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Non F-35 ma libri per la democrazia
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di Federico Orlando

Non F-35 ma libri per la democrazia

Da Torino ci informano nel giorno della befana che il professore del liceo “Massimo D'Azeglio” Renato Pallavidini, allontanato dalla cattedra, non vi tornerà, perché continua a esaltare su facebook Hitler e il regime nazista. E ci annunciano che dopo trent'anni di demonizzazione storiografica, e di scomparsa dalle librerie dei tre volumi di Rosario Romeo su Cavour e il suo tempo (a cui Napolitano ha detto in un discorso agli italiani d'essersi ispirato nel riaccendere la passione patria), tornerà fra qualche settimana, dopo trent'anni,  in libreria, per iniziativa del Comitato nazionale presieduto da Piero Craveri (vice presidente Valerio Zanone). Comitato a lungo sabotato da tirapiedi di Bondi ai Beni Culturali. La notizia della ristampa ci conforta più di quanto ci deprima l'altra di leghisti, anarchici e altri residuati che si preparano a contestare Mario Monti a Reggio Emilia, in visita  per i 215 anni del tricolore. 

Non è che un aspetto marginale della crisi italiana, certo. Ma ad alcuni, pochi, tra i quali ci mettiamo, sembra un problema centrale: l'educazione civica, fatta di conoscenza delle leggi, della storia, delle istituzioni. La democrazia è in crisi e le sue libertà sono a rischio in molti paesi. I giornali danno notizie in proposito. Ma non fanno ricerche del filo rosso che unisce i vari “episodi”: sembrano ripetere storie degli anni Venti, e nascono dal rapporto fra la crescente perdita di fiducia nel  futuro comune e la ricerca di qualcosa di solido nel passato nazionale, a cui aggrapparsi.
 
Così si pubblicano pagine (bellissima quella di Tacconi in Europa di ieri) sul capo del governo ungherese Victor Orban, che adotta una costituzione filonazista, quasi in ideale continuità con la dittatura dell'ammiraglio Horty, il “Reggente” al trono di Santo Stefano mai restaurato, dopo l'ignobile smembramento dell'Ungheria e dell'Austria perpetrato da Willson e compagni anglo-franco-italiani alla conferenza di Versaille, madre delle vittorie mutilate e delle sconfitte da vendicare col fascio, con la svastica o con le croci frecciate del Reggente. Che ci distrussero la vita per un altro ventennio. E non c'è un gerarca del Partito popolare europeo (dove Orban fu accolto dopo la fuoriuscita dall'Internazionale liberale) che proponga di metterlo al bando. Come invece aveva fatto, se posso paragonare un pesciolino a una balena bianca, l'italiano Giovanni Malagodi negli Anni Ottanta, quando da presidente dell'Internazionale liberale ne scacciò Haider, per aver tenuto il congresso del suo partito a Braunau, il paese dov'era nato Hitler. “In Italia – gli ruttò in faccia – un partito che scegliesse di fare il suo congresso a Predappio, non potrebbe  chiamarsi liberale”. Altri tempi, altre epidermidi.

Questa epidemia di riscrivere le costituzioni, i testi di storia per le scuole, i giornali con le veline del governo, deve suonare come campanello d'allarme. Berlusconi non è il solo a pensare, come disse un mese fa a chi gli contestava che il fascismo era stato una dittatura, “diciamo una democrazia minore”. Anche per il capo del governo di destra del Cile, Sebastian Pinèra, quella di Pinochet non fu una dittatura, ma solo un “regime militare”. “Una dittatura è una dittatura e basta”, gli ha replicato Eduardo Frei, presidente della Dc, che come i socialisti di Allende fu egualmente travolto dai cari armati. Ma intanto nelle scuole elementari cilene, come forse in quelle di Budapest, si insegnerà che una dittatura, se s'incarna in un generale o in un ammiraglio, è solo un “regime militare”. Anche se fa sparare nel mucchio. Vedi Moubarak in Egitto.

In  Turchia, dove molti vorrebbero entrare nell'Unione europea, il governo Erdogan fa processare in una volta sola 13 giornalisti con l'accusa di complotto. Il fatto è che, mentre Europa e Stati Uniti s'inventano la”democrazia islamica” (come dire la democrazia cristiana dei paesi islamici), pur di scongiurare fantasmi fondamentalisti sul Bosforo, la democrazia islamica stringe giri di vite all'interno: a cominciare dai giornali. Ci sarebbero più giornalisti in carcere in Turchia (97) che in Cina; e, come scrive la Repubblica traducendo dal New York Times, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha ricevuto nel 2011 oltre 9000 reclami contro la Turchia, per violazioni della libertà di stampa. Due anni fa, erano stati 6500. E migliaia sono i siti internet oscurati, avendo osato parlare di curdi e di armeni. Addirittura, 138 parole sono state bandite dal web. A conferma di quanto veniamo scrivendo su Europa da settimane, e cioè che siamo entrati nuovamente in una fase in cui   la guerra, prima che con gli F-35, si fa con  le parole, essendo la parola l'arma assoluta, nel bene e nel male.

Perciò ci aspettiamo che in Italia il governo Monti proceda alla guerra contro il default e in parallelo alla guerra contro l'uso strumentale delle parole che cambiano i fatti. Come  “democrazia minore”, in luogo di “dittatura”. E chiediamo ai  ministri della cultura e dell'istruzione se sanno, per caso, quali opere importanti sono cadute in Italia sotto la mannaia di censure civili ed ecclesiastiche, di egemonie culturali di sinistra e di destra. E se non ritengano di indire una conferenza nazionale degli editori e degli autori per accertarlo, discutere il problema senza interferenze, valutare la possibilità di colmare gli spazi vuoti negli scaffali: come stanno facendo a Torino con l'aiuto di Laterza,  dando a cittadini e scuole altre luci, più necessarie quando si fa buio. Un binomio da cambiare - di Nicola Tranfaglia


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