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La vicenda delle audiences radiotelevisive nella partita del pluralismo
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di Giulio Gargia*

La vicenda delle audiences radiotelevisive nella partita del pluralismo

LA DECRESCITA DELL'AUDITEL E LA LIBERTA' D'INFORMAZIONE

La vicenda delle audiences radiotelevisive nella partita del pluralismo

di Giulio Gargia *

 

Quando si parla di Auditel, tutti pensano che si parli di Tv.

Io credo invece che si parli di una concezione del mondo,

e in particolare dell’economia. Un tipo particolare di economia, quella generata dalla scarsità di una nuova materia prima:

l’attenzione della gente. Un bene che diventerà sempre più scarso, quindi più prezioso. E che però non si riesce a misurare in maniera esatta, dato che la convenzione finora usata – il sistema Auditel – è ormai ufficialmente in crisi.

Al tempo stesso quello che stiamo vivendo, la censura economica che sta uccidendo una per una  le voci libere del giornalismo indipendente e quelle plurali dei movimenti, è legato alla vicenda della definizione dei metri e dei mezzi di misurazione delle audience in una maniera che è sempre più evidente.  

 

 

MULTA RECORD

Dopo innumerevoli denunce, inchieste, campagne e interrogazioni parlamentari, l'inaffidabilità dell'Auditel  è stata certificata ufficialmente dall'Antitrust, che ha inflitto all'istituto di via Larga, su ricorso di Sky, una multa record di 1,8 milioni di euro per ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE. (citiamo testualmente da comunicato ufficiale ) I comportamenti anticoncorrenziali della società, denunciati da Sky, hanno causato un pregiudizio significativo alle dinamiche competitive nei mercati della raccolta pubblicitaria su mezzo televisivo, dell’offerta dei servizi televisivi a pagamento e dell’offerta all’ingrosso di canali televisivi.

Ma questa è solo l'ennesima riprova di quanto andiamo denunciando da quasi 10 anni.

I limiti, le manipolazioni, l'inaffidabilità del sistema

Auditel e Audiradio, che è ufficialmente esploso anch'esso,

“ suicidandosi” questa estate,  sono catalogati nei libri che io e la collega Roberta Gisotti abbiamo scritto sull'argomento .

 

Quello che serve ora è un intervento che  provi a creare una nuova “moneta” che regoli prezzi e scambi dell’economia dell’attenzione, introducendo parametri di qualità e gradimento finora assenti.

Per capire quanto questo cambio di criterio nella misurazione possa influire sul sistema Tv proviamo a fare un paragone, quello con un altro indice economico, più conosciuto dell’Auditel: il prodotto interno lordo.    

L' Auditel e il PIL, vite parallele

 

Il PIL, come molti sanno, è la convenzione che misura lo sviluppo economico di un paese.

Ogni manovra economica, compresa l’ultima, è finalizzata a far crescere il Pil di un paese. Obiettivo vagamente fallocratico, che suggerisce perenne erezione economica. Il governo italiano, come tutti i governi del mondo, è incollato allo schermo del Pil. Zero virgola in meno, iattura, zero virgola in più, vittoria.

Elettorale o mediatica, s´intende. 
Il PIL è quella cosa per cui il segretario al Tesoro Usa, John Snow, in un vertice del Fondo Monetario Internazionale di Washington, afferma che “ Gli uragani Katrina e Rita avranno ripercussioni negative sull'economia americana solo nel breve periodo, ma il successivo processo di ricostruzione stimolerà infatti la crescita”. Insomma, c’è crisi economica ? Più uragani per tutti.

 

L’indice Auditel mima esattamente lo schema del Pil. Il suo modello

è una platea immensa, sempre maggiore, che non fa altro che guardare

la Tv. Numeri sempre crescenti da poter vendere ai compratori di quella

economia dell’attenzione” che è diventata il vero oggetto del desiderio

dei pubblicitari. Paradossalmente, come il trionfo del Pil richiederebbe

che avessimo a disposizione 4 pianeti per poter estrarre e consumare quello

che ci serve, il trionfo dell’Auditel genererebbe una platea sempre incollata al televisore, che non avrebbe quindi poi il tempo per comprare i prodotti loro proposti.

