di Santo Della Volpe
E’ capitato nei giorni di afa agostana,sentire una persona, certamente colta, fare l’elogio delle “stanze dello scirocco”, quei luoghi ideati dagli arabi in Sicilia creare ambienti freschi nei giorni di grande calura. Luoghi privati ad uso delle singole famiglie più benestanti; ma, sottolineava l’illustre esperto, fatti costruire anche nei quartieri di Palermo e di altre città siciliane,ad uso degli abitanti tutti. Perché, concludeva l’ospite, anche il fresco nei giorni ferragostani, era considerato un “bene per tutti”, ricchi o poveri, grandi e piccoli.
Un “bene comune” si direbbe oggi, da salvaguardare: nell’epoca dei condizionatori d’aria e dei cambiamenti climatici, quella delle stanze dello scirocco può sembrare una storiella. Ma certamente spiega cos’è un “bene Comune”, quei beni essenziali, per lo più naturali, ma indispensabili per vivere, una volta dati per scontati ( come l’acqua,l’aria ,la terra, ad esempio),ma che negli ultimi anni, sono diventati invece oggetto di privatizzazioni,acquisizioni, spesso speculazioni, contro i quali si è vista una riscoperta di attenzione , risvegliando una coscienza diffusa, emersa e rivelata nei referendum di giugno. Tranne poi scoprire, a distanza di poche settimane, che chi voleva privatizzare l’acqua, nonostante il secco no del 57% degli italiani ,ha cercato altre vie per riprovarci.
E’ bene però riflettere e ricominciare a discutere: perché il concetto di “bene comune” è legato al nostro vivere in quanto società: e scontato non è quando si applicano le stesse logiche dell’economia privatistica alle risorse naturali essenziali come l’acqua,dolce e salata, l’aria, l’ambiente in generale ed anche l’etere, lo spazio,il cielo. Perchè il “bene comune” è qualcosa di parallelo ma anche di altro rispetto ai “diritti” delle persone.
Respirare aria ,pulita, è un mio diritto, per questo l’aria è un bene comune e per questo deve essere respirabile, non inquinata e la collettività, chi la governa, deve far sì che i limiti di inquinamento siano sotto la norma di pericolo. Lo stesso vale per l’acqua:non si vive senza bere, l’acqua è quindi un diritto per ogni essere vivente,deve essere disponibile e potabile,per tutti, quindi pubblica cioè gestita dal governo della collettività perché, pagandone il servizio, sia a disposizione dei cittadini.
Se bere è un diritto inalienabile, l’acqua è l’oggetto di questo diritto, è il bene comune agli esseri viventi, esseri umani senza distinzione di censo,di sesso , di colore della pelle e di luogo della terra dove si è nati. Aria ed acqua sono prodotti della natura, della terra: ci sono dati perché noi vivessimo, abbiamo il dovere di usarli e ridarli puliti perché altri esseri viventi la possano usare. Sono beni comuni per questo, implicano a loro volta un impegno,pubblico quindi di tutti, perché siano ereditabili, dopo esserne stati disponibili. Scoprire oggi il valore dei “beni comuni” ha quindi una valenza mondiale , anche proiettandone il significato verso il futuro, passando dall’attualità di casa nostra: in un’epoca di crisi economica che rischia di avere ripercussioni pesanti anche sugli assetti politici delle nazioni, sul concetto stesso di democrazia nel nostro pianeta, riscoprire i valori dei beni comuni ha il senso di rinsaldare la solidarietà tra persone ed i meccanismi di fiducia nelle relazioni all’interno di una democrazia.
