di Roberto Bertoni
Ce l’hanno detto tante volte: “Non esagerate, non protestate per tutto, siete dei fissati!”. Ce lo hanno ripetuto ossessivamente i “berluscones”: “Con l’anti-berlusconismo non si va da nessuna parte, così non vincerete mai!” ma noi, forse per ingenuità, forse perché davvero crediamo in un’Italia migliore, abbiamo continuato, imperterriti, fino a quando questo pericolo per la democrazia non è stato costretto a rassegnare le dimissioni.
“E adesso che fate?” ci ha chiesto qualcun altro, impertinente, sottintendendo: “Finito Berlusconi, siete finiti anche voi”. Non è così e lo abbiamo dimostrato mercoledì pomeriggio, partecipando con orgoglio alla manifestazione indetta dall’FNSI sotto l’ambasciata ungherese, in difesa della democrazia e dei giornalisti magiari minacciati dalle leggi fascistoidi del governo di estrema destra di Viktor Orbán. Ci siamo ritrovati in un gelido giorno di gennaio per dire no alle stesse leggi contro cui abbiamo lottato per anni in Italia: censure, bavagli, attacchi insopportabili alla libertà di stampa e d’espressione. Ci siamo ritrovati insieme a quei movimenti con i quali abbiamo animato la scorsa Primavera: la Primavera di Napoli e di Milano, dei Referendum vittoriosi, delle stoccate decisive al berlusconismo ormai morente ma, purtroppo, non ancora alle spalle, come dimostra il pessimo esito del voto alla Camera sull’arresto di Cosentino.
Ci siamo ritrovati anche per chiedere a tutti i partiti, nazionali e internazionali, un atto di coraggio: espellere Orbán dal PPE; espellere eventualmente, come “extrema ratio”, l’Ungheria dall’UE, in quanto Stato non più in linea con i parametri democratici richiesti dal Trattato di Lisbona; evitare che a qualcuno venga la tentazione di dire: “Vabbè, ma in fondo che ce ne importa dell’Ungheria?”, salvo ritrovarsi poi con un clima simile a quello del 1938, quando le troppe esitazioni di Chamberlain e Daladier spalancarono le porte alla ferocia nazista, in un’Europa gravata dal peso di alcuni regimi feroci e numerose democrazie inerti.
Non è vero che l’Ungheria è lontana, non è vero, per dirla con lo scrittore americano Sinclair Lewis, che “qui non è possibile” (anche perché qui, come si è visto, è possibilissimo e, in parte, sono già accadute cose analoghe), non è vero che qualcuno può sentirsi al sicuro di fronte ad un’ombra che si stende da anni sulla superficie del Vecchio Continente e ci ha condannato ad avere un Parlamento europeo governato dalle destre che, com’era ovvio aspettarsi, stanno mettendo a rischio l’esistenza stessa dell’Europa e dell’Euro.
E non è vero, infine, che tutti i regimi sono diversi e si palesano sotto modalità differenti perché accade esattamente il contrario. Tutti i regimi sono uguali, oltremodo pericolosi proprio perché condividono le stesse finalità e sono più contagiosi della Peste, solo che da qualche parte riescono a camuffarsi, a mimetizzarsi meglio; il che li rende ancora più dannosi e difficili da contrastare.
Come negli anni che precedettero l’avvento del fascismo, oggi non sono le dittature ad avanzare: è la democrazia che sta retrocedendo in maniera allarmante.
Analizzando ciò che è accaduto in Italia, e non solo in Italia, in questi anni, potremmo dire che siamo già in una fase di post-democrazia, con i poteri democratici sempre più in conflitto fra loro e l’anti-politica al diapason, le società occidentali in preda al malcontento e al disincanto e governi sempre più deboli e pressati da lobby, cricche, poteri occulti e malaffare di varia natura che svuotano la democrazia dall’interno fino ad annientarla.
Per questo, noi di Articolo 21 abbiamo aderito all’iniziativa promossa da Roberto Natale e Franco Siddi; per questo, continueremo a batterci con coraggio e dignità contro ogni censura e ogni bavaglio, esplicito o implicito, manifesto o ben nascosto nelle pieghe di qualche legge dedicata ad altro; per questo anche noi, al pari dei dimostranti di Budapest (con i quali, peraltro, eravamo in collegamento durante il sit-in), consideriamo l’Inno alla gioia di Beethoven uno dei simboli più alti della storia europea, soprattutto per quel richiamo all’unità che all’epoca del grande compositore tedesco era solo una chimera: “Abbracciatevi, moltitudini! / Questo bacio vada al mondo intero! / Fratelli, sopra il cielo stellato / deve abitare un padre affettuoso”. Oggi è una realtà, ma abbiamo il dovere di difenderla, di guardare avanti e di non tornare indietro, anche perché da certi abissi è difficile risollevarsi.
P.S. Anche questo articolo, come molti altri pubblicati in questi giorni sul nostro sito, è dedicato al reporter francese di France 2, Gilles Jacquier, assassinato mercoledì mattina a Homs mentre cercava di raccontare la rivolta del popolo siriano contro il presidente Bashar al-Assad. È pure per lui che abbiamo manifestato sotto l’ambasciata ungherese, per onorare la sua memoria e il ricordo di quanti come lui non hanno esitato a sacrificare addirittura la vita per poter svolgere correttamente il proprio mestiere.