Articolo 21 - ESTERI
Gli scheletri di Santorum
di Guido Moltedo
Tenete d'occhio il vecchio texano, che la sa lunga sugli ultraconservatori evangelici americani. Scriveva qualche giorno fa sul suo ConservativeHQ: «Mitt Romney può anche aver lasciato il Nevada con la baldanza del primo in classifica, ma se si va a vedere più in profondità, i suoi alleati dell'establishment repubblicano devono essere preoccupati». Classe 1933, precursore delle campagne via internet con il suo sistema della "posta diretta", cioè basata su indirizzari segmentati e mirati, e fondatore, con Howard Phillips, della Moral Majority, il più vasto e incisivo movimento cristiano di destra dell'epoca reaganiana, Richard Viguerie è ancora sulla scena, nella parte del mattatore. Dispensa giudizi, ascoltatissimi, sulla politica repubblicana e sui rapporti del Gop con i destroni cristiani, dà pagelle e offre il suo ricercatissimo sostegno.
Lo fa senza entusiasmo, come dovendo scegliere il male minore. Ma intanto il suo endorsement, anche se avaro, conta tantissimo. E infatti, il beneficiato, Rick Santorum, se lo "vende" come la più importante delle sue conquiste, dacché è entrato nella corsa per la nomination repubblicana. Al punto da citare l'odiatissima The Nation, il corrispettivo del manifesto in America, per vantarsene, attraverso il suo ufficio stampa: secondo il settimanale della sinistra newyorchese, Viguerie è «uno dei creatori del moderno movimento conservatore». E infatti Viguerie è tuttora rispettatissimo in quel mondo. La decisione di sostenere l'ex senatore della Pennsylvania è stata annunciata al termine di una riunione di centocinquanta leader social conservative che si è tenuta in Texas il 14 gennaio scorso, nella quale Viguerie è stato determinante. «Vi esorto a unirvi a me nel sostenere Rick Santorum, in quanto è il conservatore con più possibilità di conseguire la nomination repubblicana per la presidenza». Da allora, quella che sembrava la più ambita delle sponsorizzazioni era restata inascoltata dalla base repubblicana, anche quella che si definisce convintamente conservatrice.
Mitt Romney si è visto votare anche dai più recalcitranti elettori evangelici, specie in Florida e Nevada. Rick Santorum, dopo il successo in Iowa, sembrava invece destinato a finire fuori. Poi, martedì, la svolta, con una tripletta. In tre stati - Minnesota, Missouri, Colorado - Santorum consegue un successo che non rende molto in termini di delegati da inviare alla convention repubblicana di Tampa, ma che ha un rilevante significato politico. Non tanto per il suo destino, però. Ma perché mette in chiaro l'elevata vulnerabilità del frontrunner mormone nel campo "socialconservatore", così come aveva puntualizzato Viguerie nella sua nota su ConservativeHQ.
Già, il voto di martedì non solo rimette in corsa Santorum come il più accreditato sfidante di Romney, in rappresentanza dell'elettorato ultrareligioso, ma soprattutto getta luce sulla difficoltà dell'ex governatore del Massachusetts di arrivare alla fine della corsa in condizioni credibili, al cospetto di una fetta di votanti decisivo per la sua successiva scommessa, la sfida diretta con Obama. Rick Santorum potrà certo capitalizzare la tripletta di martedì e forse ha altri successi di fronte a sé, tali perfino da consentirgli un solido secondo posto nel prosieguo delle primarie. Eppure resta un candidato con notevoli impedimenti, anche agli occhi dei suoi sostenitori. Lo stesso Viguerie, prima che iniziasse la corsa repubblicana, l'aveva segnalato come una scelta di ripiego. Con queste parole: «Santorum is not perfect, he's not ideal». Ma. Ma «è significativamente meglio di Romney».
Dunque, se Romney è considerato il più attrezzato a sconfiggere Obama e solo per questo "votabile" anche dall'elettorato ultraconservatore, Santorum è semplicemente «meglio di Romney». Non è perfetto. Non è ideale. E infatti ha numerosi scheletri nell'armadio, questo ex senatore della Pennsylvania che parla di small government, e però nel periodo in cui è stato senatore ha incanalato fior di fondi federali verso il suo stato. E che si è distinto per la sua stretta contiguità con le lobby di K Street, che per il movimento dell'antipolitica del Tea Party rappresentano un nemico perfino più detestabile degli stessi politici di professione che infestano la Washington "ladrona". Anzi, quando nel 2006 perse il seggio di senatore, una sconfitta inaspettata per un politico considerato sulla cresta dell'onda, Santorum fece soldi a palate lavorando per le stesse lobby che aveva favorito nel corso del suo mandato senatoriale. Perse per queste sue pericolose relazioni? Sì, ma anche per le sue incaute dichiarazioni che lo confermavano come un politico a dir poco ambiguo e inaffidabile, agli occhi dei duri e puri dell'ultradestra religiosa.
Quando George W. Bush era giù giù nei sondaggi (38 per cento) ed era mal visto dai conservatori non per la sua guerra in Iraq ma per essere considerato un presidente spendaccione, Santorum disse che «è stato un fantastico presidente, assolutamente». Così come l'endorsement che ricevette dal collega Arlen Specter, nelle elezioni del 2004, lasciò una brutta traccia nell'elettorato ultrà, che tuttora brucia.
