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Intercettazioni, nuove norme. Prosegue tour de force in Commissione
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di redazione*

Intercettazioni, nuove norme. Prosegue tour de force in Commissione

Tra le polemiche e l'ostruzionismo da parte dell'opposizione è stato approvato nella tarda serata di ieri in Commissione Giustizia del Senato un emendamento del governo al ddl intercettazioni che di fatto riformula la procedura cui i pm dovrannoattenersi per ottenere l'autorizzazione a intercettare le utenze telefoniche. La norma introdotta ieri sera dalla Commissione prevede che per intercettare debbano sussistere "gravi indizi di reato"; che le intercettazioni vadano eseguite sulle utenze degli indagati o di terzi che, "sulla base di specifici atti di indagine", risultino a conoscenza dei fatti per i quali si procede; e che le intercettazioni siano assolutamente indispensabili ai fini della prosecuzione delle indagini. Nell'emendamento del governo si stabilisce che anche le riprese visive vengano effettuate in luoghi che appartengono agli indagati o a soggetti che, sempre "sulla base di specifici atti di indagine", risultino a conoscenza dei fatti per i quali si procede e, in più, sussistano "concreti elementi per ritenere che le relative condotte siano direttamente attinenti ai medesimi fatti". Il magistrato dovrà chiedere l'autorizzazione al tribunale del capoluogo del distretto in composizione collegiale. Ma la nuova norma impone anche al pm l'obbligo di applicare le stesse disposizioni che servono nella valutazione della prova.

Particolarmente accesso è stato il dibattito di ieri sera. Tanto che il responsabile giustizia dell'Idv, Luigi Ligotti, è arrivato a suggerire che il sottosegretario Giacomo Caliendo avesse bisogno "di una perizia psichiatrica". "La vera vergogna - ha protestato il senatore del Pd Felice Casson - è che vengono respinte tutte le nostre proposte di modifica. La maggior parte delle quali punta a migliorare il provvedimento in maniera sensibile visto che si tratta di un ddl scritto male e lacunoso". "Questa sarà la settimana decisiva", aveva detto ieri il ministro della Giustizia Angelino Alfano preannunciando la maratona di sedute notturne in Commissione Giustizia sul ddl intercettazioni. Un provvedimento che – assicura il Guardasigilli – sarà licenziato a giugno. Senza per altro escludere il voto di fiducia in aula a Palazzo Madama. Il tour de force dei lavori della commissione era già stato programmato la settimana scorsa dal presidente della Commissione Giustizia del Senato Filippo Berselli e prevedeva per ieri sera una "seduta a oltranza". Oggi sono in programma tre riunioni (8.30, 14.30 e 20.30, sempre a oltranza), lo stesso calendario per mercoledì. "Se giovedì non avremo finito - ha spiegato Berselli - il provvedimento sarà calendarizzato per la settimana successiva in aula senza mandato al relatore". Insomma, fra due settimane il ddl intercettazioni andrà in aula al Senato, anche se l'esame in Commissione non sarà terminato. Questo perché l'opposizione continua a intervenire su ogni emendamento e porta via tempo alla maggioranza che ribadisce l'accusa di "ostruzionismo".

Contro il provvedimento si sono schierati gli editori che, in occasione del Salone del libro di Torino, hanno lanciato un appello  per "la libertà di stampa" scritto dal Gems e sottoscritto da grandi case editrici nazionali, da Rizzoli a Feltrinelli a Laterza. "Così com'è la legge - si legge nella nota degli editori - rischia di compromettere un diritto dei cittadini tutelato dalla Costituzione, quello di informazione e di critica". Un rischio, aggiungono, che "vale non solo per i giornali, anche per i libri che in Italia svolgono una funzione essenziale per consentire ai cittadini una scelta democratica, libera e consapevole". Non ha invece aderito all’appello la Mondadori: "La casa editrice Mondadori - si legge in un comunicato stampa della casa editrice di Segrate - fa parte dell'Aie (Associazione editori italiani, ndr) che ha già espresso la sua opinione a nome di tutti gli editori italiani. Nei nostri libri ogni giorno difendiamo la libertà di espressione di tutti gli autori".

