di Shukri Said*
Fame e guerra non sono altro che le madri di altre violenze sulla popolazione somala. Secondo uno studio dell'Unicef 1 i turisti italiani sono i maggiori frequentatori di prostitute minorenni in Kenya. Gli italiani rappresenterebbero infatti il 18% dei clienti. La maggiore percentuale spetta comunque ai clienti kenyani con un importante 38%. Se gli italiani hanno questo triste primato, ogni nazione ha la sua ampia quota in questa infame classifica. Il fenomeno è particolarmente presente anche a Malindi, Mombasa, Kalifi e Diani e il Kenya sta vivendo un vero e proprio boom del fenomeno.
L'inchiesta di Faduma Noor, ventiquattrenne di origine somala, è stata eletta dalla CNN giornalista africana dell'anno 2011. Ha meritato il titolo per un impressionante reportage sulla prostituzione minorile in Kenya, vissuto in prima persona sulle tracce di una ragazzina figlia di una degli innumerevoli disperati del campo profughi di Dadaab. Faduma Noor si era recata a Dhadaab per testimoniare le condizioni di vita nel più grande campo del mondo per rifugiati con i suoi oltre 400.000 ospiti, soprattutto somali, in fuga dalla carestia e dalle guerre tra le truppe di AMISOM e i guerriglieri jihadisti di Al Shabaab. Qui una madre le ha chiesto di aiutarla a ritrovare la figlia, una quattordicenne che, forse, era andata a Nairobi in cerca di fortuna.
Quell'atmosfera strana. Faduma si è allora recata nella capitale keniota e nel quartiere di Isli, molto frequentato
dai somali, ha chiesto dove potevano trovare rifugio e occupazione giovani senza famiglia. Le è stato fornito, tra gli altri, l'indirizzo di un albergo posto su un'altura e qui ha trovato un edificio di tre piani, il primo dei quali occupato dal bar e dal ristorante e i due piani superiori riservati alle stanze per gli ospiti. Ha così cominciato a frequentare come cliente il ristorante, per i quattro giorni successivi, avvertendo in giro un'aria strana: troppi ospiti soli, un'atmosfera d'infelicità diffusa tra i dipendenti e poi la prfesenza di troppi minorenni. Insomma, c'era di che approfondire, investigare.
La scelta di "infiltrarsi". E' stato così che ha chiesto al direttore presentandosi come un'altra ragazza bisognosa di lavoro, senza soldi, senza competenze e senza famiglia, chiedendo di essere assunta. Il direttore le ha spiegato che si sarebbe trattato di un lavoro complesso, che richiedeva un grande impegno per cui non tutti i ragazzi si erano sentiti pronti. Faduma ha però insistito dicendo che avrebbe voluto imparare, pur di lavorare, non avendo alternative. E così è stata invitata a prendere servizio il mattino seguente. Era un venerdì, ha riferito Faduma nel suo reportage, e con altre ragazze ha lavorato alle pulizie dell'albergo con un abito gradevole e truccata, ma è stato un giorno di lavoro normale e senza imprevisti. La mattina dopo, le ragazze sono state messe in fila e un nuovo cliente si è messo a scrutarle una ad una. Sebbene fosse ormai tra le più anziane, Faduma è stata scelta ed invitata a salire con lui in una delle stanze. Faduma si è rifiutata, ma hanno insistito offrendole più denaro. Alla fine, per non essere scoperta, ha dovuto negoziare che per quel giorno proprio non poteva ma il giorno dopo sarebbe stata disposta.
Le storie di tante ragazzine. Durante la notte ha intervistato tutte le ragazze che ha potuto venendo a sapere le loro storie e che con la loro prostituzione mantenevano tutti i loro familiari, molti dei quali ricoverati a Dadaab. Due ragazze erano rimaste incinte ed una era sieropositiva. Aveva cercato scampo tornando in famiglia, ma l'avevano scacciata per paura del contagio. Così era finita presso una ONG occidentale. L'altra indossava l'hijab e pregava, ma veniva costretta a prostituirsi. Molto spesso i rapporti con gli ospiti dell'albergo si svolgevano con violenze e brutalità. All'alba, non appena sono iniziate le pulizie e sono state aperte le porte, Faduma è fuggita dall'albergo degli orrori per ricordare al mondo una delle sue vergogne più tristi.
* Shukri Said è la fondatrice dell'Associazione Migrare www.migrare.eu
Tratto da La Repubblica