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Articolo 21 - ESTERI
Erdogan? cerchi alleati in Israele
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di Nicola Mirenzi*

Erdogan? cerchi alleati in Israele «La Turchia è veramente infastidita dal rifiuto di Israele di scusarsi per l’incidente sulla Mavi Marmara. Però Ankara deve stare molto attenta a non andare troppo in là con la sua reprimenda, correndo il rischio di alienarsi la simpatia dell’opinione pubblica mondiale». Così Hugh Pope, direttore dell’International Crisis Group di Istanbul e a lungo corrispondente dal Medio Oriente per il Wall Street Journal, delinea così i contorni dell’ultimo episodio della crisi che da più di un anno contrappone gli ex alleati storici dell’Occidente nella regione mediorientale, Turchia e Israele. Sottolineando più volte il fatto che né Ankara né Tel Aviv «hanno molto da guadagnare da un ulteriore peggioramento delle loro relazioni».

Tuttavia, il primo ministro Recep Tayyip Erdogan ha detto oggi (ieri per chi legge, ndr) che Ankara potrebbe intensificare le sanzioni ai danni di Tel Aviv, mentre da giorni si rincorrono le voci di un possibile viaggio del premier turco nella Striscia di Gaza. Perché la Turchia è così dura?
È difficile dire perché. E quanto oltre si spingerà. Ankara ha sempre rivendicato il diritto di ricevere delle scuse da Tel Aviv, ritenendola responsabile dell’uccisione di nove suoi concittadini. Il suo obiettivo dichiarato è quello di far riconoscere a Israele le sue responsabilità. E io credo che, in fondo, la Turchia abbia tutto l’interesse a chiudere questo conflitto il prima possibile.

Alcuni analisti però individuano nel comportamento turco, più che un desiderio di arrivare alla pace, un tentativo di danneggiare Israele. Tu cosa ne pensi?
La Turchia è davvero molto infastidita dal rifiuto israeliano di scusarsi e, da parte sua, Israele ritiene di non avere niente su cui chiedere venia. Il nocciolo del conflitto è questo. Non credo sia necessario andare alla ricerca di spiegazioni troppo complicate. Semmai la vera questione è un’altra.

Quale?
In Israele ci sono alcune persone che ritengono giusto accogliere le domande della Turchia. Altri invece credono che siano assolutamente inaccettabili. Il rapporto di forza tra questi due schieramenti finora ha fatto prevalere quest’ultimo atteggiamento. Ma non è affatto detto che le cose rimarranno così. Io penso invece che la situazione possa cambiare, e che quindi la Turchia debba prepararsi a questo scenario. Perché, in definitiva, è nel suo interesse non avere problemi con Israele. Se Ankara vuole davvero essere un player regionale deve cercare di avere buoni rapporti con Tel Aviv nel lungo periodo. E la Turchia sa che c’è una linea che non deve oltrepassare.

In effetti, sospendendo il trattato di cooperazione militare, Ankara ha perso molte delle armi che le servivano per combattere i guerriglieri curdi del Pkk, la spina nel fianco più pericolosa della stabilità turca.
Per la Turchia è doloroso fare a meno del supporto militare israeliano. Allo stato attuale però la situazione è molto confusa, perché non è chiaro quali contratti siano ancora operanti e quali invece abbiano cessato di essere in vigore.
Sfidando Israele, la Turchia ha ovviamente qualcosa da perdere. E la stessa cosa vale per Israele. D’altronde sono questi i danni che procurano i conflitti.

Secondo te, in questa crisi, c’è anche un lato positivo? In fondo, attraverso essa, vengono posti dei problemi decisivi per il futuro del Medio Oriente.
Nel breve termine la Turchia guadagna in termine di immagine. Perché si dimostra capace di opporsi a Israele, guadagnandosi la simpatia dei vicini (non a caso, infatti, l’Iran si è schierato subito al suo fianco). Nel lungo periodo, però, i rapporti cardine della Turchia rimangono quelli con l’Europa e gli Stati Uniti. E si sa che alzare il tiro contro Israele ha l’effetto di mettere a disagio gli Usa. Che, nella contrapposizione arabo-israeliana, alla fine dei conti sceglieranno di stare sempre dalla parte di Israele. Stando così le cose, allora, la Turchia deve essere capace di porre il problema dei rapporti con Israele, di Gaza e della pace in Medio Oriente senza però allontanarsi dai suoi alleati storici primari.

Secondo alcune fonti, Erdogan starebbe preparando il viaggio a Gaza con l’aiuto dell’Egitto. La Turchia sta cercando di costruire un nuovo asse con Il Cairo?
La situazione egiziana, dopo la rivolta che ha spodestato Mubarak, è ancora troppo confusa per potere basare delle direttrici di politica estera. Nello stesso tempo però, penso che il nuovo Egitto, qualsiasi forma esso prenda, difficilmente cederà alla Turchia la rappresentanza delle istanze arabe.

Non sembri molto preoccupato dall’ostilità che il viaggio di Erdogan a Gaza potrebbe sprigionare nelle relazioni turco-israeliane. Perché?

Intanto non è chiaro se Erdogan lo farà, questo viaggio. Nel caso, comunque, mi concentrerei su ciò che Erdogan ha intenzione di dire, a Gaza, più che sul viaggio in sé. In fondo la Turchia vuole porre all’attenzione mondiale una situazione limite.
E il suo vero problema è coagulare intorno alla sua iniziativa, non dico un consenso internazionale, ma almeno una simpatia. Senza la quale, anziché rendere evidente un problema, Ankara rischia di infilarsi in un vicolo cieco.

tratto da www.ilmondodiannibale.it

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