*fonte il Velino

"Una battaglia che vogliamo vincere"- di Roberto Natale / Subito una grande manifestazione di protesta - di Giuseppe Giulietti / Intercettazioni: "è una legge ipocrita per cancellare il diritto di espressione e quello di essere informati" - Intervista a STEFANO RODOTA' - di Gianni Rossi  / DON LUIGI CIOTTI: "Qualsiasi bavaglio mette a repentaglio la democrazia" - di Elisabetta Reguitti


L'APPELLO

La legge che ordina il silenzio stampa
di STEFANO RODOTÀ

SE LA legge sulle intercettazioni verrà approvata nel testo in discussione al Senato, sarà fatto un passo pericoloso verso un mutamento di regime. I regimi non cambiano solo quando si è di fronte ad un colpo di Stato o ad una rottura frontale. Mutano pure per effetto di una erosione lenta, che cancella principi fondativi di un sistema. Se quel testo diverrà legge della Repubblica, in un colpo solo verranno pregiudicati la libertà di manifestazione del pensiero, il diritto di sapere dei cittadini, il controllo diffuso sull'esercizio dei poteri, le possibilità d'indagine della magistratura. Ci stiamo privando di essenziali anticorpi democratici. La censura come primo passo concreto verso l'annunciata riforma costituzionale, visto che si incide sulla prima parte della Costituzione, quella dei principi e dei diritti, a parole dichiarata intoccabile? Se così sarà, dovremo chiederci se viviamo ancora in uno Stato costituzionale di diritto.

Questa operazione sostanzialmente eversiva si ammanta del virtuoso proposito di tutelare la privacy. Ma, se questo fosse stato il vero obiettivo, era a portata di mano una soluzione che non metteva a rischio né principi, né diritti. Bastava prevedere che, d'intesa tra il giudice e gli avvocati delle parti, si distruggessero i contenuti delle intercettazioni relativi a persone estranee alle indagini o comunque irrilevanti; si conservassero in un archivio riservato le informazioni di cui era ancora dubbia la rilevanza; si rendessero pubblicabili, una volta portati a conoscenza delle parti, gli atti di indagine e le intercettazioni rilevanti.

Su questa linea vi era stato un largo consenso, che avrebbe permesso una approvazione a larga maggioranza di una legge così congegnata.

Ma l'obiettivo era diverso. La tutela della privacy è divenuta il pretesto per aggredire l'odiata magistratura, l'insopportabile stampa. Non si vuole che i magistrati indaghino sul "mostruoso connubio" tra politica e affari, sull'illegalità che corrode la società. Si vuole distogliere l'occhio dell'informazione non dal gossip, ma da vicende che inquietano i potenti, dal malaffare. Se quella legge fosse stata approvata, non sarebbe stato possibile dare notizie sul caso Scajola, perché si introduce un divieto di pubblicazione che non riguarda le sole intercettazioni.
In un paese normale proprio quest'ultima vicenda avrebbe dovuto indurre alla prudenza. Sta accadendo il contrario. Al Senato si vuole chiudere al più presto. E questo è coerente con l'affermazione del presidente del Consiglio, secondo il quale in Italia "c'è fin troppa libertà di stampa". Quale migliore occasione per porre rimedio a questo eccesso di una bella legge censoria?

Scajola, infatti, è stato costretto a dimettersi solo dalla forza dell'informazione. Una situazione apparsa intollerabile. Ecco, allora, il bisogno di arrivare subito ad una legge che interrompa fin dall'origine il circuito informativo, riducendo le informazioni che la magistratura può raccogliere, impedendo che le notizie possano giungere ai cittadini prima d'essere state sterilizzate dal passare del tempo. Non si può tollerare che i cittadini dispongano di informazioni che consentano loro di non essere soltanto spettatori delle vicende politiche, ma di divenire opinione pubblica consapevole e reattiva.

