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Un autunno carico di rischi
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di Roberto Morrione

Un autunno carico di rischi

Mai come quest’anno agosto porta con sé pesanti interrogativi su cosa ci aspetta in autunno, con la sola certezza che in una perdurante situazione di rischio economico e finanziario, con gravi ricadute sull’occupazione e il tenore di vita degli italiani, sono in gioco scelte che incideranno in ogni caso   nel panorama dell’Italia, sul suo assetto politico e sociale, sulle basi stesse delle istituzioni costituzionali che reggono  il Paese.
Qualunque sia l’esito del confronto fra le due anime della scompaginata maggioranza di governo, accordo sui quattro punti di programma che gli stretti collaboratori del premier stanno elaborando sotto forma di una sorta di diktat o crisi di governo e possibile sbocco di elezioni anticipate, niente sarà più come prima. Le incertezze e le preoccupazioni del premier, visibili per la prima volta anche nelle espressioni che ormai assume inconsciamente, al di là delle dichiarazioni trionfalistiche, dei sondaggi di comodo , delle amene serate organizzate dalle corifee parlamentari del PDL nell’ultima ricca dimora, non hanno affatto cambiato la natura della sua strategia, cioè l’irredimibile tendenza al dominio personale e l’incompatibilità con le leggi della Repubblica. I suoi obiettivi di fondo restano  quelli di sfuggire a ogni costo ai conti aperti con la Giustizia, passati e forse futuri, mantenere l’impunità al sistema di  corruzione e clientelismo che si è raggrumato attorno e sotto di lui, attaccare i controlli sociali sul potere previsti dalla Costituzione, cioè l’autonomia della magistratura e l’indipendenza dell’informazione, condizioni perché permanga l’impero del consenso e del silenzio costruito sul dominio dei media nei confronti di vasta parte dell’opinione pubblica. La qualità altissima della posta in gioco, come le impreviste contraddizioni  che la linea di Fini ha fatto esplodere all’interno del PDL non stanno trovando peraltro all’interno dell’opposizione quell’unità d’intenti, quella capacità di progettazione alternativa, quella mobilitazione popolare nel Paese che l’ emergenza richiederebbe. Le divisioni nell’opposizione, i personalismi, l’inseguire potenziali rendite di posizione, il riaccendersi di scontri correntizi per la leadership della sinistra fuori e soprattutto dentro il PD, fanno il gioco del premier e rendono molto ardua la scelta costituzionale che pur resta in ultima istanza nelle mani del Presidente Napolitano.
Così molti, troppi protagonisti dell’opposizione corrono forsennatamente verso quelle elezioni politiche anticipate che, nell’assenza di una accettabile legge elettorale e con il dominio pressoché totale dei media televisivi da parte di Berlusconi, consegnerebbero con ogni probabilità la vittoria a lui e alla montante Lega di Bossi, con nefasti accessi all’obiettivo finale del Quirinale e irreparabili fratture fra gli italiani. Per non parlare dei rischi traumatici – accertati da validi analisti ed economisti – che si aprirebbero sul piano della crisi economica, dei difficili rapporti con l’Europa, degli inevitabili assalti della speculazione internazionale.
Frattanto quanto sta accadendo dopo la lacerante crisi che ha diviso il PDL non induce ad ottimismo. Accerchiato dalle dimissioni a catena di Scajola, Brancher, Cosentino, con il  coinvolgimento all’ombra di una nuova o antica P 2 di personaggi-chiave del PDL quali Denis Verdini e Marcello Dell’Utri, mentre le procure svolgono le inchieste sui vari  appalti truccati dalla “cricca”, tallonato dalla risorgente denuncia etica di parte del mondo cattolico ( “Famiglia Cristiana”, “L’Avvenire”, la Caritas sugli immigrati), incalzato dalla non prevista forza parlamentare di Fini, che non solo incarna un progetto di destra europea e liberale a lui estranea, ma che rappresenta anche un potenziale polo concorrenziale di alleanze al centro, Berlusconi offre alla Lega lo scambio fra legalità, da lui letta come impunità e federalismo. L’obiettivo di agosto, salvo clamorose varianti non prevedibili, resta quello di incastrare fino in fondo Fini, per annullarne l’autonomia su questi due terreni, indurlo a rinunciare o almeno a limitare le sue prerogative di Presidente della Camera o scaricare su di lui, in caso di ulteriore scontro, la responsabilità delle elezioni anticipate.  