di Ottavio Olita
Il dolore e la dignità dei Kercher, il fratello, la sorella, la madre di quella povera Meredith, massacrata quattro anni fa, a 22 anni, quando aveva cominciato a costruire il proprio futuro. E il rispetto per quei giudici che pure avevano appena tolto loro la speranza di trovare consolazione alla tragedia dando una risposta alla loro aspettativa di giustizia. Pensate: fuori urlavano “Vergogna!”, loro ripetevano una parola caduta in disuso nel nostro disgraziato Paese: “Rispetto”.
Una lezione, soprattutto per chi immediatamente si è affannato a riversare palate di letame sui primi giudici, sugli investigatori, sugli inquirenti. Ma una lezione anche per ognuno di noi che solo raramente ci interroghiamo sul difficilissimo mestiere che svolge chi è chiamato ad amministrare la giustizia. Anche perché abbiamo il vizio di seguire le vicende giudiziarie come se fossimo sfegatati tifosi di una qualunque squadra di calcio. Così ci piacciono i titoli dei giornali quando sostengono i nostri beniamini, li detestiamo quando mettono in dubbio la loro limpidità. E poco importa se in gioco c’è la vita di tre ragazzi come Meredith, Raffaele ed Amanda. L’informazione frammentaria che sulle vicende giudiziarie acquisiamo dai quotidiani fa sì che ci formiamo delle idee assolutamente parziali di quanto è accaduto. Nessuno mai si sofferma a spiegare che i giudici devono districarsi tra decine di faldoni, migliaia di atti, pagine e pagine di testimonianze, perizie, indizi. Chi fa cronaca giudiziaria lo sa, ma chi costruisce il ‘prodotto’ giornale spesso tiene in poco conto gli scrupoli del cronista.
E’ in questo meccanismo che si inserisce allora un’altra formidabile macchina complessa e sofisticata, molto simile alla pubblicità: la ricostruzione di immagini logorate. E’ stato fatto per i due ragazzi imputati ed è stato probabilmente questo che ha infastidito di più quanti, non conoscendo gli atti, hanno creduto che solo l’operazione di immagine – assolutamente inesistente, per esempio, nel caso di Rudy Guedè, ora unico condannato – fosse servita a far cambiare idea ai giudici. Anche questo è offensivo. Io non ho avuto la possibilità di leggere la mole degli atti e per questo non mi pronuncio, così come non dovrebbe pronunciarsi nessuno che sia nella mia stessa condizione. Certo le carte hanno portato a conclusioni diverse i primi giudici e quelli d’appello, la pubblica accusa e i difensori, ma l’esercizio della giustizia è questo: fatica, studio, ricerca. E la sintesi è difficile e angosciante: la Corte è rimasta riunita in camera di consiglio quasi undici ore.
Ora, i giudici togati e i giudici popolari che hanno dovuto emettere la sentenza, da chi o da cosa si saranno sentiti più gratificati? dai complimenti dei difensori, dalle lacrime di Amanda, dal sorriso di Raffaele, dalla gioia esplosiva dei loro genitori? Io non credo. Credo che sia stata proprio quella parola “Rispetto” pronunciata dai Kercher, i quali, unici, hanno capito il loro dramma: doversi districare fra le vite di tre giovani contrapposte fra loro: la prima, brutalmente stroncata, quattro anni fa, altre due che sarebbero rimaste inesorabilmente segnate da sentenze di condanna.
Un cittadino di Perugia, intervistato in uno dei tanti Tg ha dichiarato: questa è la verità processuale. Quella effettuale la sanno solo Raffaele e Amanda, oltre a Dio, per chi crede. Questa è saggezza. E per favore, almeno ora, lasciamo in pace quella povera Meredith, descritta come ragazza solare, intelligente, felice d’essere in Italia e quel rispetto che hanno dichiarato i suoi familiari restituiamolo loro almeno in un modo: smettendola di dire, come ha fatto qualche parente degli imputati, che è stato proprio lo spirito di Meredith ad illuminare i giudici e a far assolvere Amanda e Raffaele.