di Redazione
Libertà di informazione in Italia, in Europa e nel mondo. Conflitti di interesse, concentrazioni editoriali, trust, censure, autocensure manipolazioni, tagli e bavagli governativi... L'Italia maglia nera in Europa sulla libertà di espressione. Da dove partire per invertire la rotta. Di la tua, contribuisci al Forum aperto con l'intervento di Giuseppe Giulietti in vista dell'assemblea nazionale di Articolo21 del 2-3 marzo prossimo.
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Gli interventi di Roberto Natale, Gianni Rossi, Cinzia Faenza
Libertà d'informazione e... Ambiente
di Cinzia Di Fenza*
Il condizionamento editoriale e la pubblicità da parte di soggetti economici influenti dentro i principali quotidiani costituiscono uno dei motivi più portatori di effetti negativi sulla libertà d'informazione intorno a temi fondamentali oggi per il futuro comune, quali l'ambiente e le sue connessioni con l'attuale modello economico e di sviluppo. Non dare il giusto spazio a questo, privilegiando cronaca nera e rosa, significa rendersi complici e corresponsabili della mancata formazione di un'opinione pubblica *diffusamente* matura. Un esempio della inconsapevolezza della rilevanza di questi temi oggi (e del loro strettissimo legame con la crisi globale attuale) è, ad esempio, nel programma dell'Assemblea del 2-3 marzo, dove manca: Libertà d'informazione e...Ambiente .
*formatrice ambientale e resp. scuola di formazione "Oltre la crescita" per Libertà e Giustizia di Roma
Informazione e servizio pubblico sono ''beni comuni''. Ricordiamocelo
di Roberto Natale
E’ un passaggio di grande rilevanza, l’assemblea nazionale che Articolo 21 ha convocato per il 2 e 3 marzo. C’è un estremo bisogno di andar oltre il gigantesco sospiro di sollievo che ha accompagnato l’uscita di Berlusconi da Palazzo Chigi, e fare i conti con i problemi nuovi che all’autonomia dell’informazione la situazione nuova pone. La sensazione - forte, consolidata, a tre mesi dalla nascita del governo Monti - è che il pluralismo dell’informazione non venga neanche percepito come questione rilevante: non è tra i parametri economici che ogni settimana sono oggetto di incontri a Bruxelles o a Strasburgo, dunque perché perderci tempo?
Lo si avverte, per esempio, dalla difficoltà ad ottenere un intervento serio in tema di finanziamento pubblico all’editoria. Forse si arriverà, dopo molti sforzi, a rimpinguare il Fondo, ma è chiaro che la propensione più naturale di Monti è quella al taglio: se il “mercato” non li tiene in piedi, vuol dire che non lo meritano, no? Come ha detto con grande eleganza Carlo De Benedetti, sollecitando la sepoltura dei giornali “morti”: senza essere sfiorato dal sospetto che la quantità di conflitti di interesse che stravolge l’informazione italiana (quello di Berlusconi, ma anche quelli dei più grandi editori della carta stampata, De Benedetti incluso) debba suggerire qualche pudore in più nell’allestire il corteo funebre. “Né tagli, né bavagli”, dicevamo due anni fa. E di quello slogan porta memoria l’insieme delle proposte che avanza il documento di Beppe Giulietti per l’assemblea: una ricca riprova del fatto che la nostra mobilitazione di allora non era guidata da una “ossessione” antiberlusconiana, ma dal proposito positivo di dar gambe al diritto di essere informati, in Europa e in Italia.
Dei tanti temi che si intrecceranno nella due giorni mi soffermo qui sulla vicenda Rai, perché purtroppo particolarmente idonea a dimostrare che la difesa dell’autonomia dell’informazione è merce rara, anche all’epoca dei “tecnici”. Sembra essere stata accantonata, per fortuna, l’ipotesi di un commissariamento governativo che costituirebbe un’autentica entrata a gamba tesa. Ed è certo positivo che - come dicono i resoconti di questi giorni - si voglia riformare la legge Gasparri. Il problema è che la discussione politica prevalente verte soltanto intorno alla necessità di dare alla Rai un vertice “ristretto, snello, efficiente”. Sembra importante esclusivamente ridurre i consiglieri (da 9 a 5) e risolvere la tradizionale diarchia Presidente-Direttore Generale grazie ad un nuovo Amministratore Delegato che guidi l’azienda in modo univoco e non frenato da troppe discussioni. Come se la crisi di legittimazione della Rai derivasse solo da un deficit di efficienza, risolvibile col “bravo tecnico” (ovviamente di indicazione governativa).