Come usare la pornografia per eccitarsi senza avere poi il tempo di fare sesso.  

C’è qualcosa che non va. Allora rivediamo la questione da principio.  

 

Sostiene Ruffolo

Sull’argomento del Pil, c’è un bell’articolo di Giorgio Ruffolo di qualche anno fa.  La cosa curiosa è che tutte le sue argomentazioni si possono trasporre, senza colpo ferire, alla questione dell’Auditel .

Sostituiamo qualche parola e vediamo se è davvero così.

Scrive Ruffolo:” Si impone una domanda: ma questo Pil, è una cosa seria? Domanda per niente affatto nuova, come ben sappiamo, e tuttavia scansata, elusa, rimossa: dagli economisti che l´hanno inventato e dai politici che ne usano e ne abusano”.

 

Passando all’Auditel, si può ugualmente chiedersi : ma questo Auditel, è una cosa seria? Domanda per molti versi nuova, come ben sappiamo , e tuttavia scansata, elusa, rimossa: dai pubblicitari che l´hanno inventato e dai direttori e responsabili TV che ne usano e ne abusano.

 

Continuiamo. Afferma Ruffolo sul PIL :

La risposta è sì, certo, è cosa seria, ma solo se utilizzato correttamente, nell´ambito del suo significato: e cioè, come indice della produzione complessiva dei beni e dei servizi venduti sul mercato. Dei beni e dei mali, purtroppo. Se invece è usato fuori del suo contesto, per esempio, come indice di efficienza dell´economia nazionale nel suo insieme o, addirittura, del benessere sociale, la risposta è tre volte no”.

Contro canto sull’Auditel : “ La risposta è molto dubbia.  Ma i dubbi diventano certezze, in negativo, perché certamente l’Auditel non viene utilizzato correttamente, nell’ambito del suo significato ( cioè quello di misurazione per mettere un prezzo agli spot pubblicitari ) ma è ormai indice di gradimento e di giudizio sulla sopravvivenza di un programma.   Viene quindi usato fuori del suo contesto, per esempio, come indice unico di efficienza di un programma e di una rete e, addirittura, del gradimento sociale verso la TV nel suo insieme. Perciò la risposta alla domanda è tre volte no”.

Ruffolo afferma : “Chi sarebbe disposto a sostenere che un paese in cui sono aumentate le devastazioni ambientali la criminalità e le diseguaglianze, diminuita l´istruzione e peggiorate le condizioni sanitarie, stia alla pari con uno in cui tutti questi aspetti sono migliorati, purché il Pil sia aumentato in tutti e due? Sottoposto al giudizio della Suprema Corte del Buonsenso un tipo così sarebbe solennemente dichiarato un cretino.

 

Contro canto Auditel : Chi sarebbe disposto a sostenere che una Tv in cui sono aumentate le sopraffazioni,le manipolazioni, in cui è messa la bando la cultura, ( al massimo relegata in 3° serata) quasi azzerata la qualità complessiva dei programmi e peggiorate le condizioni del pluralismo, stia alla pari con un canale in cui tutti questi aspetti sono migliorati, purché l’Auditel sia aumentato in tutti e due? Anche qui, la Suprema Corte del Buonsenso non potrebbe che emettere una solenne sentenza:

costui è un cretino.

 

Ruffolo cita poi l´economista Oskar Morgenstern, autore, insieme a von Neuman, della Teoria dei giochi: «Quando la scienza economica raggiungerà uno stato più maturo, sembrerà incredibile che tali misure siano state prese sul serio, formando la base per decisioni che influenzano l´intera nazione: misure di questo tipo appartengono ai secoli bui».
E allora, perché sono prese sul serio? La risposta è: perché l´espansione continua della produzione vendibile è la condizione essenziale per un aumento continuo del profitto; quest´ultimo è il fine supremo del capitalismo; e il capitalismo è diventato la forma sociale e ideale suprema delle società «avanzate».

Diciamo noi : “Quando l’opinione pubblica sarà davvero messa in grado di giudicare,

quando le saranno stati forniti strumenti meno rozzi e più flessibili dell’Auditel,

sembrerà incredibile che tali dati siano state presi sul serio, formando la base per decisioni che influenzano l´intera televisione: misure di questo tipo appartengono ai secoli bui». 

