di Roberto Morrione*
Il 20 Marzo, come ogni anno nel primo giorno di Primavera, Libera si stringerà ai familiari delle vittime delle mafie, con una manifestazione che percorrerà il cuore di Milano fino a Piazza del Duomo, dove riecheggeranno i nomi dei tanti che hanno perso la vita per difendere lo Stato, i diritti, la libertà di tutti. Un evento che assume significati al di là degli essenziali valori di memoria e di impegno civile per la legalità. La scelta di Milano, città difficile e complessa, non solo dal lato organizzativo, è stata determinata da varie ragioni, che si riassumono tuttavia in una centrale: denunciare all’Italia e al mondo la dimensione finanziaria che pervade l’avanzata degli interessi criminali dovunque ci sia ricchezza, sviluppo d’impresa, circolazione di capitali. Più di tutte le regioni del centro-nord, dove la presenza di ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra si è ormai radicata riciclandosi nell’economia legale, Milano rappresenta per le mafie la punta più alta di questa concentrazione di interessi e opportunità, fino a far dire a esperti magistrati calabresi che la ‘ndrangheta ha oggi due capitali, una nella regione d’origine, l’altra nel capoluogo lombardo.
Mentre la crisi economica stringe alla gola migliaia di esercizi commerciali e aziende di ogni dimensione, offrendo nuove occasioni all’enorme capitale liquido di cui le mafie sono permanentemente in grado di disporre, i grandi investimenti previsti negli appalti dell’Expo 2015 fanno di Milano un fertile terreno d’espansione per insediamenti mafiosi. Il crimine organizzato è infatti da anni in crescita, a Milano, nel suo hinterland, in altre province della Lombardia, checché obietti con ben pochi argomenti il Prefetto, contraddetto da magistrati, rapporti di polizia, testimonianze di associazioni e di cittadini, inchieste giornalistiche.
Ma c’è un altro motivo di fondo che fa della manifestazione del 20 Marzo un evento carico di significati, aspettative, responsabilità d’ordine nazionale. In un’Italia in crisi, morale e culturale ancor prima che politica, dove scandali, corruzione e cattiva amministrazione della cosa pubblica sommergono come uno “tsunami” un’opinione pubblica peraltro opaca e divisa, richiamando con forza l’immagine di una nuova tangentopoli, nonostante sofisticate e spesso strumentali analisi per esaltare le differenze fra i due fenomeni, battersi a viso aperto contro la corruzione come matrice del malaffare e del crimine non solo va controcorrente, ma è un antidoto alla incombente regressione civile.
Siamo infatti di fronte al restringimento dei diritti sociali e di cittadinanza, particolarmente grave verso la forza-lavoro e il mondo culturale degli immigrati, che hanno intrapreso per la prima volta un’azione organizzata di grande valore civile nei confronti di leggi repressive a sfondo razzista. Siamo di fronte a un governo che ha paralizzato il Parlamento con leggi “ad personam” tese solo a togliere dai guai giudiziari il presidente del consiglio, mentre viviamo l’odiosa contraddizione di una propagandistica quanto generica legge anticorruzione progettata da un governo che con l’altra mano si prepara a colpire le intercettazioni, principale strumento della lotta giudiziaria ai corrotti e ai corruttori, togliendo alla stampa il diritto-dovere di far conoscere ai cittadini la realtà in cui vivono. Siamo di fronte alla sistematica campagna di delegittimazione di quegli stessi Pubblici Ministeri ai quali si deve, come ai tempi di Mani Pulite, la possibilità di far emergere i molteplici comitati d’affari che mortificano la buona amministrazione ad altissimi livelli di responsabilità pubbliche, politiche e amministrative. Siamo infine di fronte a una programmata campagna per mettere il bavaglio alle poche isole di approfondimento informativo che sono scampate all’occupazione “manu militari” della Rai, con il blocco imposto prima delle elezioni regionali ai talk show e alle inchieste sotto il pretesto della “par condicio”, una censura che non ha precedenti in Europa e in Occidente. E tutto questo, è giusto ricordarlo, in un quadro politico sconvolto, con una maggioranza divisa, disorganizzata fino al dilettantismo, priva di qualsiasi conato autocritico sulla propria inosservanza anche delle regole elettorali e un’opposizione debole, finora incapace di colmare il crescente distacco dal Paese e la generalizzata sfiducia verso la politica e la sua classe dirigente.
Le decine di migliaia di giovani e di cittadini di tutt’Italia che percorreranno le vie di Milano, per abbracciare i familiari delle vittime di mafia, per discutere insieme sul futuro della democrazia, conoscono bene la realtà. Sentono che non è per questa Italia che per mano mafiosa sono caduti donne e uomini, che con ben altri ideali e speranze si sacrificarono tanti giovani che nel ’43 scelsero la Resistenza, così come valori opposti animavano coloro che caddero negli anni di piombo sotto i colpi del terrorismo rosso e nero.
Se il crimine organizzato vive e si sviluppa perchè incardinato nella corruzione pubblica e di massa, nelle deviazioni e nella mancata “questione morale” del ceto politico, nella deriva etica e culturale di un mercato che sacrifica trasparenza e onestà al guadagno a ogni costo, nel conformismo omertoso che avvolge gran parte del sistema mediatico, tutti ingranaggi essenziali al funzionamento della sua macchina infernale, altrettanto deve avvenire per il composito fronte e le motivazioni di chi non condivide questo meccanismo e non intende farsene schiacciare.
Anche negli specifici percorsi del 20 Marzo a Milano, dunque, la stella polare potrà essere solo la difesa unitaria e senza compromessi dei principi fondanti della Costituzione repubblicana.
*da http://www.liberainformazione.org