di Redazione
30,1%. E' questo secondo i dati provvisori e destagionalizzati dell'Istat il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) nel mese di novembre, il dato più alto da gennaio 2004. Intanto impazza il dibattito sull'articolo18. In redazione abbiamo ricevuto numerose e interessanti riflessioni sul tema da parte di giovani lettori e nuovi collaboratori di Articolo21. Contributi di segno spesso opposto ma accomunati dalla preoccupazione per le sorti dell'occupazione giovanile (e non solo). Ve ne proponiamo due, quelle di Valentina Mastrocola e di Giulio Sardi.
L'ideologia soffocante dei sindacati
di Valentina Mastrocola
Mentre il governo sostiene che solo modificando l'Art.18 i livelli di occupazione cresceranno, i sindacati fanno le barricate,e la sinistra, come al solito, si divide. La Camusso, più agguerrita che mai, parla di un attacco ai diritti fondamentali dei lavoratori. A tal proposito vorrei ricordare che già nel 2000, quando fu proposto il referendum che avrebbe dovuto abrogare (e non modificare) l'Art. 18, la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi circa l'ammissibilità, sentenziò con esito positivo; rimanendo quindi poco fondata la tesi secondo cui l'Art.18 debba essere considerato diritto fondamentale, e come tale “inattaccabile”, concentrerei l'attenzione sull'effettiva volontà del Governo, il quale vorrebbe AMPLIARE la portata di suddetto articolo a TUTTI i lavoratori DIPENDENTI . Ci sono ditte, (ovviamente al di sotto delle 15 unità) che evitano di assumere, oppure, se lo fanno, lo fanno assumendo in nero, perchè superando il limite massimo, tutte le sue maestranze sarebbero assoggettate all'Art. 18, e di conseguenza sarebbe possibile licenziare SOLO per giusta causa. I sindacati,(ovviamente la Cgil in prima linea) reputano inaccettabile la possibile adesione al cosiddetto "progetto Flexsecurity " del Senatore del Pd, Pietro Ichino . Dobbiamo prendere coscienza che il mercato del lavoro non è più quello di una volta,oggi c'è bisogno di più flessibilità, un sistema lavorativo di inamovibilità non è più pensabile in una situazione economica come questa. Adottando il modello della Flexsecurity di Pietro Ichino, per i motivi di licenziamento "personali" rimarrebbe applicabile l'Art. 18, ampliandone la portata come già detto pocanzi, mentre per motivi economici ed organizzativi, quindi legati alla gestione dell'azienda, il lavoratore,qualora venisse licenziato riceverebbe un indennizzo che crescerebbe con l'anzianità di servizio. La proposta a mio avviso più innovativa, è quella che disciplina l'attivazione di un'assicurazione complementare contro la disoccupazione, finanziata dalle stesse imprese (a loro volta finanziate in parte dal Fondo Sociale Europeo),c on una copertura iniziale del 90% dell'ultima retribuzione, che scende al 70/% nei due anni successivi. Di conseguenza, al momento del licenziamento, il pagamento sarebbe AUTOMATICO, non essendoci bisogno di nessun giudice del lavoro. Conservare così com'è l'Art 18 non ha senso, in quanto, non solo non dà una tutela equa a chi il lavoro ce l'ha, ma non dà nemmeno un briciolo d'assistenza a chi è stato appena licenziato. Quindi mi chiedo,che cosa dobbiamo conservare? Il diritto di essere licenziati senza un minimo di assistenza ?!? Ah, no, dimenticavo che per essere licenziati bisogna ancor prima essere assunti, quindi forza Camusso ,continua a tutelare il nostro diritto,inviolato da anni , alla perpetua disoccupazione.
Abolire l'art. 18 serve solo a chi vuole spaccare la sinistra
di Giulio Sardi
Dopo aver riformato le pensioni, il governo Monti si appresta a metter mano al mercato del lavoro e sembra intenzionato ad utilizzare come base di partenza una ipotesi molto simile alla flexsecurity di Pietro Ichino. Si tratta, in estrema sintesi, del paradosso di un contratto unico a tempo indeterminato ma con libertà assoluta di licenziare e di un sostegno economico legato alla formazione del licenziato, in modo che possa trovare un nuovo e diverso lavoro in cui ricollocarsi.
In realtà la parte "security" sarebbe tutta da verificare: l'unica sicurezza che il lavoratore avrebbe sarebbe quella della sua "nuova formazione", non quella che tale "nuova formazione" lo porti ad un nuovo posto di lavoro. La parte "flex", invece, si realizzerebbe immediatamente con la cancellazione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, cioé quello che punisce con il reintegro, solo per le imprese con più di quindici dipendenti, i licenziamenti vietati dalla legge, cioé non per giusta causa (gravi inadempimenti del lavoratore) o per giustificato motivo, anche oggettivo (esigenze economiche di ristrutturazione dell'azienda, che in quanto tali sono già ampiamente tutelate, tant'è che siamo attualmente vicini ad un miliardo di ore di cassa integrazione).
ll principale motivo per cui Ichino ritiene necessario cancellare l'art. 18 è il tempo lungo (da 2 a 6 anni) per la definizione delle cause giudiziarie per licenziamento, che lascerebbero le aziende in una situazione d'incertezza insostenibile. E' come dire che, siccome i tempi della giustizia penale sono lunghi, non si procede a riformare la giustizia, ma si dà ai cittadini la libertà di delinquere, obbligandoli tutt'al più a risarcire la vittima del reato.
Ma qual'è l'impellente esigenza che spinge a comprimere il valore costituzionale dell'esistenza libera e dignitosa del lavoratore? Di cosa stiamo parlando? E' presto detto: di una cinquantina di cause all'anno per violazione dell'art. 18, tra l'altro in un contesto di crisi in cui ci sono 2 milioni e mezzo di persone che non trovano lavoro, in cui l'80% degli assunti sono precari ed in cui, nel 2012, si prevedono ben 800.000 licenziamenti. Tant'è che neppure Confindustria ha messo l'abolizione dell'art. 18 nelle sue richieste al governo.
A chi serve, allora, abrogare l'art. 18? Serve solo ai fautori di quel progetto politico che punta alla cancellazione della sinistra. Lo stesso progetto che, con il governo Monti, ha prima impedito che una coalizione di sinistra vincesse le elezioni e governasse, per poi dividere sulla manovra il PD dall'IdV e da Sel, stracciando di fatto la foto di Vasto, e che ora punta alla scissione dello stesso PD, dove le posizioni della maggioranza (?) bersaniana dei Fassina, Damiano e Cofferati faticheranno non poco a conciliarsi con quelle della minoranza (?) veltroniana dei Letta, Fioroni ed Ichino. In modo che in campo resti solo il partito unico centrista, imbattibile come la DC dei bei tempi andati.