 

E la Sinistra, che dice su questo? La risposta di Ruffolo sul Pil è anche in questo caso valida anche per la questione Auditel. 

La sinistra porta il lutto della catastrofe comunista. Un lutto che si estende anche a quella non comunista e che comporta la sostanziale rinuncia a ogni forma di guida politica e l´adesione sostanziale a una economia di mercato totalitaria: un´adesione troppo a lungo ritardata, e forse per questo acritica.

Di questa acriticità fa parte l´adozione del Pil come stella polare: al posto della rivoluzione, e va benissimo; ma anche di qualunque progetto di società che tenga conto dei bisogni e dei valori che il mercato ignora o offende: e va malissimo.

In questo contesto di resa culturale incondizionata al pensiero unico si colloca il pirlismo della sinistra: la riduzione della sua strategia alla deriva della crescita continua e indifferenziata (di tutto, di più) orientata da una «misura priva di teoria», come diceva l´economista Koopmans.
Coloro che si permettono di ricordare che l´insignificanza del Pil non è un problema di tecnica statistica, ma è una grande ed essenziale questione culturale e politica, sono considerati frivoli disturbatori di una politica severamente e altrimenti impegnata: per esempio, nel grande dibattito sul Partito Democratico .
Ma che cosa pretendono questi disturbatori?

Risponderei che pretendono di ricordarsi dell´insegnamento teorico e delle proposte pratiche di economisti "eretici", come l´americano di origine romena Georgescu Roegen, l´americano di origine indiana Amartya Sen; i nostri Giorgio Fuà e Giacomo Becattini, nel senso:

(a) di una riforma del Pil che lo depuri dalle bestialità più clamorose per farne un indice realmente rappresentativo dell´attività economica;

(b) di costruire indici del benessere in grado di rappresentare sinteticamente la qualità sociale del paese nei suoi aspetti più critici: lavoro, ambiente, sanità, istruzione, sicurezza;

(c) di definire infine, al massimo livello della responsabilità democratica, un traguardo progettuale collocato nel tempo, che integri in un «indice normativo» equilibrato gli obiettivi economici e sociali adottati come scelte da proporre al Paese.

Di nuovo, come prima, il ragionamento di Ruffolo sull’atteggiamento della sinistra sul Pil, può essere applicato tout court all’Auditel. Infatti, a nostra volta, noi disturbatori degli equilibri duopolistici garantiti abbiamo sostenuto in questi anni che:

a ) Bisogna applicare la legge 249 e far sì che sia l'Autorità delle Telecomunicazioni in prima persona a fare i rilevamenti degli ascolti.
b) L'Auditel deve consegnare i dati grezzi ( cioè non trattati dai suoi software ) ad esperti indipendenti per consentire elaborazioni alternative. 
c ) Bisogna che l'Autorithy avvi ricerche qualitative che integrino e correggano il dato Auditel nell'opinione pubblica. E devono essere diffusi in contemporanea.
In sostanza, chi dice quanti spettatori hanno visto Fede, ci deve anche dire a quanti è piaciuto e a quanti no, di modo che il numero non diventi automaticamente indice di qualità.

d ) Dev'essere reso pubblico l'IQS RAI, ovvero la ricerca sul gradimento dei programmi del servizio pubblico. Ricerca resa pubblica una sola volta, nell'ottobre dello scorso anno, che ha dato risultati “eversivi” per gli attuali vertici RAI e che da allora è stata nuovamente segretata. Nonostante la sua pubblicazione sia prevista , ogni trimestre, dall'accordo tra Stato e RAI.

 

Nuove opportunità e nuove proposte

 

Ora, nella riforma di legge di Tana De Zulueta,  citata da Giulietti nella sua relazione, il senso di queste proposte sembra essere stato  accolto.

