta dietro l’altra: ha comprato per 580 milioni di dollari nel 2005 Myspace, antesignana di Facebook, per poi rivenderla a giugno di quest’anno per 35 milioni di dollari, dopo una gestione fallimentare e il successo vertiginoso appunto di Facebook e Twitter. Ha fondato il quotidiano online The Daily (99 centesimi di dollaro l’abbonamento settimanale e 39,9 dollari quello annuale), costato 30 milioni di dollari per il lancio e che impegna 500 mila dollari alla settimana di spese di gestione, a partire da febbraio scorso. Secondo analisti avrebbe perso nei primi tre mesi 10 milioni di dollari. Stessa sorte poco remunerativa per l’altro suo quotidiano autorevole di Londra, l’edizione online del Times e del Sunday Times (abbonamento settimanale cumulativo di 2 sterline). Anche in questo caso il passaggio dal quotidiano online “free” a “pay” è stato un fiasco, nonostante le applications dedicate per i nuovi iPad. I lettori preferiscono, in realtà, ricorrere alle informazioni in Rete senza pagare, come fosse appunto un loro “diritto universale fondamentale”.

E sempre la “generazione digitale” ha sconfitto la mastodontica campagna elettorale, ordita da Murdoch, per far vincere il leader repubblicano John McCain, proprio grazie all’uso intelligente e pervasivo del WEB e dei social network. Ora, lo Squalo perde i pezzi del suo potere in Europa (anche se in Italia detiene il monopolio della TV satellitare con 5 milioni di abbonati e 2 miliardi e 630 milioni di ricavi nel 2010, fonte AGCOM, seconda solo a Mediaset), ma i colpi di coda possono essere tremendi: basti pensare ai personaggi coinvolti solo per aver avuto i suoi appoggi. Il responsabile della campagna elettorale del conservatore Cameron e poi suo portavoce era Andy Coulson, già numero due della Brooks alla guida dei media inglesi: anche lui dimessosi dal prestigioso incarico e incarcerato. Murdoch riesce ancora a determinare carriere politiche e temi dell’agenda politica mondiale. Si pensi solo all’attacco portato in questi mesi all’Euro, al declassamento del bilanci statali dei paesi Mediterranei dell’Unione, alle critiche forsennate della stampa economica verso la politica di salvataggio dell’Unione Europea e, infine, alla determinazione degli orientamenti sui mercati borsistici di tutto il mondo, grazie al più influente quotidiano del settore finanziario, come il Wall Street Journal.

La sua è una “guerra totale” al mondo non in sintonia con il suo credo iperliberista, monetarista e neoconservatore, bellicoso e da “guerra di civiltà” fra le culture anglosassone e quelle solidaristica europea e l’islamica. Certo, Murdoch non sconfina nel conflitto di interessi, ne può fare a meno, perché abituato alle leggi del libero mercato, che riesce a manovrare orchestrando le fortune delle leadership nei paesi dove ha i suoi affari maggiori. Mentre il suo ex-amico Berlusconi, timoroso di dover sottostare alle leggi antitrust, ha sempre giocato con le regole “all’amatriciana”, facendosi scudo di amicizie potenti, da Craxi, Andreotti e Forlani, prima, fino a diventare egli stesso uomo-azienda-partito-governo. Le sue aziende si mischiano negli affari pubblici dello Stato italiano, utilizzando anche leggi ad personam e infischiandosene delle regole antitrust. Anche perché in Italia, queste regole non sono mai state improntate alla severità delle leggi nord-europee e neppure l’opposizione di sinistra ha mai scelto di vararne di nuove. La stessa esitazione ha spinto i partiti del centrosinistra ad una posizione di “non belligeranza” antitrust verso la piattaforma satellitare di Murdoch, SKY Italia, perché ha ritenuto finora, a torto, che spalleggiando Murdoch in funzione anti-Berlusconi, avrebbe potuto godere di spazi informativi maggiori rispetto al monopolio analogico di RAI e Mediaset. Mai è stata sfiorata, l’opposizione, di promuovere una piattaforma pubblico-privata satellitare alternativa a SKY, né di imporre ai competitor privati una sola Rete TV analogica generalista!

L’emergenza dello scandalo inglese impone, dunque, un’attenzione particolare e determinata sull’autonomia dei media e sulla libertà del mercato in senso pluralistico ed “etico”. Mai come ora, l’informazione è determinante per orientare grandi masse nelle scelte politiche, economiche, consumistiche, culturali. Non si può, certo, pensare al valore “taumaturgico” della RETE. Sarebbe un errore di sopravvalutazione! Occorre, quindi, promuovere a livello europeo un’inchiesta, tramite il Parlamento di Bruxelles, le Authority europee Antitrust e sulle TLC, per far luce sui conflitti di interessi e sulle distorsioni nell’uso dei media da parte dei maggiori gruppi privati. Dobbiamo difendere questo nuovo Diritto individuale e collettivo fondamentale che è la libertà di informare ed essere informati su qualsiasi piattaforma tecnica, antica e moderna. E’ necessario, quindi, istituire una sorta di Agenzia Mondiale per la tutela della libertà dei media e della Rete, sotto l’egida dell’ONU, con poteri sovranazionali di indirizzo e controllo, che operi come un’Autorità antitrust e di Alta Corte sui diritti. Nello stesso tempo, va riformato il mercato dei media tradizionali e non, proprio per sconfiggere le tendenze ormai in atto di distorcere il regolare andamento dei confronti democratici. Le società che operano nei media dovrebbero, pertanto, essere svincolate da connessioni con aziende industriali, finanziarie e i loro vertici azionari e manageriali essere sottoposti a rigide norme anti-conflitto d’interessi. Insomma, fare editoria, dovrebbe diventare un “business etico”, seppure remunerativo, secondo uno Statuto speciale per l’Impresa editoriale.


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