No, così non va. Il servizio pubblico radiotelevisivo va sì gestito con correttezza, ma anche a Monti e a Passera va ricordato che la Rai non può stare alle dipendenze del governo di turno. Lo dicevamo a Berlusconi, e non abbiamo alcuna intenzione di tacerlo oggi. Ha ragione Monti quando sostiene che è un’anomalia che il governo non possa intervenire in modo diretto sulla Rai essendone azionista al 99,6 per cento. Ma l’anomalia va risolta non accrescendo il potere del governo sulla Rai (già notevolissimo), ma cambiandone l’azionista: le quote della Rai non possono stare in mano al Ministero dell’Economia, ma devono andare ad una Fondazione della quale facciano parte soggetti meno “insidiosi” per l’autonomia del servizio pubblico.
In questo clima da hola tecnocratica sono state rimosse senza colpo ferire le diverse proposte sulla cosiddetta governance che in un passato recente avevano cercato di coniugare le esigenze di efficienza della gestione e l’obiettivo di rinsaldare il rapporto tra la Rai e i cittadini. Penso alla proposta di Tana de Zuleuta, al disegno di legge dell’allora ministro Gentiloni, al testo di Roberto Zaccaria. Diversi, ma tutti imperniati su un “doppio livello”. Il primo è un organismo più largo, con funzioni di indirizzo: per de Zulueta e Gentiloni i suoi componenti vengono nominati da una combinazione di soggetti istituzionali, sociali e culturali; per Zaccaria sono scelti dagli abbonati. Questo Consiglio largo a sua volta nomina il CdA ristretto, a 5: esattamente il numero su cui sta lavorando anche il governo in carica (a conferma del fatto che non solo i “tecnici” hanno a cuore l’efficienza, ma anche coloro che non vogliono trascurare il radicamento sociale del servizio pubblico). Di queste proposte non ce la minima traccia nel dibattito in corso. Trovo questo accantonamento offensivo verso le forze sociali che in questi anni, nella stagione delle censure più brutali, si sono battute con passione per difendere un’altra idea di servizio pubblico. Lo trovo inoltre suicida rispetto alla vitalità partecipativa che, appena pochi mesi fa, nella stagione dei referendum, la società italiana ha mostrato. Avevamo detto allora che non solo l’acqua, ma anche l’informazione e il servizio pubblico erano da considerare “beni comuni”. E’ il momento di ricordarsene, ora che la legge può cambiare: anche per allontanare il sospetto che il coinvolgimento dei cittadini vada bene quando c’è da riempire le piazze per la protesta, ma sia giudicato d’intralcio quando “i grandi” devono prendere le decisioni vere.
10 anni di Articolo 21. Spunti per un’Assemblea "Ri-Costituente"
di Gianni Rossi
"La comunicazione è come l’aria. L’informazione è come l’acqua. Non vivremmo senza l’aria per respirare e moriremmo senza l’acqua da bere. La comunicazione, come l’aria, salubre o inquinata, è ovunque attorno a noi. L’informazione, come l’acqua di cui siamo fatti, ci scorre dentro come sangue.La comunicazione si trasforma in informazion:, qualcosa di intellegibile e utile.Un pianeta senza aria né acqua è arido, non vive. Un mondo senza comunicazioni e informazioni libere di circolare implode su se stesso."
Dieci anni fa, Febbraio 2002, ci sentivamo orfani della sinistra e con l’anima appesantita dai colpi del Berlusconismo trionfante. In "quattro gatti" mettemmo su questo movimento e subito dopo iniziammo a pubblicare anche il sito. "Liberi di…" era il corollario del nostro simbolo: liberi di informare e di essere informati, di prendere posizioni "fuori dal coro", a volte indigeste per tutta la sinistra. Sognatori, Idealisti fuori dal "contesto"? Forse eravamo e siamo rimasti dei "Visionari". Abbiamo fatto dell’inclusione delle diversità e delle esperienze un punto di forza dell’Associazione e del sito. Siamo riusciti a porre all’attenzione dei grandi media, dei partiti, della società, temi spesso considerati "di Serie B", in realtà scomodi alla politica burocratizzata e alla "casta". Oggi siamo ad un bivio!
