di DENTRO LE NOTIZIE
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I TITOLI DEI TG DEL 19 MAGGIO 2010 - Apprestandoci a questo report, spontaneo ci era venuto l’abbinamento di due notizie che hanno entrambe attinenza con la galassia, o se volete, la palude informazione e con i problemi sempre maggiori per chi tenta di fare informazione e comunicazione . Poi ci siamo detti: forse esageriamo, forse la nostra ottica è deviata.
E a cuore aperto e mente sgombra ci siamo messi a seguire i tg di prima serata. Abbiamo scoperto, però, che questa intuizione non era stata solo nostra e che se di pazzi si tratta, siamo in buona compagnia. I Tg infatti tutti, chi per esplicita affermazione, chi per cosciente negazione, ruotano intorno alla morte del giornalista italiano durante i disordini a Bangkok e alle norme calde calde approvate nel pomeriggio dalla commissione cultura dl Senato contro le intercettazioni , con corredo di multe e galera per chi vuole continuare ad informare in questo Paese.
Andiamo con ordine. Il Tg 3 fa primo e secondo titolo proprio sui due temi citati; Il Tg La 7 dedica la copertina all’uccisione di Fabio Polenghi in Tailandia ed il televoto al gradimento o meno delle norme ammazza indagini e annulla informazione. Il Tg 2 dedica - In qualche modo collegandoli - Il secondo ed il terzo titolo ai due temi, dopo aver aperto sulla Merkel e la crisi finanziaria europea.
Questi tg hanno avuto la nostra stessa, banale idea.
Il tg 1 segue Studio Aperto nell’apertura su l’uccisone del reporter Polenghi , ma poi relega le intercettazioni e la pubblicazione degli atti giudiziari solo un mini asettico servizio da studio. Studio Aperto non fa neanche questo. Il Tg 5 , secondo titolo a Polenghi, “zero tituli” alla stretta contro editori e giornalisti. Infine il Tg 4 di Fede che - lasciatecelo dire - fa un capolavoro. Apre comprensibilmente commosso sul ritorno in Italia delle salme degli alpini uccisi in Afghanistan , e poco prima della consueta notizia sulla primavera ci dice che si occuperà di un reporter italiano morto a Bangkok.
Niente bavaglio all’informazione: lo aveva già applaudito ieri sera.
Dunque l’intuizione di legare due notizie, diversamente entrambe drammatiche, ha trovato nelle direzioni dei tg espliciti estimatori e coerenti negatori . Di questo, della difficoltà sempre maggiore del mestiere del giornalista, parliamo nel commento con Mimmo Candito, Presidente di Reporters Sans Frontieres Italia.
In conclusione e senza voler rubare il mestiere al Trio Medusa – che lo fa benissimo -, per chi l’avesse perso segnaliamo il decisivo titolo e servizio del TG 1 sui campionato italiano del cappuccino a Torino.
Il Commento: Mimmo Candito, Reporters Sans Frontieres
(Intervista di Ambra Murè)
Come abbiamo visto oggi ci occupiamo di due notizie. Entrambe, in modo diverso, riguardano il mondo dell’informazione. La morte del fotoreporter Flavio Signori in Thailandia e la stretta sulle intercettazioni in Italia. Possiamo dire che fare informazione, nelle zone di guerra ma in un certo senso anche nel nostro paese, diventa un mestiere sempre più difficile?
Vi è un filo diretto che drammaticamente mette sullo stesso piano la morte di un collega e il rischio enorme che il giornalismo come tale, non i giornalisti, corre in un paese come l’Italia di fronte a queste norme che stanno per essere applicate. E’ un dato genetico: il giornalismo è uno strumento di intervento nella vita della società che compie un atto testimoniale. Quindi il giornalismo sempre e da sempre deve misurarsi con un tentativo di condizionamento dei poteri. E’ un condizionamento quello dell’esercito thailandese, che dice ai giornalisti statevene lontani perché altrimenti rischiate la pelle, ma allo stesso tempo è un condizionamento del potere politico che in una società di caratura democratica come l’Italia intervenga un impianto normativo che mette assolutamente a rischio la qualità dell’informazione e la stessa libertà del giornalismo di far conoscere alla società quel che sta avvenendo nel paese.
Qualora venisse approvato, il disegno di legge sulle intercettazioni colpirebbe non solo gli editori, ma anche i giornalisti, imbavagliati dalla prospettiva del carcere e di una multa che potrebbe arrivare fino a 20 mila euro. Un rischio intollerabile soprattutto per i free-lance, che, come abbiamo visto, sono già oggi i più esposti nelle zone di guerra…
Sì, certo, non vi è dubbio. Il giornalismo non è soltanto produzione intellettuale: la notizia è anche un bene di consumo che si offre sul mercato. Il problema dei free-lance è quello di essere l’anima libera del giornalismo. Loro, non essendo all’interno di un’organizzazione editoriale, devono tentare di battere sul mercato l’offerta delle grandi agenzie. Se vuole vendere il proprio prodotto sul mercato, un free-lance deve dare più e altro rispetto ai grandi centri di produzione e deve spingersi laddove talvolta le grandi agenzie non si spingono. Quindi accade proprio per questo che larga parte dei nostri morti degli ultimi anni siano proprio free-lance o cameramen, cioè coloro che davvero stanno sul campo, al di là di quella frontiera che spesso noi giornalisti organizzati ci poniamo.