Così, seguendo il modello di quello “squadrismo mediatico” con il quale  “Il Giornale” di Berlusconi-Feltri riuscì a far cadere la testa del direttore de “L’Avvenire”, sui giornali e i TG controllati dal premier si è scatenata un’autentica caccia all’uomo, che ha per terreno la vicenda peraltro intricata e in parte realmente ancora oscura dell’appartamento di Montecarlo occupato dal cognato di Fini. La dignitosa difesa del Presidente della Camera, che si affida fiduciosamente alle indagini della magistratura non privandosi di  frecciate al del ben diverso approccio del premier, non sembra bloccare una strumentalizzazione spietata quanto eticamente, politicamente e professionalmente ingiustificabile. Davvero una bella premessa per l’eventuale ruolo che la stampa e le TV controllate dal premier potrebbero giocare in una campagna elettorale anticipata in un clima d’avventura, considerati i “dossieraggi”, le deviazioni di apparati statali e privati, le intercettazioni o i video a scopo scandalistico e ricattatorio che, in modi diretti o indiretti, hanno visto più volte una presenza occulta del Cavaliere, dal caso Marrazzo alla registrazione della telefonata Fassino-Consorte…
E ci sono sempre sullo sfondo - non dobbiamo dimenticarlo – le inchieste delle Procure di Caltanissetta, Palermo, Firenze e Milano sulla trattativa con Cosa Nostra e le stragi mafiose degli anni ’90, inchieste che dopo le affermazioni del pentito Spatuzza, recentemente con motivazioni burocratiche non ammesso al programma di protezione dei collaboratori di giustizia, cercano nuovamente di fare luce sugli eventuali mandanti esterni di quella stagione di morte, per accertare in particolare il ruolo che secondo le accuse vi avrebbe avuto Marcello Dell’Utri. Ecco dunque un ulteriore campo davvero minato su cui si innesta il punto uno del programma su cui i berlusconiani  vogliono stringere il gruppo di Fini, il terreno della riforma della Giustizia, dei provvedimenti studiati su misura dei problemi giudiziari passati e futuri di Berlusconi, come, oggi lo possiamo bene affermare, di tanti suoi stretti collaboratori, dal Lodo Alfano costituzionale  a una possibile riedizione del processo breve. Fino a riesaminare quella legge sulle intercettazioni che sembrava accantonata dopo i vasti rimaneggiamenti operati in Parlamento su spinta di Fini, per l’intervento del Capo dello Stato, per le proteste fra i giornalisti e nel Paese. Ora sembra che Berlusconi non abbia affatto la volontà di recedere su questa legge, troppo profondamente funzionale alla sua strategia.
Eppure anche sul terreno della lotta alle mafie non mancano le contraddizioni, nuove opportunità che dovrebbero essere cavalcate dall’opposizione politica, oltrechè nella società, se la questione della corruzione e del dilagare della criminalità organizzata assumesse finalmente quella centralità che non ha mai avuto nell’agenda del Paese. Come per la recente approvazione al Senato del Piano Straordinario Antimafia, dopo un serrato confronto finalmente unitario., che contiene importanti passi avanti, dall’ impegno preso dal governo di arrivare entro un anno a un testo unico sulle leggi antimafia alla tracciabilità dei flussi finanziari, a nuovi e incisivi controlli sugli appalti. O per il ruolo previsto della nuova Agenzia Nazionale per la gestione e l’assegnazione dei beni confiscati ai mafiosi, che se ci sarà la volontà soprattutto da parte del Ministero dell’Interno potrà integrarsi positivamente con le norme del Piano Straordinario.
Resta tuttavia sostanzialmente non toccato, esattamente come accade per l’eccellente azione repressiva di PM e forze di polizia che pure ha portato a rilevanti arresti nei clan e nelle cosche, il nodo di fondo della questione, che è essenzialmente politico: l’estendersi in modi sofisticati  dell’espansione mafiosa nell’economia legale, soprattutto nel Centro-Nord, le complicità pubbliche, imprenditoriali e professionali che hanno nel voto di scambio, nella corruzione, in numerosi amministratori locali i loro referenti. Qui è la saldatura fra le clamorose operazioni antimafia al Nord, in particolare in Lombardia, i rischi incombenti e in parte riconosciuti delle mani della ‘ndrangheta e della camorra sull’Expo di Milano, le inchieste sulla “cricca” del sottopotere governativo, il fantasma della questione morale che ha portato in crisi le amministrazioni  e la classe dirigente di tante regioni e città, di destra e di sinistra.
Resta, drammaticamente inevasa, la semplice domanda, che rivolgiamo “in primis” al Ministro Maroni, ma che vale per tutte le persone in buona fede e di diversa appartenenza politica:
se c’è in una casa una vistosa perdita che allaga le stanze, ci si può limitare a svuotare dell’acqua stanza per stanza o è necessario trovare e riparare il guasto centrale?


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