Un'eresia. Il senatore Specter, repubblicano poi passato ai democratici, era considerato in quegli ambienti un sovversivo. Non il suo curriculum, non le sue posizioni in materia di economia, per il cinquantatreenne cattolicissimo discendente di un immigrato di Riva del Garda, padre di sette figli, resta il terreno dei "valori", in cima ai quali c'è la sua nota omofobia, quello su cui può giocare la sua partita nelle primarie. Non tanto per superare Romney, ma per ambire più realisticamente alla designazione come vice-presidente. Dovrà vedersela con Newt Gingrich.
Lo fa senza entusiasmo, come dovendo scegliere il male minore. Ma intanto il suo endorsement, anche se avaro, conta tantissimo. E infatti, il beneficiato, Rick Santorum, se lo "vende" come la più importante delle sue conquiste, dacché è entrato nella corsa per la nomination repubblicana. Al punto da citare l'odiatissima The Nation, il corrispettivo del manifesto in America, per vantarsene, attraverso il suo ufficio stampa: secondo il settimanale della sinistra newyorchese, Viguerie è «uno dei creatori del moderno movimento conservatore». E infatti Viguerie è tuttora rispettatissimo in quel mondo. La decisione di sostenere l'ex senatore della Pennsylvania è stata annunciata al termine di una riunione di centocinquanta leader social conservative che si è tenuta in Texas il 14 gennaio scorso, nella quale Viguerie è stato determinante. «Vi esorto a unirvi a me nel sostenere Rick Santorum, in quanto è il conservatore con più possibilità di conseguire la nomination repubblicana per la presidenza». Da allora, quella che sembrava la più ambita delle sponsorizzazioni era restata inascoltata dalla base repubblicana, anche quella che si definisce convintamente conservatrice.
Mitt Romney si è visto votare anche dai più recalcitranti elettori evangelici, specie in Florida e Nevada. Rick Santorum, dopo il successo in Iowa, sembrava invece destinato a finire fuori. Poi, martedì, la svolta, con una tripletta. In tre stati - Minnesota, Missouri, Colorado - Santorum consegue un successo che non rende molto in termini di delegati da inviare alla convention repubblicana di Tampa, ma che ha un rilevante significato politico. Non tanto per il suo destino, però. Ma perché mette in chiaro l'elevata vulnerabilità del frontrunner mormone nel campo "socialconservatore", così come aveva puntualizzato Viguerie nella sua nota su ConservativeHQ.
Già, il voto di martedì non solo rimette in corsa Santorum come il più accreditato sfidante di Romney, in rappresentanza dell'elettorato ultrareligioso, ma soprattutto getta luce sulla difficoltà dell'ex governatore del Massachusetts di arrivare alla fine della corsa in condizioni credibili, al cospetto di una fetta di votanti decisivo per la sua successiva scommessa, la sfida diretta con Obama. Rick Santorum potrà certo capitalizzare la tripletta di martedì e forse ha altri successi di fronte a sé, tali perfino da consentirgli un solido secondo posto nel prosieguo delle primarie. Eppure resta un candidato con notevoli impedimenti, anche agli occhi dei suoi sostenitori. Lo stesso Viguerie, prima che iniziasse la corsa repubblicana, l'aveva segnalato come una scelta di ripiego. Con queste parole: «Santorum is not perfect, he's not ideal». Ma. Ma «è significativamente meglio di Romney».
Dunque, se Romney è considerato il più attrezzato a sconfiggere Obama e solo per questo "votabile" anche dall'elettorato ultraconservatore, Santorum è semplicemente «meglio di Romney». Non è perfetto. Non è ideale. E infatti ha numerosi scheletri nell'armadio, questo ex senatore della Pennsylvania che parla di small government, e però nel periodo in cui è stato senatore ha incanalato fior di fondi federali verso il suo stato. E che si è distinto per la sua stretta contiguità con le lobby di K Street, che per il movimento dell'antipolitica del Tea Party rappresentano un nemico perfino più detestabile degli stessi politici di professione che infestano la Washington "ladrona". Anzi, quando nel 2006 perse il seggio di senatore, una sconfitta inaspettata per un politico considerato sulla cresta dell'onda, Santorum fece soldi a palate lavorando per le stesse lobby che aveva favorito nel corso del suo mandato senatoriale. Perse per queste sue pericolose relazioni? Sì, ma anche per le sue incaute dichiarazioni che lo confermavano come un politico a dir poco ambiguo e inaffidabile, agli occhi dei duri e puri dell'ultradestra religiosa.
Quando George W. Bush era giù giù nei sondaggi (38 per cento) ed era mal visto dai conservatori non per la sua guerra in Iraq ma per essere considerato un presidente spendaccione, Santorum disse che «è stato un fantastico presidente, assolutamente». Così come l'endorsement che ricevette dal collega Arlen Specter, nelle elezioni del 2004, lasciò una brutta traccia nell'elettorato ultrà, che tuttora brucia.
Un'eresia. Il senatore Specter, repubblicano poi passato ai democratici, era considerato in quegli ambienti un sovversivo. Non il suo curriculum, non le sue posizioni in materia di economia, per il cinquantatreenne cattolicissimo discendente di un immigrato di Riva del Garda, padre di sette figli, resta il terreno dei "valori", in cima ai quali c'è la sua nota omofobia, quello su cui può giocare la sua partita nelle primarie. Non tanto per superare Romney, ma per ambire più realisticamente alla designazione come vice-presidente. Dovrà vedersela con Newt Gingrich.
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