di Carmine Fotia
L’approvazione della proroga di un anno dei contributi all’editoria indipendente da parte della commissione cultura della camera segna indubbiamente un punto a favore del vasto movimento che ha coinvolto l’associazionismo e uno schieramento larghissimo di parlamentari. Tuttavia non si deve abbassare la guardia anzitutto perché - come sottolinea la nota di Articolo 21 - ora occorre non interrompere la pressione affinchè la proroga diventi una norma ineludibile. Ma c’è anche la necessità di non perdere lo sguardo d’insieme su quanto accade nel mondo dell’informazione, perché il disegno di tacitare le voci critiche è articolato e si muove su diversi piani.
La manipolazione delle notizie nell’informazione radiotelevisiva non era mai stata così pervasiva. Quando le notizie non si possono nascondere esse sono depotenziate in un contesto nel quale perdono significato. Spesso notizie che richiederebbero diversi pezzi sono liquidate brevemente e la cronaca (cioè il racconto di quel che accade) viene spesso sacrificata al pollaio delle dichiarazioni dei politici, per passare subito dopo all’ormai sterminata lista delle notizie della serie “strano, ma vero”. Si definiscono gossip e quindi non se ne parla (o si liquidano in breve) le notizie che riguardano la moralità degli uomini pubblici, mentre il vero gossip dilaga, sicchè i nostri Tg (con rarissime eccezioni) raccontano un paese tutt’affatto diverso dal paese nel quale vivono gli italiani che verificano direttamente la distanza tra il loro vissuto e la rappresentazione radiotelevisiva della loro vita.
I tg fanno ormai parte di un format unico: un megareality show nel quale i gusti dei gelati che si mangeranno quest’estate valgono più della drammatica condizione di chi perde il posto di lavoro. Così l’informazione muore, perché se non riesce a fornire una priorità nella gerarchia delle notizie che corrisponda al vissuto della gente essa perde credibilità. E senza informazione muore la democrazia.
Questa inedita manipolazione è sottile e non si presenta solo nella forma della censura, ma spesso ha il volto bonario riassunto nella frase: “E adesso voltiamo pagina e parliamo di qualcosa che ci strappi un sorriso”. Così l’informazione radiotelevisiva perde la sua caratteristica principale che è quella di fornire velocemente le notizie più importanti della giornata e diventa un anestetico da somministrare a un paese stanco e sfiduciato.
Ecco perché diventa eversiva la notizia, e quando si è costretta a darla essa viene immediatamente sottoposta alla regola del batti e ribatti tra politici.
In questo quadro l’assurda interpretazione della par condicio come abolizione dei programmi di approfondimento giornalistico è tesa con ogni evidenza a cancellare il buono che c’è nella par condicio (una regola resa indispensabile dallo strapotere mediatico del premier) per ottenerne l’abolizione tout court e aprire il campo a campagne elettorali dominate da chi controlla i media e il denaro.
E’ dunque evidente che per tenere aperti spazi di libera informazione e dunque di democrazia non si può immaginare di separare la battaglia per mantenere un’informazione indipendente nella carta stampata e quella per rifiutare il bavaglio all’informazione radiotelevisiva.
Proprio per questo, ad Acquasparta, Articolo 21 ha lanciato la campagna per illuminare non questo o quel partito ma i soggetti esclusi dalla melassa radiotelevisiva. Sarebbe bello allora, lanciare una doppia sfida.
Una, quella dei conduttori dei programmi di approfondimento che non si limitino a protestare contro il bavaglio, ma si dicano pronti _ l’ha già fatto Michele Santoro, lo fanno strutturalmente programmi come quello di Milena Gabanelli o Riccardo Iacona _ a produrre informazione senza la partecipazione dei politici: parliamo della Fiat con operai, economisti, sindacalisti; della corruzione con magistrati, avvocati, esperti della pubblica amministrazione; del dissesto idrogeologico del paese con geologi, ambientalisti, costruttori, associazioni di cittadini.
La seconda, quella dei tetti per la libertà dell’editoria indipendente: i volti e le firme note, per la cui libertà l’editoria indipendente si è sempre spesa, vadano _ per esempio_ sul tetto del Manifesto e del Secolo D’Italia, per dire insieme che la libertà è una e indivisibile. E magari si ritrovino insieme sotto la Rai per dire che al bavaglio si risponde illuminando i soggetti e i problemi oscurati.
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