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Dal carcere di Opera la voce di Vincenzo Vinciguerra, "non mi fanno incontrare giornalisti perché lo Stato non vuole la verità. Per Mario Moretti il trattamento fu diverso"
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di Stefania Limiti

Dal carcere di Opera la voce di Vincenzo Vinciguerra, "non mi fanno incontrare giornalisti perché lo Stato non vuole la verità. Per Mario Moretti il trattamento fu diverso"

E’ in carcere da oltre trent’anni: si consegnò alle forze dell’ordine e si autoaccusò, senza mai pentirsene, dell’attentato di Peteano nel quale persero la vita nel 1972 due carabinieri – uno dei rarissimi casi, forse l’unico, sul quale c’è una incontrovertibile verità giudiziaria. Prese questa decisione, andando consapevolmente incontro all’ergastolo: alla fine di una lunga e movimentata latitanza, si convinse che solo così poteva fare la sua battaglia di libertà (ha intitolato uno dei suoi libri proprio Ergastolo per la libertà). E dal carcere di Opera Vincenzo Vinciguerra, figura atipica nel panorama del neofascismo italiano nel quale lui stesso non si riconosce e dal quale è stato pubblicamente disconosciuto, continua ostinatamente, <<ossessivamente>> gli disse Sergio Zavoli in una intervista per il suo famoso ciclo La Notte della Repubblica, la sua battaglia per dimostrare che la strategia della tensione è frutto di una collaborazione tra ambienti neri ed alcuni apparati dello Stato legati all’atlantismo: il fine era uno solo, <<destabilizzare per stabilizzare>>, una frase poi fatta propria da molti osservatori e studiosi di misteri italiani per definire l’obiettivo di una tragica stagione del terrore sul quale in Italia nessuno vuole ammettere la verità. Mentre scompaiono alcuni dei vecchi protagonisti di quella storia - Francesco Cossiga, che ha portando con se (chissà cose c’è scritto nel suo testamento) tanti ricordi, o il fascista Giovanni Ventura (<<l’hanno fatto morire senza interrogarlo sui nuovi elementi>> scrive Vinciguerra ), mentre tanti altri tacciono, anch’essi ostinatamente, ed altri ancora ogni tanto dicono qualcosa (il generale Maletti), lui , l’ergastolano va avanti per affermare la sua verità ma trova ancora oggi, a suo dire, ostacoli di varia natura. Difficile non credergli, visto che l’amministrazione carceraria recentemente, negando la visita di una giornalista de Il Messaggero, ha scritto queste parole: <<non si ritiene opportuno consentire al detenuto di proseguire a fare rivelazioni sui fatti dei quali è stato protagonista…>>. E’ forse un modo per patteggiare qualche sconto di pena? No, non sarà così perché questo non è degno di uno Stato di diritto. Sarà miopia, pigrizia, chissà…Sta di fatto Vinciguerra nel 2010 può ancora alzare un j’accuse che non lascia indifferenti: non c’è nulla di personale nella sua battaglia e proprio questo deve destare l’attenzione di tutti.  <<Io non posso dire la mia verità mentre Mario Moretti, presunto capo delle Br, ristretto nel mio stesso carcere nel 1987, ha avuto tutto perché ha barattato la verità per i benefici di legge. Aver sequestrato Aldo Moro ed averlo ammazzato ha fatto la fortuna sua e dei suoi compagni di avventura nell’operazione>>. Sono parole pesanti soprattutto perché ancora oggi, nel 2010, a oltre quarant’anni dall’inizio della strategia della tensione, non trovano convincenti risposte.


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