Ma serve una disamina attenta, perché oggi , in tempo di digitale terrestre, alcune semplici tecnicalità permetterebbero di mettere l’Auditel sotto tutela, introducendo per la prima volta sanzioni per la diffusione di dati consapevolmente erronei, ampliando il diritto al controllo che gli attori hanno sul sistema. E  bisogna intervenire sullo schema di fondo, sulla griglia di partenza. Sulla sua filosofia funzionale e sulle tecniche che la fanno vivere giorno per giorno.

 

Quando diciamo che è necessario cambiare l’Auditel,

se si vuole davvero cambiare la Tv, ci sono alcune reazioni

stereotipate. Da anni sentiamo i “ tecnologisti” di ogni risma dire che non è quello il punto, che tanto ormai le nuove tecnologie stanno arrivando e dobbiamo affrontare nuovi scenari. Sarà affidato ad esse il compito di cambiare i contenuti e i programmi di canali sempre più numerosi e specializzati. Una versione “ tecno” del “lassez faire” in cui  digitalizzazione crescente e mercato instaurano un circolo virtuoso che a sua volta condizionerà la tv generalista che s’avvia a diventare residuale e poco appetibile.

Qualcuno che frequenta incontri e tavole rotonde

li chiama “i sorpassisti”, perché la loro frase preferita è che

il problema è superato”. Questa cantilena la sentiamo da sei-sette anni, ed è servita a giustificare l’obbrobrio della Gasparri, che ha aggiornato e digitalizzato tutto, tranne l’Auditel, unico nodo del sistema Tv a non venire nemmeno citato da chi ha scritto la legge dell’ex-ministro.

Il motivo è evidente: l’auditelismo è l’impianto ideologico portante di questa Tv, se si tocca, crolla il sistema. Proviamo a capire perché.  

 

Che cos'è l'auditelismo

L’Auditel è stata in questi anni la principale fonte di legittimazione dello status quo dell’etere. Con l’alibi

degli ascolti si sono legittimati palinsesti sempre più “horror”. Se la gente li vede, vuol dire che i programmi funzionano, è stato il ragionamento con cui si rispondeva ad ogni genere di accusa, per quanto articolata e documentata.

 

Di ciò si è accorto  perfino il Papa. Ratzinger , in un messaggio sui media , ha attaccato l’Auditel  in maniera indiretta, com’è ovvio, ma perfettamente leggibile. Quando ha criticato, “il rischio e l'ambiguità di una comunicazione-business basata solo sugli indici di ascolto e sull'accaparramento della pubblicità televisiva” è difficile che a Malgara e Pancini( direttore dell’Auditel ) non siano fischiate le orecchie.

 

Ora, dopo due inchieste dell’Istat e dell’Antitrust, e una sentenza inibitoria per “ turbativa di mercato” della Corte

di Appello di Milano, un documento dell’Agcom che ha messo in mora l’Auditel, ipotizzando anche la possibilità di fornire dati alternativi alle sue rilevazioni, e l'ultima sanzione dell'Antitrust , dovrebbe essere caduto ogni alibi. La campagna “Basta Auditel” da noi lanciata otto anni fa è stata la leva che ha smosso opinioni e istituzioni, certificando quello che avevamo sostenuto: l’Auditel, le sue metodologie e i suoi dati sono inattendibili.

Ma cosa garantiva l’istituto diretto da Walter Pancini ?

Una cosa fondamentale: la spartizione senza scosse della risorse pubblicitarie tra gli attori del sistema Tv. Ripartizione basata sul principio dello share:

( o della “fetta” ). Un accordo per vendere i telespettatori/ consumatori agli inserzionisti. Fatti a “ fette” e poi  “prezzati” e rivenduti. Il programma Tv non conta niente, è solo il bus attraverso il quale si trasportano target e ci si assicura che siano in linea coi contratti predefiniti.  

Così, la stabilità del sistema è assicurata e nessuno ha brutte sorprese.

 

 

Gli esclusi

Ma da tempo il giocattolo di Malgara mostrava la corda e

il meccanismo scricchiolava vistosamente.  

A cominciare dal problema che in Auditel nessuno si è mai occupato di un pubblico altrettanto vasto, che corrisponde al telespettatore/ cittadino. Escluso dal sistema, pur essendone l’oggetto, colui che viene venduto. Senza peraltro ricavarne alcun beneficio.

