di Maurizio Sciarra
Orso d'oro ai fratelli Taviani per “Cesare deve morire”, premio del pubblico
a Daniele Vicari per “Diaz, non pulire questo sangue”. Successo del cinema
italiano al Festival di Berlino, uno dei più prestigiosi al mondo.
Riconoscimento a due registi che già raccolsero premi in giro per il mondo,
e fanno ritornare in Italia l'Orso d'oro dopo ben 21 anni. Un riconoscimento
tra i più apprezzati dai registi, il premio del pubblico, per Daniele
Vicari. Tutt'e due i film segnano un ritorno di temi forti, il carcere e
il G8 di Genova.
Ed uno stile di racconto, tra il documentaristico e la
reinvenzione della realtà, lontano anni luce dalla commedia imperante ormai
nei listini delle distribuzioni italiane. Già oggi Libero si distingue per
un “sagace” titolo. “Vince il film italiano che nessuno guarderà”.
Constatazione, minaccia, frecciata jettatoria, attacco ad un cinema che
Libero non vuole neanche conoscere? O grande conoscenza di un mercato,
quella della distribuzione, in mano a “pochi noti”? Chissà, a loro lasciamo
volentieri la prosecuzione dello sport nazionale “spara sul bello che la tua
nazione produce”. Lasciamoli in compagnia dei giornali tedeschi che per
difendere il loro film arrivato secondo, sputano bile e veleno su due
grandi maestri ritornati sul podio con un film “delle loro origini”.
Trasferito all'oggi il carcere interpreta una delle piaghe di questo paese,
il tabù che rappresenta per la società, la sua rimozione
collettiva. Le parole di Shakespeare in bocca ai detenuti sicuramente
metteranno in piedi l'ennesima polemica da cortile su cosa è giusto o non
giusto fare in carcere, tireranno fuori le latenze leghiste di parte della
stampa e di una presunta opinione pubblica più propensa a “buttare la
chiave” piuttosto che a perseguire il dettato costituzionale della funzione
riabilitativa della pena.
Come pure Vicari riaccenderà la polemica se la
polizia può mai sbagliare, magari istigata da ministri dell'Interno che oggi
neanche ricordano quello che “ordinarono”, e se comunque hanno diritto di
cittadinanza voci diverse dalle “versioni ufficiali”. Pochi , pochissimi,
già lo sappiamo, parleranno però di cinema, che è quanto tutti e tre gli
autori in questione hanno fatto, ai massimi livelli; pochi diranno come in
questo paese dove i monopoli e gli oligopoli tentano di imporre i temi da
raccontare c'è uno spazio ristretto per le voci dissonanti, e come queste
voci debbano farsi largo a spintoni. Sicuramente qualche grande distributore
correrà a lavarsi la coscienza con un premio così importante che è costato
così poco in termini economici, ma così tanto in termini di linea
editoriale.
Nessuno, ne siamo quasi certi correrà dalla Fandango per
rimediare all'obbrobrio di non aver pre-acquistato i diritti televisivi di
un film “di denuncia”. Noi non possiamo che gioire, sapendo quanta fatica
hanno fatto i nostri colleghi “testa dura”, quanto hanno sofferto con loro i
produttori per mettere insieme i budget per queste opere, quanto tutti oggi
si approprieranno di un successo che non hanno contribuito a costruire. Noi
continueremo a fare la stessa fatica che hanno fatto loro per tentare di far
parlare al cinema italiano quelle tante e belle lingue che i pochi decisori
non vogliono far sentire al pubblico italiano, migliore di come loro
vogliono continuare a figurarselo. E per modificare le condizioni in cui si
fa cinema in Italia, oggi, quando qualcuno comunque riesce a vincere premi
prestigiosi.