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Idee e cultura per il cambiamento, questo è il Festival nelle terre di don Peppe Diana
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di Sergio Nazzaro

Idee e cultura per il cambiamento, questo è il Festival nelle terre di don Peppe Diana

Il Festival dell’Impegno Civile “Le terre di don Peppe Diana” giunge alla terza edizione. Festival di cultura, nelle terre che erroneamente sono identificate come le terre della Camorra. Terre meridionali, di cittadini che cercano di resistere e costruire un futuro altro, anche a fronte dell’indifferenza di tanti, a volte troppi, concittadini. Il concetto di fondo che muova il festival dell’Impegno Civile curato da Pietro Nardiello, e promosso dal Comitato don Peppe Diana è la possibilità reale del mutamento, attuato dalla cultura. La lotta alla criminalità organizzata si dice possibile con l’interazione dei cittadini che creano cultura. Belle parole che solitamente non hanno un’attuazione e soprattutto poco spazio nel circo dei media. Già, quando si arriva alle possibili soluzioni, quelle vere, siccome non c’è sangue, non interessa. Il festival si espande sempre di più. Dilaga nella provincia di Napoli, oltre quella di Caserta, per movimentare idee e pensieri. Una macchia d’olio benefica che agita per tutta la settima, dal 24 al 30 maggio, terre sofferenti ma con una decisa volontà di cambiare rotta. Dibattiti, mostre, musica, che sembrano essere le parole d’ordine di ogni buon festival, ma qui si camminerà ancora una volta sui beni confiscati, non ci saranno solo lamentele di abbandoni da parte delle istituzioni, ma soprattutto idee a confronto. Perché incredibilmente la Cultura può essere la chiave di volta del dolore del Sud. Non solo fregiarsi di ciò che si è stati o si poteva essere, ma il festival “Le terre di don Peppe Diana” vuole vedere al domani. Quello vero, il giorno dopo la lettura di queste stesse righe. Non è la militarizzazione di un territorio o la sola forza dell’ordine che creano un domani migliore. Ma le idee. Ma un festival non viene su solo perché lo si vuole, perché qualcuno ha un’idea, perché è giusto che ci siano manifestazioni “anticamorra”. Proprio no. Un festival con un programma così vasto, che raduna moltissimi strati di pensiero e di azioni concrete e reali sul territorio deve scontrasi con la burocrazia, con l’ignavia delle terre di don Peppe Diana. Lottando per avere sostegni e contributi. E riuscire ad avere una visibilità mediatica reale. Non si può dare spazio solo al sangue. Altrimenti non si spiega perché poi la gente partecipa numerosa a tutti gli incontri mentre la stampa sembra silenziosa. Così si ritorna al “wow c’è la camorra” solo perché sembra essere di moda, senza capire che c’è sempre stata. Ed è lo stesso medesimo accadimento per il festival: “wow c’è cultura” anche dove scorre tanto troppo sangue. C’è sempre stata e sempre ci sarà, senza avere bisogno di buoni o cattivi maestri.

 


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