C’è  stato poi un altro soggetto pesantemente danneggiato.

Sono le aziende che devono affidarsi a un sistema obsoleto, in grado solo di sparare nel mucchio, per portare a casa quelli che le loro agenzie garantiscono essere i loro contatti. Senza averne peraltro nessuna certezza, come testimonia la rivolta di quanti hanno investito sui reality, venduti in estate come una manna dal cielo e che oggi vengono sospesi uno dopo l’altro per “sindrome d’abbandono dai telespettatori”.

 

Noi, da pionieri della battaglia per il cambiamento  delle rilevazioni dell’ascolto, sosteniamo oggi che l’Auditel non va riformato, ma rifondato da capo. Spostandone lo scopo: da rilevazioni fatte per “vendere” i consumatori come oggetto a rilevazioni mirate a percepire la bontà del prodotto. Che, in questo caso, sono i programmi Tv.

Una rifondazione che cominci dal sistema materiale e statistico, spostando il “focus” dall’ascolto familiare a

quello individuale.

 

Nuovi mezzi per l'economia dell'attenzione

Ci sono nuove tecniche di rilevazione che si possono già oggi applicare a DTT, satellite, Tv via Internet e generalista.  

Come un sistema italiano brevettato da un geniale ingegnere, Luigi Passariello, che comprende tutti i nuovi modi in cui si può fruire di un  programma e rende obsoleto il “people meter” stanziale e familiare usato tuttora dall’Auditel e rende possibile una fotografia assai più nitida di un utente che usa la Tv in maniera completamente diversa da quella attuale. Un sistema su cui bisognerebbe aprire un capitolo a parte e magari dedicarci un convegno.  

Nello status attuale, l’Auditel è il Pil della Tv. Perciò cambiare l’Auditel è importante per cambiare la mentalità. Se vogliamo una Tv sostenibile, in una società decente, dobbiamo cambiare i nostri metri di misura, gli occhi con cui guardare alle cose. L’Auditel sta all’idea di Tv come il Pil sta all’idea di società. Sono sistemi concepiti per  produrre numeri senza volto, il cui fine è fare massa.

E la Tv è solo un’esca per attrarre consumatori condizionabili, di cui si carpisce un’ascolto distratto.  

 

Nell’ “economia dell’attenzione”, il principio si ribalta.

Chi guarda, vuole farlo. E’ consapevole che in quel momento influisce sulle dinamiche economiche e usa

questo suo potere. Ed è sì un numero, ma anche un profilo

preciso, una foto nitida.

Così, la pubblicità non è più una tassa mascherata da imporre a chi vuole tenere accesa la Tv, ma un servizio vero e proprio, che va anche ben oltre l’ipocrisia del “ consiglio per gli acquisti”. Nasce in un rapporto di fiducia con il media di riferimento, sia esso un sito, un canale radiofonico o Tv o un giornale, che conosce le esigenze dei suoi frequentatori, e che ha un rapporto diretto ma assolutamente non invasivo con i loro bisogni, che sono espressione di volontà sociali molto determinate. In questo senso, gruppi organizzati di consumatori potrebbero ribaltare i rapporti tradizionali e chiedere loro alle aziende di rispondere a bisogni di prodotti e servizi che magari non esistono sul mercato o sono assenti da determinate zone. C’è già chi  sta sperimentando situazioni come queste.    

Questo è il futuro, più o meno prossimo, per cui vale la pena impostare le prossime battaglie.

 

PS – Un piccolo post -it sulla vicenda Audiradio.

 

Nel luglio scorso l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha messo in liquidazione Audiradio, la società che si occupava della rilevazione degli indici di ascolto radiofonici, invitando tutti i soggetti del comparto di presentare proposte per una riorganizzazione del sistema di rilevazione degli indici di ascolto. E' stata aperta una procedura di consultazione pubblica. Vogliamo farci sentire con le proposte tecniche e politiche che possono cambiare anche quel sistema di rilevazione ? I sistemi esistono, sono disponibili, deve solo esserci la volontà di applicarli. 

* autore de “ L'arbitro è il venduto – analisi dei sistemi di rilevazione delle audiences in Italia “ - Editori Riuniti, 2004


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