di Domenico Affinito*
Il disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche, approvato dal Senato e ora passato alla Camera, è una grave limitazione al diritto di cronaca e contiene misure che affievoliscono l'azione penale della magistratura. Per questo non è esagerato dire che la nuova legge mina la trasparenza democratica in Italia. Se fosse approvata così come la conosciamo oggi, la nuova norma renderebbe più difficile l'utilizzo di intercettazioni telefoniche e ambientali come strumenti investigativi. Il disegno di legge, infatti, revede che le intercettazioni siano possibili solo in caso di presenza
di gravi indizi di reato, ne restringe l'applicazione ai reati punibili on pene superiori a cinque anni di carcere e ne riduce la durata assima a soli 75 giorni (tranne che per mafia e terrorismo). Il testo, noltre, vieta l'utilizzo delle stesse intercettazioni in procedimenti iversi da quelli nei quali sono state disposte, anche se contengono ltre notizie di reato. Gli inquirenti spiegano che ciò limiterà 'efficacia dell'azione investigativa nei confronti dei reati di mafia,
le cui indagini partono il più delle volte da indagini su altri reati.
Oltre a indebolire fortemente l'azione penale, il disegno di legge appresenta una seria minaccia per il libero esercizio della professione giornalistica. La nuova legge vieta ai giornalisti italiani di ubblicare qualsiasi atto di indagine, comprese le intercettazioni, fino alla conclusione delle indagini preliminari o fino al termine nell'udienza preliminare. Il divieto vale anche per quei documenti non coperti da segreto istruttorio e quindi pubblici. L'ultima versione del
provvedimento permette articoli che riassumano le vicende giudiziarie, una volta che le parti in causa ne siano a conoscenza. Ma è una correzione tardiva e del tutto insufficiente.
L'accesso e l'utilizzo da parte dei professionisti dell'informazione di svariate registrazioni ha invece permesso ai media italiani, anche di recente, di portare a galla numerose e gravi vicende di corruzione, come il crac Parmalat, uno degli scandali finanziari più gravi degli ultimi anni in Europa, per citarne solo uno.
Ancora più grave, e del tutto inaccettabili in un paese democratico, sono le sanzioni previste per i giornalisti e gli editori che trasgrediranno alle nuove norme. Quei reporter che pubblicheranno il contenuto di intercettazioni per le quali è stata ordinata la istruzione, o anche solo il riassunto di conversazioni o flussi di comunicazione riguardanti fatti e persone estranee alle indagini, rischiano l'arresto fino a 30 giorni e multe fino a 10mila euro. Gli
editori che violeranno il divieto di pubblicazione, invece, saranno puniti con multe fino a 464mila euro. Un'ammenda che non ha eguali in
tutto il codice penale italiano: diciotto volte quanto previsto per i
più gravi reati finanziari.
Tutto questo si tradurrà in una forte difficoltà a informare i
cittadini sulla attività di magistratura e forze di polizia.
Contro questa legge si sono espressi tutti gli editori, eccezion fatta
per la famiglia Berlusconi e il colosso Mediaset (per ovvi motivi di
conflitto di interesse), e anche la stragrande maggioranza dei direttori
delle testate italiane, di tutti gli orientamenti politici, ma nemmeno
questo è bastato. Anche gli appelli provenienti dalle voci più
moderate sono caduti nel vuoto.
Da più parti è stato evidenziato che in Italia c'è una sistematica
violazione del segreto istruttorio e che, troppo spesso, vengono
pubblicate anche quelle intercettazioni telefoniche che non hanno nulla
a che fare con le vicende trattate, ma che mettono in difficoltà le
persone coinvolte. Tanto che anche il ministro della giustizia Clemente
Mastella, nel precedente governo di centrosinistra, cercò di preparare
un testo che non fu mai approvato e che fu criticato da molti operatori
dell'informazione. Come allora anche oggi sono in tanti a credere che il
nuovo disegno di legge non serva a tutelare la privacy dei cittadini, ma
gli eventuali abusi di una classe politica, quella italiana, che negli
ultimi anni non ha brillato per rigore morale.