Berlusconi è rintanato nelle sue magioni, medita la rivincita e usa le armi sofisticate del suo arsenale per cercare di "corrompere" ancora la politica e soggiogare le anime. Il Berlusconi leader politico è stato messo alle corde, ma il Regime berlusconiano, la berlusconizzazione della società, sono ancora vivi e forti. La Destra vera, "presentabile", quella tecnocratica di Monti è al governo con il beneplacito del centrosinistra e il consenso dei "poteri forti" europei e nordamericani, del Vaticano. La crisi economica, trasformatasi in Recessione, scivola verso la Depressione, nonostante le "cure da cavallo" per arginare i buchi del Bilancio pubblico, ordinate da un ‘Europa "matrigna" e prussiana.
Sacrifici, sangue, sudore e lacrime, nessuna equità: questa la terapia dei neoliberisti, del capitalismo "compassionevole", benedetto anche dalla gerarchie ecclesiastiche, innalzato a Totem da una certa Sinistra arrendevole e senza identità, ha messo in ginocchio le classi più deboli e ridotto il potere di acquisto delle classi medie, artigiani, piccoli e medi imprenditori, dei pensionati. Le nuove generazioni sono "la carne da macello" di questa Terza Guerra Mondiale, combattuta nel nome della "libera finanza in libero globo". Quali sono le vie d’uscita da questa situazione?
Come unificare i tanti fermenti che partono dalla Rete e si materializzano nelle piazze, nelle università, sui luoghi di lavoro? Come trasformare gli Indignati di tutto il mondo in una forza ideativa e propulsiva per cambiare il destino del mondo capitalistico?
Noi, nel nostro piccolo, possiamo inserire i classici "granelli di sabbia" negli ingranaggi del sistema: un po’ come faceva l’operaio stralunato di Chaplin, che inceppava le ruote della catena di montaggio in "Tempi moderni". Non basterà, certo, ma da qualche parte bisognerà pur cominciare. Dieci anni fa ci vedevano con sufficienza, specie a sinistra; oggi, quella stessa sinistra e gli ambienti culturali liberal-progressisti si rivolgono a noi con crescente attenzione. Non siamo un partito né un movimento organizzato per fare carriera politica nelle istituzioni. Siamo una "Rete" di propagatori di idee. Un crogiuolo che cerca di collegare coloro che cercano la strada del cambiamento con umiltà, responsabilità, solidarietà, umanità. Come avviare, dunque, una nuova fase "Ri-Costituente", nel solco della nostra breve storia? Ai temi che il nostro Portavoce Beppe Giulietti ha elencato nel suo Decalogo, vorrei aggiungere qualche spunto di discussione per l’Assemblea:
- la democrazia economica, lo sviluppo ecosostenibile e pacifico, la dimensione europea e non più solo nazionale dell’elaborazione politica;
- la rivoluzione mediatica e la liberalizzazione della professione (con l’obbligo di iscrizione al sindacato unitario per tutti coloro che operano "esclusivamente" nell’informazione a qualsiasi titolo, remunerati o non); severe norme di legge antitrust e anticonflitti d’interessi per i media a livello globale con una Agenzia ONU per tutelare la massima libertà del settore e sanzionare qualsiasi tipo di intreccio "affaristico";
- statuto d’impresa editoriale, impedimenti per banche, finanza, aziende manifatturiere e di servizi di detenere nelle società di media pacchetti di "minoranza pesante" o di creare "patti di sindacato".
- riforma globale del mercato TV: RAI fuori da governo e partiti con Fondazione tipo Bankitalia, "spacchettamento" della RAI in 3 subholding (Rete nazionale, Rete regionale, Radio), sua estensione nel satellitare, abolizione Commissione di Vigilanza, Servizio pubblico tutelato da norme "costituzionali", una sola rete per ciascun gruppo privato, ma mutlipiattaforma.
Alla base di questa nostra "Ri-Costituzione" dovrà esserci, comunque, un’idea guida:
- la tendenza alla felicità del genere umano nel rispetto totale della persona singola e collettiva.
