di Gianni Rossi
“Anche così riformulata, e sicuramente migliorata, la normativa proposta continua a far riferimento alla pubblicabilità del solo riassunto, come per la verità quella attuale fa riferimento al solo “contenuto”. Si sarebbe invece dovuta cogliere l'occasione per procedere ad una salutare bonifica della disciplina in materia, che continua farisaicamente a pretendere dagli operatori dell'informazione il ricorso ad espedienti”. E’ uno dei passaggi salienti dell’intervista rilasciata ad Articolo21 da Glauco Giostra, professore ordinario di procedura penale all'Università La Sapienza di Roma.
Possiamo dire che con queste modifiche proposte dalla maggioranza ci siano stati sostanziali miglioramenti, che insomma siamo passati dalla “legge bavaglio” alla “legge bavaglino”?
A dire il vero, già nel passaggio tra il divieto di pubblicazione per tutti gli atti di indagine fino all'udienza preliminare e l'omologo divieto per le sole intercettazioni una tale battuta poteva essere felice e pertinente. La verità, però, è che quando si getta un cono d'ombra su una parte anche minima del materiale informativo si reca un vulnus comunque intollerabile al diritto di cronaca, perché ignorare alcune delle conoscenze può pregiudicare anche seriamente la comprensione dell'intera vicenda. E' sempre possibile, infatti, che proprio la notizia oscurata sarebbe stata in grado di cambiare disegno al mosaico della ricostruzione dell'intera vicenda.
Manca comunque il termine temporale all'udienza stralcio!
Se la disciplina venisse approvata così come è, non saremmo in grado di prevedere se il divieto di pubblicazione delle intercettazioni si protrae per un tempo tecnicamente necessario oppure per un tempo inammissibilmente lungo.
La proposta dell'opposizione di stabilire un termine per la celebrazione dell'udienza stralcio è pertanto ineccepibile, perché altrimenti vi sarebbe il rischio che alla secretazione “di diritto” dei risultati delle intercettazioni, prevista nella versione licenziata dal Senato, se ne sostituisca una “di fatto”.
Se, infatti, e giustamente, i risultati delle intercettazioni non debbono essere pubblicabili fino a quando il giudice non abbia stabilito quali siano quelle processualmente rilevanti, il timore più che fondato è che differendo sine die questa “decisione stralcio” (così come purtroppo avviene nella prassi) il divieto di pubblicazione si protragga sino alle soglie del dibattimento.
Resta l'altro problema: quello della pubblicazione di un “riassunto” e non degli atti integrali...
Anche così riformulata, e sicuramente migliorata, la normativa proposta continua a far riferimento alla pubblicabilità del solo riassunto, come per la verità quella attuale fa riferimento al solo “contenuto”. Si sarebbe invece dovuta cogliere l'occasione per procedere ad una salutare bonifica della disciplina in materia, che continua farisaicamente a pretendere dagli operatori dell'informazione il ricorso ad espedienti che lascino trasparire tutto il contenuto, cioè la portata conoscitiva dell'atto di indagine, senza pubblicarlo tra virgolette.
Ho da sempre, invano, sostenuto che i delicati rapporti fra stampa e giustizia penale debbano essere regolati da una normativa più nitida: incidendo sulla liceità-illiceità dell'informazione, la stessa dovrebbe essere affilata come una lama di rasoio, per non lasciare equivoco alcuno in ordine a ciò che è consentito e a ciò che è vietato pubblicare.
La mia idea è che il divieto di pubblicazione debba sussistere – ed essere anche severamente presidiato – fino a quando l'atto di indagine è coperto da segreto. Caduto il segreto, l'atto deve essere a disposizione del giornalista giudiziario – in linea peraltro con una Raccomandazione del Consiglio d'Europa del 2003 – che deve poterlo pubblicare nella misura e con le modalità che ritiene più opportune, nell'esercizio del diritto di cronaca.