di Roberto Natale*
La mobilitazione sulle intercettazioni non è una semplice azione di testimonianza, che si fa per riaffermare principi sacrosanti, ma una battaglia che può essere vinta. E’ non solo giusta, ma utile. E’ importante averlo chiaro, alla vigilia dell’iniziativa di piazza Navona, dove ci ritroveremo alle ore 10 di mercoledì 28 aprile, in contemporanea con l’inizio del dibattito sul ddl Alfano nella Commissione Giustizia del Senato.
Avevamo chiesto a gran voce modifiche al testo uscito dalla Camera, che aveva raccolto tante critiche, a partire da quelle del Presidente della Repubblica. La settimana scorsa le modifiche sono arrivate, attraverso gli emendamenti presentati dal relatore Centaro, ma vanno nella direzione di peggiorare ulteriormente il testo: pene inasprite, restrizioni ancora maggiori al lavoro del cronista e dunque ulteriore secretazione dei fatti, un nuovo reato come la registrazione abusiva che avrebbe l’effetto di colpire anche una parte del giornalismo di indagine. I numeri della commissione e dell’aula sembrano non lasciare scampo, perché sul tema della pubblicabilità delle intercettazioni - dicono concordi tutte le ricostruzioni - il Presidente del Consiglio è irremovibile. Ma la situazione non è affatto chiusa. Per quello che faremo noi giornalisti, innanzitutto. Se l’iniziativa di piazza Navona non basterà (come è probabile), possono esserci azioni ancora più incisive: questo sindacato, del resto, fece uno sciopero tre anni fa contro un altro disegno di legge sulla materia, quando Ministro della Giustizia era Mastella anziché Alfano e a Palazzo Chigi sedeva Prodi anziché Berlusconi. Abbiamo ragioni comprensibili ed apprezzabili da larghi settori dell’opinione pubblica: se chiediamo di continuare a parlare di crack Parmalat e di clinica santa Rita, di scandali del calcio e di appalti del post-terremoto, è ben difficile farci passare come pettegoli ansiosi di spiattellare i dettagli più privati della vita dei potenti. E comunque, nessuna legge potrà imporci di venir meno al diritto-dovere di dare notizie: forse nella maggioranza non hanno ancora ben calcolato l’effetto che avrà - se il ddl dovesse passare in forme tanto pericolose - la disobbedienza civile e professionale che si metterà in atto con l’appoggio delle rappresentanze del giornalismo italiano a tutti i colleghi e le colleghe che sceglieranno di continuare ad informare. E poi c’è l’Europa: che ci può aiutare, che ci aiuterà, in un senso molto concreto e rapido. La Corte Europea di Strasburgo può essere attivata un minuto dopo l’approvazione della legge, e non c’è nemmeno bisogno di attendere (come accade invece per la Corte Costituzionale italiana) che un magistrato sollevi una questione di costituzionalità in un processo. I suoi ripetuti pronunciamenti vanno in direzione di una strenua difesa del diritto di cronaca, persino nel caso in cui il giornalista si sia servito di intercettazioni disposte illegalmente (come nella sentenza Dupuis). Sembra ragionevolmente certo il responso che dalla Corte Europea potrà venire sulla situazione dell’Italia, dove noi giornalisti chiediamo soltanto di poterci servire delle intercettazioni decise in modo pienamente legittimo dalla magistratura; e dove peraltro continuiamo a proporre una “udienza-filtro”, cioè la possibilità per il magistrato di sottoporre ad un ulteriore stralcio i testi delle intercettazioni e degli altri atti portati a conoscenza delle parti, per secretare quei passaggi che riguardino terze persone estranee all’inchiesta o anche gli stessi indagati, ma per aspetti privati non essenziali all’indagine. Per di più la Corte Europea è abituata a decidere in tempi sufficientemente brevi, rispetto a quelli della giustizia italiana: la sua risposta, se ce ne sarà bisogno, arriverà abbondantemente prima della fine della legislatura. La legge Alfano, dunque, non è una sciagura inevitabile. Le forze professionali e sociali che saranno insieme in piazza Navona non partono affatto battute.
* Presidente Fnsi
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