di Domenico d'Amati
Nelle indagini antievasione condotte a Milano, gli operatori dell’Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza sono stati accompagnati dagli ispettori dell’Inps, che hanno verificato l’inquadramento dei lavoratori impiegati delle aziende ispezionate e il pagamento o meno dei contributi previdenziali.
“Dal momento che il ricorso al lavoro nero si accompagna abitualmente all’evasione fiscale e previdenziale, non ritiene che il Governo debba favorire sinergie fra la Guardia di Finanza e i servizi ispettivi del lavoro?” è una delle domande che Articolo21 aveva posto al Presidente del Consiglio nello scorso dicembre.
E’ necessario ora che il Governo continui su questa strada, potenziando i servizi ispettivi e la giustizia del lavoro. Quest’ultima sarà chiamata, tra l’altro, ad occuparsi delle opposizioni che prevedibilmente le aziende ispezionate proporranno in Tribunale per ottenere l’annullamento delle sanzioni.
Quel che più conta tuttavia è che si sia dato un segnale nella direzione giusta. Finora del lavoro nero e del precariato abusivo si è fatto carico non a chi ne trae vantaggio, ma ai cosiddetti lavoratori “iperprotetti” dall’art. 18. Da ultimo sul Corriere della Sera, Alberto Alesina e Francesco Giavazzi hanno affermato che l’art. 18 sancisce l’illicenziabilità per motivi economici e hanno posto ciò in relazione con il fenomeno della precarietà involontaria.
Queste informazioni avrebbero dovuto essere rettificate.
Anzitutto non è vero che l’art. 18 impedisca il licenziamento per motivi economici. Oggi, come nei 41 anni trascorsi dall'entrata in vigore dello Statuto, l'imprenditore può licenziare un suo dipendente se risulta superfluo e non più utilizzabile per ragioni organizzative, come pure se è divenuto non idoneo al lavoro, se non fa il suo dovere, se viola le regole della disciplina aziendale e persino se tiene, al di fuori del rapporto di lavoro, comportamenti scorretti tali da minare la fiducia dell'azienda.
V’è poi per l’imprenditore la possibilità di ricorrere a licenziamenti collettivi per ragioni economiche ovvero organizzative. I dipendenti dell’OMSA, dell’Iribus e in genere delle numerose aziende in crisi, di cui si discute in questi giorni sui tavoli ministeriali, appartengono, secondo le teorie riformatrici dei rapporti di lavoro, alla categoria degli “iperprotetti”, perché nelle loro fabbriche è applicabile l’articolo 18 dello Statuto. Alla luce dei fatti qualcuno dovrebbe spiegare in che cosa consista l’iperprotezione, visto che questi lavoratori stanno vivendo il dramma della disoccupazione spesso per effetto di delocalizzazioni mirate a finalità di mero accrescimento dei profitti.
Quel che da' fastidio, dell'articolo 18, è che esso prevede il diritto del lavoratore licenziato ingiustamente o senza motivo, di essere reintegrato dal giudice nel posto di lavoro. Ma questo è un diritto che il nostro ordinamento riconosce a chiunque abbia subito un'inadempienza contrattuale, attribuendogli la facoltà di ottenere dal giudice non solo il risarcimento del danno, ma anche la condanna dell'altra parte all'adempimento.
Chi sostiene che il precariato può essere eliminato solo riformando l’art. 18 nasconde il suo vero scopo, che è quello di indebolire una norma posta a tutela non solo degli interessi economici, ma soprattutto della libertà e della dignità dei lavoratori