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Articolo 21 - ESTERI
La triste fine del cattolicesimo americano
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di Massimo Faggioli

La triste fine del cattolicesimo americano Per le primarie repubblicane i giorni tra le tappe di New Hampshire e South Carolina hanno dato due segnali importanti per comprendere gli allineamenti ideologico-religiosi nella corsa alla nomination. Prima si è avuto l'endorsement di Mitt Romney da parte degli ambasciatori degli Stati Uniti presso la Santa Sede (tutti eccetto quello nominato da Clinton nel 1997 e l'attuale, nominato da Obama nel 2009: le relazioni diplomatiche risalgono solo al 1984).

L'appoggio degli ex ambasciatori (specialmente quello di Mary Ann Glendon, prestigiosa docente di Harvard e presidente dell'Accademia pontificia per le scienze sociali) non ai due candidati cattolici Santorum e Gingrich, ma al candidato mormone, indica che l'istinto di conservazione di quel poco che resta dell'establishment repubblicano porta questa elite in ottimi rapporti con l'Oltretevere ad affidarsi a quel Romney che nelle primarie del 2008 era il candidato conservatore opposto al più liberal McCain, e che oggi invece è il candidato più centrista in un partito occupato dal Tea Party e dai social conservatives.

Una settimana dopo, i pastori evangelical ultraconservatori riuniti in Texas hanno dibattuto sul candidato a loro più vicino e dopo un ballottaggio tra Gingrich e Santorum, la stragrande maggioranza dei voti si è ritrovata attorno all'ex senatore della Pennsylvania noto per le origini italiane e le polemiche con la comunità gay. I notabili cattolici repubblicani convergono sul candidato mormone ed evitano di appoggiare i due candidati cattolici, mentre i candidati cattolici Gingrich e Santorum sono gli eroi di riserva della destra evangelicale più conservatrice.

Non è chiaro quale sarà l'influsso di questi endorsement, dato che il movimento evangelicale non è più quello degli anni Ottanta: è numericamente più ampio ma anche più variegato e ormai politicamente adulto. Tuttavia, alcuni elementi emergono in maniera chiara. Il primo è che l'appoggio degli ambasciatori arriva proprio quando Romney è portato a privatizzare la sua fede mormone di fronte a quell'America repubblicana che vede il mormonismo come una setta, la cui dottrina morale e sociale è però rassicurante per il conservativismo sociale americano: un Dio necessariamente vago nella sua rappresentazione pubblica, la Patria americana con la maiuscola, e un'idea di famiglia che incarna l'ideale bourgeois e si ferma sulla soglia dei diritti dei gay (la ricchezza come segno della benedizione divina; contraccezione sì, aborto no; diritti civili dei gay sì, matrimonio omosessuale no).

I mormoni sono oggi meno del due per cento della popolazione americana e per i tre quarti votano repubblicano: è svanito lo stigma sociale contro di loro, residuo della lotta contro il costume da tempo abolito della poligamia, ma la campagna elettorale sta puntando le luci su una comunità che non è certo nota per la sua trasparenza e che mostra segnali di disagio (secondo i dati recenti del Pew Forum) per uno scrutinio pubblico che è destinato ad intensificarsi. La privatizzazione della religione, unica arma possibile per il candidato mormone, rischia però di aiutarlo soltanto con l'elettorato moderato, e di renderlo ancora più ambiguo per l'elettorato conservatore.

Il secondo elemento è dato dalla ormai evidente deriva ideologica dei cattolici americani in politica. Scomparsi sia i cattolici democratici delle vecchie elite come i Kennedy, sia quelli social-progressisti come Bart Stupak, oggi i nuovi politici cattolici sono degli ultras repubblicani che ricevono dai pastori evangelical le credenziali di conservatori. Nella campagna elettorale del 1960 Kennedy andò in Texas di fronte alla convention dei pastori protestanti per difendersi dall'accusa di essere ineleggibile perché cattolico. Nel 2012 il messaggio che viene dal Texas è esattamente il contrario: il cattolicesimo ultraconservatore viene giudicato in grado di incarnare l'anima Wasp di un Partito repubblicano oggi in bilico tra l'anima manageriale di Romney e quella radical-libertaria di Ron Paul.

In questo rovesciarsi del complesso di inferiorità dei cattolici verso i protestanti c'è chi vede una vittoria storica della chiesa di Roma: una riparazione tardiva verso una cultura, quella cattolica, che aveva scoperto la questione pro-life anni prima che essa diventasse la bandiera degli evangelical alla Jerry Falwell e Pat Robertson.

Ma se si va a vedere il contenuto di questo nuovo allineamento politico-religioso, risulta chiaro che la focalizzazione del cattolicesimo sulle questioni pro-life avvicina i cattolici sempre più a quello che è stato chiamato efficacemente il "disastro intellettuale" prodotto dalla cultura evangelical nella politica americana di fine Novecento.

Il cattolicesimo americano uscì dal ghetto politico-culturale solo con John Kennedy - simbolicamente, col famoso discorso del settembre 1960 a Houston. Il rischio è che da quella stessa porta in Texas il cattolicesimo pubblico americano rientri nel ghetto. L'eterno dibattito tra anima mainstream e istinto contro-culturale del cattolicesimo americano sembra risolversi in una sconfitta epocale per la chiesa di Roma in terra americana: per le strade e gli schermi televisivi d'America si vedono vagare i due candidati cattolici che come zombie minacciano di risollevare dalle tombe questioni come la legalità della contraccezione. La morte del cattolicesimo pubblico non è mai stata così evidente come oggi.

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