Si arriva così all'infinito silenzio stampa, all'opinione pubblica impotente perché ignara dei fatti, visto che nulla può esser detto su qualsiasi fatto delittuoso fino all'udienza preliminare, dunque fino a un tempo che può essere lontano anni dal momento in cui l'indagine era stata aperta. Che cosa resterebbe della democrazia, che non vuol dire soltanto "governo del popolo", ma pure governo "in pubblico"? In tempi di corruzione dilagante si abbandona ogni ritegno e trasparenza, si dimentica il monito del giudice Brandeis: in democrazia "la luce del sole è il miglior disinfettante". Stiamo per essere traghettati verso un regime di miserabili arcana imperii, di un segreto assoluto posto a tutela di simoniaci commerci di qualsiasi bene, di corrotti e corruttori, di faccendieri e di veri criminali.

Questo regime non avvolgerebbe soltanto in un velo oscuro proprio ciò che massimamente avrebbe bisogno di chiarezza. Creerebbe all'interno della società un grumo che la corromperebbe ancor più nel profondo. Le notizie impubblicabili, infatti non sarebbero custodite in forzieri inaccessibili. Sarebbero nelle mani di molti, di tutte le parti, dei loro avvocati e consulenti che ricevono le trascrizioni delle intercettazioni, gli atti d'indagine, gli avvisi di garanzia, i provvedimenti di custodia cautelare. Questo materiale scottante alimenterebbe i sentito dire, la circolazione di mezze notizie, le allusioni, la semina del sospetto. Renderebbe possibili pressioni sotterranee, o veri e propri ricatti. Creerebbe un clima propizio ad un "turismo delle notizie", alla pubblicazione su qualche giornale straniero di informazioni "proibite" che poi rimbalzerebbero in Italia.

Accade sempre così quando ci si allontana dalla via retta della democrazia e dei diritti. Dal diritto d'informazione in primo luogo, che non è privilegio dei giornalisti, ma diritto fondamentale d'ogni persona, la premessa della sua cittadinanza attiva, del suo "conoscere per deliberare". Ce lo ricordano le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, dov'è sempre ripetuto che "la libertà d'informazione ha importanza fondamentale in una società democratica". In una sentenza del 2007, che riguardava due giornalisti francesi autori d'un libro sulle malefatte di un collaboratore di Mitterrand, la Corte ha ritenuto che la notorietà della persona e l'importanza della vicenda rendevano legittima la pubblicazione anche di notizie coperte dal segreto. In una sentenza del 2009 si è messo in evidenza che eccessivi risarcimenti del danno a carico di giornalisti e editori possono costituire una forma di intimidazione che viola la libertà d'informazione: che cosa dovremmo dire quando, da noi, il testo all'esame del Senato impugna come una clava le sanzioni pecuniarie con chiaro intento intimidatorio? E guardiamo anche agli Stati Uniti, al fermo discorso di Hillary Clinton sul nesso tra democrazia e libertà di espressione su Internet, alle ultime sentenze della Corte Suprema che, pure di fronte a casi sgradevoli e imbarazzanti, ha riaffermato la superiorità del Primo Emendamento, appunto della libertà di espressione

Un velo d'ignoranza copre gli occhi del legislatore italiano. Ma non è il benefico velo che lo mette al riparo da pressioni, da influenze improprie. È l'opposto, è la resa alla imposizione di chi non vuole che si guardi al mondo quale veramente è. Nasce così un'anomalia culturale, prima ancora che giuridico-istituzionale. Ci allontaniamo dai territori della civiltà giuridica, e ci candidiamo ad esser membri a pieno titolo del club degli autoritari Certo la nostra Corte costituzionale prima, e poi quella di Strasburgo, potranno ancora salvarci. Intanto, però, la voce dei cittadini può farsi sentire, e non è detto che rimanga inascoltata.


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