Con l’estendersi della Rete e delle sue applicazioni, il mondo si è ristretto. Le comunicazioni circolano da un continente all’altro senza barriere e a velocità supersonica. Le informazioni si stratificano e si accumulano sui diversi media fino a "ingolfare" le scrivanie, i telefoni e le tavole delle famiglie di tutto il mondo. E’ un bene primordiale oramai, un "Nuovo Diritto" fondamentale dell’umanità. Ma anche un grande business dai piedi di argilla. Non ci sono molte regole che possano organizzare e legittimare le comunicazioni, perché la Rete è quasi completamente libera, gode di "un’anarchia controllata" solo dai grandi gruppi informatici e dai "padroni del WEB". L’informazione, invece, ha regole ben precise, spesso è funestata dalla censura e dall’utilità per i grandi gruppi mediatici di trovarne un tornaconto monetario o politico.
Alla base di questo "Communication’s Century", il Secolo della Comunicazione, c’è quindi un potere impalpabile che potremmo definire "circolarità delle comunicazioni e rapidità delle informazioni". Un bene comune "duale", una sorta di moderno Yin e Yang, che si compenetrano ad ogni istante della vita nel nostro pianeta e che non si possono codificare con i parametri filosofici ed economicistici dell’Ottocento/Novecento usati dagli analisti. Non sono due beni materiali, di proprietà esclusiva di qualcuno, di uno stato o di un’azienda; ma non sono neppure vere e proprie "opere dell’ingegno" alle quali apporre il copyright per sfruttarne i diritti commerciali. Fanno parte della vita di ogni essere umano che si affaccia in questo Secolo della Comunicazione e, per la prima volta, materializza un "bene immateriale" di largo consumo, che supera i dettami della società capitalistica. Neppure le più avanzate e sofisticate teorie filosofiche di origine marxista potevano prevedere che "l’immaginazione" prendesse il potere nelle "Factory" della Silicon Valley, dove alcuni grandi "visionari", qualcuno persino ex-hippie "figlio dei fiori", inventassero sistemi e mezzi che hanno sviluppato la Rete mondiale delle comunicazioni e con essa hanno modificato anche il modo di fare e di "vendere" le informazioni.
Anni fa, vari analisti e commentatori parlarono della "fine del giornalismo", della "morte imminente della carta stampata". Questi stessi avevano preconizzato la fine di alcune professioni legate al mondo della comunicazione e la sparizione di alcuni mezzi d’informazione. E’ una storia che si ripete!Al tempo della nascita della fotografia, nella metà dell’Ottocento, si parlò di declino della pittura e della stampa d’arte; poi con l’avvento della cinematografia si pensò che il teatro e la stessa fotografia avrebbero avuto vita breve; ma fu l’arrivo della televisione che fece prevedere a molti la morte della radio e del cinema, oltre ad un ridimensionamento drastico della carta stampata. Ebbene, come la storia dello sviluppo scientifico e tecnologico dell’umanità testimonia, tranne qualche caso raro, le innovazioni tecnologiche tendono ad affiancarsi in parallelo, magari modificando l’uso delle scoperte più "attempate": a contaminarsi insomma. La nascita dei siti informativi che affiancano le edizioni delle testate stampate ha modificato nel profondo la professione giornalistica, ancora alla ricerca di stili, modus operandi e tutele giuridico-sindacali. Tutti possono farsi "comunicatori" scaricando in Rete notizie, interviste, riflessioni, foto, video, archivi. E il mercato dell’informazione ne approfitta, "succhiando" dalla Rete con immediatezza tutto quanto può diventare "merce di scambio". Sulla Rete le comunicazioni sono gratis, ma quando diventano informazione, ovvero "materiale rielaborato", ecco scattare le regole del capitalismo liberista: i fruitori spesso devono pagare o, comunque, per accedere a contenuti più approfonditi devono registrarsi e mettere mano alla carta di credito. Insomma, anche se è vero che la carta stampata non cresce più di tanto, mentre si consolidano le versioni parallele online, i lettori preferiscono ricorrere alle informazioni in Rete senza pagare, come fosse appunto un loro "diritto universale, fondamentale". D’altronde gli esempi dei downloads gratuiti o "pirati" per musica, video e film dovrebbero far comprendere al Mercato iperliberista che stavolta le nuove tecnologie hanno imposto una visione anarcoide della società consumistica.
