di Paolo Cacciari
Ci siamo, finalmente: "La crescita, un obiettivo da ripensare", titolava a tutta pagina Il Sole 24 Ore di domenica 12 febbraio 2012. L’articolo è una traduzione di uno scritto di Kenneth Rogoff, professore di economia alla Harvard University: "La macroeconomia sembra spesso considerare una crescita economica rapida e stabile come lo scopo principale di tutte le politiche, un messaggio che viene ribadito nei dibattiti politici, nelle sale di consiglio delle banche e nei titoli di prima pagina dei quotidiani. Ma ha effettivamente senso continuare a considerare la crescita come il principale obiettivo sociale?" - si chiede retoricamente l’economista, che fa proprie le considerazioni della commissione Stiglith, Sen e Fitoussi sull’inadeguatezza dell’indice del Pil a misurare l’effettivo benessere di una popolazione.
Seppur con quarantacinque anni di ritardo dal discorso del candidato presidente Robert Kennedy ("Il Pil misura tutto ad eccezione di ciò che conta veramente") e quarantasette dall’economista Kenneth Boulding che pronunciò la famosa battuta: "Chi crede in una crescita esponenziale in un mondo finito o è un pazzo o è un economista", anche gli economisti mainstream sembrano avere dei dubbi. Il prof. Rogoff può oggi appoggiarsi ad una serie di studi che hanno dimostrato empiricamente come la percezione della "felicità" individuale, superata una certa soglia di reddito, non segue l’andamento del Pil, poiché nelle valutazioni individuali entrano anche molti altri fattori non misurabili in termini monetari: qualità dell’ambiente, condizioni psicologiche, relazioni umane. Da qui la conclusione forte che ci troveremmo di fronte al "fallimento della teoria della crescita".
L’economista americano punta l’attenzione soprattutto sul fatto che sarebbe irrealistico oltre che mostruoso ipotizzare indici di crescita costanti annui tali da raddoppiare i redditi ogni settant’anni (al ritmo di una crescita del Pil del solo 1%), di otto volte in due secoli. "L’ossessione di continuare a massimizzare la crescita a lungo termine del reddito medio trascurando altri rischi e considerazioni è in parte assurda". Mentre: "sarebbe più logico preoccuparsi della sostenibilità e della durata della crescita globale a lungo termine".
Insomma, una conclusione analoga a quanto affermano i critici della crescita da molto tempo: l’aumento esponenziale (un tot all’anno sull’anno precedente) sul lungo periodo è una ossessione suicida. O, più probabilmente, una promessa bugiarda pronunciata per tentare di far digerire all’opinione pubblica delle misure drammaticamente restrittive; la cosiddetta "austerità". Anche loro, i policy makers, sanno benissimo che non ci potrà essere nessuna nuova crescita né nel 2013, né nel 2014, né in Grecia, né in Italia, né altrove nelle economie industriali mature. Poiché questa non è una crisi congiunturale, una parentesi che presto si chiuderà e tutto tornerà come prima. Il neoministro economico Barca lo ha affermato chiaramente: il massimo obiettivo del governo è mantenere uno "stato stazionario" dell’economia. Sembra sentire Herman Daly , allievo di Georgescu-Rogen, oltre che di Boulding, che già agli inizi degli anni ’70, facendo riferimento alle leggi della termodinamica, asseriva la necessità di trovare una steady-state economy in equilibrio biofisico.
Ostinarsi a spremere un limone che è già alla buccia non è molto intelligente. Intensificare lo sfruttamento dei mezzi di produzione (lavoro e risorse naturali) oltre ogni rendimento ipotizzabile, significa – per ragionare in termini comprensibili anche agli economisti – superare ogni convenienza nel bilancio costi/benefici: i danni che ne derivano superano gli utili.
Non è un ragionamento che riguarda solo (si fa per dire) l’ambiente naturale, ma anche e prima di tutto il lavoro umano. Che senso ha aumentare in continuazione lo sforzo lavorativo, il tempo dedicato all’ottenimento di un reddito che è sempre più svalutato e insufficiente per comprare merci sempre più scadenti, deteriorabili e con uno scarso valore d’uso? Si tratta di un giro vizioso che forse fa aumentare il Pil, ma peggiora progressivamente le condizioni di vita. Sarebbe meglio seguire i suggerimenti dell’economista Kenneth Rogoff: disinteressarci della crescita a breve, trimestrale di cassa per trimestrale di cassa, e pensare in una prospettiva di lungo periodo. Lavorare, cioè, per mantenere efficienti più a lungo possibile le limitate risorse naturali e per produrre beni che durino nel tempo, possano essere riusati, riciclati, reimpiegati.