Sarebbe stato più proficuo coinvolgere nell'iter di costruzione del
testo chi con le intercettazioni ha a che fare tutti i giorni:
magistrati, investigatori e giornalisti. Non lo si è voluto fare per
una chiara scelta politica dettata, il dubbio di crederlo è forte,
forse più da ragioni di opportunismo che di equità. Fin dall'estate
del 2005 Silvio Berlusconi ci aveva provato a farla finita con tutte le
«indiscrezioni» di stampa: allora, come oggi, era presidente del
Consiglio e aveva annunciato che stava scrivendo «di suo pugno» una
legge per mandare in galera da 5 a 10 anni chi diffondeva illegalmente o
pubblicava le intercettazioni telefoniche.
Eppure anche un'importante istituzione della nostra Europa ha detto che
è illecito, in alcuni casi, vietare ai giornalisti di pubblicare
intercettazioni. Il 7 giugno 2007, infatti, la Corte europea dei diritti
umani ha condannato la Francia per aver violato la Convenzione europea
dei diritti dell'uomo in tema di libertà di espressione e informazione
in quanto la giustizia francese aveva giudicato colpevoli due
giornalisti per aver raccontato in un libro il sistema di
intercettazioni illegali attuato durante la Presidenza Mitterand. La
Corte europea, pur considerando che i due autori avevano effettivamente
violato le norme francesi sul segreto istruttorio, ha riconosciuto
prevalente l'esigenza del pubblico di essere informato sul procedimento
giudiziario in corso.
Jérôme Dupuis et Jean-Marie Pontaut, infatti, erano stati condannati
per la pubblicazione nel 1996 di un libro intitolato "Les Oreilles du
Président" che raccontava di un sistema illegale di intercettazione
che assomiglia da vicino al caso Telecom, orchestrato tra il 1983 e il
1986 dagli alti vertici dell'Eliseo contro numerosi personaggi della
società francese, compresi molti giornalisti e avvocati, approfittando
di un decreto anti-terrorismo.
Nel procedimento penale era coinvolto un collaboratore del Presidente
Mitterrand che denunciò in sede penale i giornalisti, accusandoli di
aver utilizzato dichiarazioni rese al giudice istruttore e
intercettazioni sottratte illegalmente dagli atti giudiziari. I
giornalisti non vollero rivelare le loro fonti, sostenendo che il
materiale circolava da tempo nelle redazioni, ma il Tribunale di Parigi
decretò che si trattava di documentazione agli atti del processo
penale coperto dal segreto istruttorio e condannò i due giornalisti ad
una pena pecuniaria contenuta. Per Dupuis e Pontaut era comunque troppo
per quello che rappresentava: una questione di libertà. E così si
sono rivolti alla Corte dei Diritti dell'uomo, ottenendo una sentenza
favorevole e che è bene ricordare in alcuni passaggi: «La Corte
ritiene che occorre avere la più grande prudenza in una società
democratica nel punire per violazione di segreto istruttorio o di
segreto professionale dei giornalisti che esercitano così la loro
missione di "cani da guardia" della democrazia». Secondo il tribunale
di Strasburgo la legge «protegge il diritto dei giornalisti di
comunicare informazioni su questioni di interesse generale nel momento
in cui questi si esprimono in buona fede, sulla base di fatti esatti e
forniscono informazioni "affidabili e precise" nel rispetto dell'etica
giornalistica». In più i giudici hanno anche sottolineato che le
intercettazioni pubblicate dai giornalisti francesi non sono state
contestate per la loro veridicità, e che i giornalisti «hanno agito
nel rispetto della regole della professione, nella misura in cui queste
pubblicazioni servivano a dare credibilità alle notizie, attestando la
loro esattezza e autenticità».
Reporters sans frontières considera il disegno di legge italiano sulle
intercettazioni un bavaglio al libero giornalismo e un serio attacco
alla libertà di stampa. Con l'approvazione di questa legge verrà
sancita, di fatti, la morte del giornalismo giudiziario d'inchiesta. Le
sanzioni per i trasgressori rappresentano una vera censura e un ostacolo
inaccettabile alla libertà di informazione per una società
democratica, come dovrebbe essere quella italiana. Per questo Reporters
sans Frontières internazionale ha deciso, su suggerimento della
sezione italiana di Rsf, di aprire la propria piattaforma blog (basata
in Francia) alla pubblicazione di quei documenti e quelle
intercettazioni che in Italia saranno considerati fuorilegge, qualora il
disegno di legge italiano venisse approvato definitivamente.