Ecco, dunque, una verità incontrovertibile: la Rete è come l’aria! Nata da ricerche in istituzioni universitarie, con stanziamenti pubblici e con la "donazione" del protocollo fondamentale del "WWW" da parte del CERN di Ginevra, Internet è da considerarsi a tutti gli effetti un nuovo "Bene comune", cui la collettività mondiale può e deve fare ricorso senza "dazi aggiuntivi", se non il costo dell’allacciamento alla Rete e il prezzo delle innovazioni hardware e software. Questo nuovo Diritto individuale e collettivo fondamentale va, quindi, tutelato e regolamentato a livello internazionale, con una speciale Agenzia dell’ONU, che controlli le libertà fondamentali, eviti qualsiasi forma di censura e abolisca qualsiasi barriera tecnologica e monetaria per l’utilizzo. La "Primavera araba", il movimento degli "Indignati", la grande campagna elettorale via WEB negli Usa per l’elezione di Obama, la nascita di realtà politiche autonome in Italia che hanno portato a nuove forme di partecipazione di giovani, donne, precari, gente "comune", che hanno organizzato eventi di piazza unici come le manifestazioni sul diritto alla libertà di informazione, il diritto alla dignità delle donne, la difesa della Costituzione, la lotta a qualsiasi forma di precariato e, da ultimo, le votazioni per cambiare le amministrazioni locali e la stessa campagna referendaria sull’acqua e il nucleare. Questi gli esempi più eclatanti del nuovo Secolo della Comunicazione: si è passati da una "partecipazione virtuale" ad una "partecipazione reale", proprio grazie ad uso più maturo della Rete.
Oggi, entrare in Rete per informarsi è come aprire il Vaso di Pandora: chiunque può immettere notizie, comunicare, informare ed essere informato in questo Villaggio Globale; comprare e vendere, vivere legalmente oppure illegalmente (dai siti pedopornografici a quelli di hard movie ai siti terroristici e di istigazione al razzismo, o di come armarsi o costruire bombe). Viviamo dentro una "Polis globale mediatica" senza però possibilità di controllarne gli effetti e di espletare forme di democrazia. Insomma, la Polis è in qualche modo anarcoide, dove però convivono forme e tentativi di censura (vedi il caso della legge francese Hadopi o anche l’accordo Acta) insieme a continue ingerenze liberiste dei più grandi gruppi di software, ormai giganti che fanno profitti sempre più stratosferici. E’ necessario, quindi, istituire una sorta di Agenzia Mondiale per la Rete, sotto l’egida dell’ONU, con poteri sovranazionali di indirizzo e controllo, che operi come un’Autorità antitrust e di Alta Corte sui diritti via WEB. Nello stesso tempo, va riformato il mercato dei media tradizionali e non, proprio per sconfiggere le tendenze ormai in atto di distorcere il regolare andamento dei confronti democratici, come avviene con le posizioni dominanti non più solo nei paesi maggiormente industrializzati (USA, UE, i BRICS, il G20), ma anche in quegli stati che stanno vivendo fasi di sviluppo economico impressionante, non adeguatamente sostenuto da una maturazione democratica (vedi Cina, Russia, Ungheria e la galassia ex-sovietica).
Le aziende dei media dovrebbero, pertanto, essere svincolate da connessioni con imprese industriali, finanziarie e i loro vertici azionari e manageriali essere sottoposti a rigide norme anti-conflitti di interessi. Insomma, fare editoria, dovrebbe essere un "business etico", seppure remunerativo. In questo senso andrebbe istituita in Italia una legge speciale per l’Impresa Editoriale. Infine, per i professionisti dell’informazione, occorre realizzare una rivoluzione copernicana sia del modo di lavorare, sia delle tutele sindacali e salariali. Non tutto ciò che "corre sulla Rete" è sicuramente pubblicabile da parte di chi opera come "giornalista". Perché si passi, comunque, dalla Comunicazione di ciò che accade nel mondo a fatti controllati e veridici, degni di essere pubblicati come notizie giornalistiche, l’Informazione, occorrono di strumenti per verificare lefonti, così come per scoprire video o foto "taroccati". Perché, altrimenti, la Rete rischierebbe di perdere il suo profilo di Diritto Fondamentale e il Bene Comune potrebbe venire compromesso da autoritarismi e censure.
Forse è troppo o troppo utopistico?
In verità, siamo ancora convinti che, per ottenere qualcosa di concreto ora, "occorra esigere l’impossibile", sempre e comunque.