di Vincenzo Vita*
L’ultima scadenza elettorale rimarrà impressa nei libri e nella cronaca non solo per i suoi risvolti politici ma anche per la ‘scoperta’ della rete da parte di Berlusconi. Si prega di non fare finta di niente, né di minimizzare. Si può tristemente rammentare a chi usa fare così che – ormai sono passati più di trent’anni- stessa sottovalutazione vi fu quando il cavaliere cominciò a costruire il suo network analogico. Oggi il messaggio sembra altrettanto chiaro: prendersi il web. Non è un caso, né è un fenomeno inedito, come ci illustrano ricerche interessanti sul crescente utilizzo politico di internet e come ci ha esemplarmente svelato la campagna elettorale di Obama. L’impressione che offre l’ennesima ‘discesa in campo’ del premier è, però, inquietante. Non perché creda nella rete. Anzi. La sensazione, però, è che si intenda ‘televisivizzare’ il web, utilizzandolo a fini di propaganda digitale. Non come luogo di massima democrazia partecipata. Come deve essere.
Del resto, la sfavillante messaggiata su facebook –e non è che l’inizio, soggiungono gli esperti berlusconiani- è contraddetta da due macigni di cui la destra al governo è ipercolpevole. Da una parte il recente decreto legislativo che attua impropriamente la direttiva 2007/65/CE. Si introducono misure censorie nei riguardi proprio della rete, pur ‘arate’ dal confronto parlamentare. In particolare, si mettono sullo stesso piano la rete e la televisione, con il paradosso di assistere alla cocciuta regolamentazione dello spazio virtuale, mentre la legge è stata letteralmente sbeffeggiata da quello analogico. Paletti, equiparazioni improbabili tra il ’live streaming’ e la diretta televisiva, autorizzazioni preventive, evocazioni autoritarie sono nel linguaggio e nelle estetiche della rete atti censori. Ogni luogo va interpretato. In rete, per produrre effetti illiberali non è necessario chiudere i talk di informazione o fare editti contro conduttrici e conduttori. Basta considerare la rete l’editore e non la struttura di trasporto e diffusione di dati, audio e immagini.
Quindi, tutto questo amore per il web è inficiato dall’arida prosa del decreto del governo. Inoltre, l’Italia sta precipitando in tute le classifiche quanto a capacità tecnologica: la ‘banda larga’. Al riguardo, l’ultimo provvedimento del ministero dello sviluppo è una clamorosa delusione. Che fine hanno fatto gli investimenti annunciati almeno una decina di volte, gli 800 milioni di euro appena sufficienti a rientrare tra i paesi mediaticamente evoluti? Il 47% delle famiglie italiane non ha un computer e intere zone del paese sono ancora ferme al doppino telefonico in rame.
L’entrata in scena del Berlusconi internauta lascia, quindi, molti dubbi aperti. E si scontra contro Berlusconi presidente del consiglio. Comunque, non si sottovaluti tutto questo. La rete non è immutabile. Può essere via via occupata. Il futuro dei ‘nativi digitali’ e della stessa sfera pubblica si gioca lì.
* l'Unità - 03 aprile 2009