di Shukri Said
L’orrendo frutto dell’accordo sui respingimenti tra Italia e Libia, alla fine, ha mostrato il suo grado di maturazione spargendo il suo succo amaro sul capo di quasi tutti gli italiani perché l’arco di coloro che a quell’accordo hanno prestato il consenso è stato molto più ampio di quanto ci si sarebbe aspettato. Il messaggio in bottiglia costituito da un sms affidato alle onde hertziane del sistema cellulare, ha permesso al mondo di conoscere la fine che fanno gli abitanti dei Paesi subsahariani orientali respinti dall’Italia senza alcuna selezione tra gli aventi diritto all’asilo e imprigionati nei lager libici in mezzo al deserto tra malattie e torture, con poco cibo, poca acqua, niente igiene e un caldo pazzesco.
Quanto si è appreso da quell’sms non è affatto una sorpresa, ma la conferma dell’esito annunciato all’indomani della ratifica di quell’accordo tra Italia e Libia e massimamente temuto dalla sua attuazione, quando in data 15 maggio 2009 l’Italia donò le prime due motovedette alla Libia proprio per il pattugliamento della frontiera mediterranea.
La vergogna di quell’accordo stigmatizzato da tanti della società civile italiana, dall’UE e dall’ONU, ora ricade su tutti noi e ci impone una riflessione.
Le vittime dei respingimenti sono soprattutto eritrei, somali ed etiopi. Popoli che, con quello libico, sono appartenuti alle colonie italiane di cui il Fascismo fu tanto orgoglioso da proclamarsi Impero proprio in virtù di esse.
L’Italia ha espressamente riconosciuto di aver provocato danni con l’occupazione dei territori africani. Lo attesta proprio il trattato con la Libia alla quale si attribuiscono ben cinque miliardi di dollari di indennizzi.
Nulla, però, è stato sin qui previsto per gli altri Paesi occupati nell’epoca coloniale, tanto meno per quelli dell’Africa Italiana Orientale istituita nel 1938 accorpando Eritrea, Somalia ed Etiopia e da cui provengono in gran parte quei profughi respinti in mare dalla Libia cui il Governo Berlusconi ha appaltato la blindatura della frontiera a sud.
Anche la conciliazione con il passato coloniale, dunque, si conferma una scelta ad personam, prevedendo il risarcimento in favore della sola Libia, ricca di petrolio e gas, ed a scapito dei Paesi più deboli oggi. Un metodo coerente con gli altri dell’attuale Governo già noti: debole con i forti e forte con i deboli.
La mancanza o l’irrisolutezza dei governi degli altri Paesi delle ex colonie italiane non può costituire un alibi per il loro abbandono nel momento in cui si accetta espressamente di risarcire uno degli altri Stati in cui pure si esercitò il colonialismo italiano.
L’Italia deve immediatamente modificare le sue scelte e farsi carico dei disperati delle sue ex colonie. Inoltre, più di ogni altro Paese, deve farsi carico di intervenire nelle ex colonie per favorire la loro riorganizzazione ed il miglioramento delle condizioni di vita dei loro abitanti. Questo sarebbe certamente il modo migliore per attenuare la pressione dell’immigrazione che proprio da quei Paesi mira ad arrivare al nostro quale più familiare tra tutti gli altri, sia per lingua che per tradizioni.
L’intervento in favore delle ex colonie costituirebbe, peraltro, il modo migliore, per l’attuale Governo, di rispettare le tradizioni della destra alle quali afferma di ispirarsi.
E’ assolutamente inaccettabile, invece, non solo rimanere inerti rispetto alla gravità delle condizioni in cui versano i Paesi dell’ex A.I.O. del 1938, mentre si china la testa dinanzi al Colonnello Gheddafi, ma addirittura rigettare in mare i profughi di quei Paesi evitando accuratamente di accertarne il diritto all’asilo secondo i principi del Trattato di Ginevra sui rifugiati del 1951 al quale l’Italia ha espressamente aderito.
Tutti gli altri Stati che hanno avuto un passato da colonizzatori si sono fatti carico dei problemi dei territori occupati dopo il riconoscimento dell’indipendenza. L’Inghilterra li ha mantenuti tuttora associati nel Commonwealth, cioè nel benessere comune, in cui si è stabilito un libero o preferenziale diritto di migrazione da un Paese ad un altro. La Francia ammise sul proprio territorio, e con la cittadinanza francese, circa un milione e mezzo di pieds noirs che lasciavano i Paesi del Maghreb che nel 1962 conquistarono l’indipendenza e mantenne per decenni facilitazioni alla libera circolazione con le ex colonie .
Partecipando al colonialismo al pari di tutte le grandi nazioni dell’epoca, l’Italia volle mostrare al mondo di valere quanto le altre grandi potenze, ma quando si è trattato di assumersi le responsabilità che il colonialismo comportava, l’Italia non solo non ha riconosciuto nessuna facility ai cittadini delle ex colonie al momento di adottare i flussi di lavoratori extracomunitari, ma addirittura ha elevato alle sue frontiere il muro dei respingimenti indiscriminati.
Non possiamo permetterci, per umanità e dignità, di adottare respingimenti e attribuire reati di clandestinità che colpiscono soprattutto gli africani, mentre i confini italiani dell’Est e di Malpensa rimangono un colabrodo di immigrati irregolari per recentissima ammissione del Ministro Maroni.
Dopo alcuni giorni di perplessità, seguiti alla diffusione della notizia sulle condizioni di reclusione dei respinti in mare, le Autorità italiane si sono mosse per migliorarne le condizioni dichiarandosi soddisfatte dall’assicurazione che i profughi verranno liberati e destinati a lavori socialmente utili in Libia. Ma si può stare tranquilli sul concetto di “lavoro socialmente utile” che può avere il Colonnello Gheddafi, il quale è riuscito ad chiamare “campo profughi” un forno da 50 gradi in mezzo al deserto del Sahara e non ha mai aderito al Trattato di Ginevra sul diritto d’asilo?
(nella foto l'autrice dell'articolo, Shukri Said, segretaria e portavoce dell'associazione Migrare www.migrare.ue)