di Bruna Iacopino
Si torna a parlare di morti per amianto. Accanto ai timori che ancora in molti nutrono per la presunta sospensione del processo Eternit, affiora oggi agli onori della cronaca un caso che ha a dir poco dell'incredibile. E' la storia di un singolo uomo, o, per meglio dire di una singola famiglia... Il suo nome, Mario Barbieri, morto per asbestosi nel novembre 2006, dopo aver lavorato per 27 anni ai Nuovi cantieri Apuania a Marina di Massa.
Mario muore, lasciando una moglie e tre figli, una invalida al 100%.
La famiglia riesce a vincere in primo grado la battaglia legale con l'Inail che non riconosce invece il nesso tra la malattia e l'esposizione all'amianto come causa scatenante. Alla luce delle cartelle cliniche e delle diagnosi effettuate grazie alla determinazione della figlia Federica, il giudice condanna l'ente a indennizzare i familiari con 100.000 euro e concedere una pensione di invalidità.
Fin qui tutto bene... Tranne il fatto che l'istituto reimpugna la sentenza e stavolta vince: nel giugno 2007 la Corte di Genova, annulla la sentenza di primo grado, non riconoscendo alcuna correlazione tra la malattia e il lavoro ai cantieri, e condanna la famiglia a risarcire l'intera cifra riscossa dall'Inail oltre agli interessi e le spese processuali, il tutto nell'arco dei 30 giorni successivi alla notifica.
L'intero peso ricade su Federica, trent'anni e un lavoro in pizzeria. La famiglia vive con l'angoscia di una richiesta di indennizzo troppo elevata e la paura di perdere tutto, casa compresa.
Fino a ieri, quando la storia di Federica e della sua famiglia approdano sui media locali e nazionali. Immediata la risposta del direttore regionale dell'INAL, Spina, che rassicura la famiglia Barbieri attraverso le pagine dello stesso giuonale, affermando di aver egli stesso bloccato la pratica a gennaio di quest'anno e di non aver alcuna intenzione di richiedere la cifra in questione fino a quando non si sia espressa la corte di Cassazione.
Ma Federica proprio non ci sta, quella non è la verità che conosce: “ L'INAIL – scrive in un comunicato inviato alla stampa- al contrario di quanto affermato nell'articolo, non mi ha mai comunicato alcuna sospensione della restituzione del denaro ricevuto fino a sentenza finale, anzi, l'unica comunicazione in relazione alla cosa, da me tutt'ora ricevuta e' una lettera di richiesta restituzione del tutto in 30 gg, comprensiva di interessi e spese legali. Dopo la mia richiesta di rateizzazione dell'ingente somma sono tutt'ora in attesa di informazioni da parte dell'ente.”
“Informazioni- sottolinea con forza- che avrei preferito ricevere di persona piuttosto che dal giornale.”
Ma per amor del vero e di quel padre scomparso troppo in fretta, torna sulla questione legale, quella che la vede contrapposta in un braccio di ferro estenuante, e chiarisce ancora meglio: “ Riguardo le presunte incongruenze che hanno ''fatto scattare d' ufficio'' ( tali le parole utilizzate dal direttore regionale) il ricorso da parte dell'Inail, trattasi di una TAC (esame radiografico) presentata successivamente alla prima perizia effettuata domiciliarmente dal c.t.u dott.Fabio Renelli, non un'incongruenza, dunque, ma un ritardo dovuto al tempo materiale occorrente per reperire i documenti richiesti. Materiale che certifica una malattia professionale invalidante all'80%, asbestosi, strettamente correlata all'amianto che si lavoravava in NCA negli anni di attivita' di mio padre.”
E la domanda che chiude la sua precisazione è di quelle che dovrebbero far pensare, in primis, a suo avviso, il direttore INAIL: “ ... quale coincidenza porta 36 operai in quel cantiere se nn di piu' ad ammalarsi della stessa patologia e a morire se non un una esposizione lavorativa?”
Quel lavorativa seguito da mille punti interrogativi, è, forse, il messaggio più forte.
Ascolta la testimonianza di Federica Barbieri