E’ un diritto infatti la sicurezza nella vita quotidiana, l’azione di rispetto delle regole comuni di convivenza in un quartiere cittadino o in un paese dell’Aspromonte; è un bene comune il territorio dove abitiamo si intrecciano relazioni sociali, dove lavoriamo o dove ci divertiamo, dove vogliamo creare opere artistiche e culturali e dobbiamo avere la possibilità di farlo. Il territorio è quindi un bene comune,in quanto luogo della vita e della speranza. Per questo deve essere disinquinato dalla violenza,dalle mafie e dalla corruzione, per ridare quel bene comune alla libertà di impresa e di lavoro, alla voglia di vivere e di crescere dei giovani. E per questo si chiede sicurezza e presenza dello Stato. Per questo si chiede una bella politica per attuare questi obiettivi .
E’ un diritto l’informazione libera ed imparziale, il pluralismo delle testate e delle opinioni: ed è un bene comune,ad esempio, l’etere dove passano i segnali televisivi,radiofonici, telefonici, wi-fi. Perché è un bene limitato (le frequenze radio non sono infinite) e quindi la pluralità di presenze deve essere regolato nel nome delle pluralità di voci e opinioni. Quindi l’etere è un bene comune da difendere come tale, cioè come base della democrazia. Invece è stato territorio di scorribande e della legge del pistolere più forte, dove l’accaparramento di possibilità di trasmettere da parte di un solo gestore ha ammazzato la concorrenza libera, usando gli appoggi politici prima ed il “possesso” del governo poi, per eliminare i concorrenti privati, comprando addirittura le sentenze come sancito dal Tribunale per il caso Mondatori, limitando nei fatti la libertà dei cittadini ad essere informati correttamente e impossessandosi , rendendolo privato,di una grande parte di un bene comune come l’etere e l’informazione che vi transita..
Anche questo bene comune va restituito alla collettività, così come il servizio pubblico radiotelevisivo che essendo custode del bene comune ed avendo in concessione le frequenze televisive dallo Stato per questo scopo, deve essere liberato dall’occupazione dei governi e ridato alla politica sana dei cittadini.
Il concetto di bene comune ha poi anche un’altra fondamentale valenza: restituisce alle persone il senso della comunità avendo un bene di tutti da gestire per ridare alla politica il suo ruolo di gestione del bene di tutti in nome di tutti. Riprendere in mano la bandiera del bene comune da’ il senso di una ripartenza della bella politica, del ritorno ai fondamentali,per risalire la china dopo il disastroso degrado degli ultimi anni; così come si è visto con la battaglia dei referendum ma ancor prima con le elezioni comunali di questo 2011; a Milano,a Napoli ma anche a Bologna e Torino.
Allargare il concetto di ciò che deve restare pubblico e bene comune a tutto ciò che è di importanza basilare ed essenziale nella nostra civiltà, dall’acqua all’informazione, diventa così un tema politico e culturale, aiuta la formazione di una consapevolezza dei diritti e dei doveri, crea le basi di un rispetto delle regole di convivenza civile, oggi minata giornalmente dall’esempio e dalla pratica individualista, accaparratrice a costo della violenza, e fondamentalmente chiusa quanto egoista del berlusconismo. Aprire e sviluppare il concetto di bene comune diventa automaticamente Cultura, riflessione e rappresentazione di noi stessi,propone argomenti di identificazione culturale. E comunque apre gli occhi di fronte al problema della distruzione dei valori così come delle risorse naturali; aiuta a cercare e mettere in comune i “fondamentali” su cui costruire un futuro pulito. E fa capire la nostra limitatezza su questo pianeta aprendo la mente a possibili vie alternative di crescita economica ed alle profonde diversità che oggi mettono i popoli come le singole persone solo in contrapposizione costante e in competizione continua, aprendo la strada alle guerre come alle violenze di casa nostra.
Ed è infine “bene comune” la Pace che tutto racchiude in sé; perché non c’è pace in famiglia senza lavoro dignitoso, senza una abitazione non precaria, senza la serenità di una scuola che insegna a vivere, senza una sanità pubblica che assista. dando la sicurezza di poter essere curati in caso di necessità anche se si è poveri. La Pace quindi, non solo come assenza di guerra, ma come progetto di vita solidale: come i beni comuni, appunto