di Nicola Tranfaglia
Non possiamo credere alle scuse del senatore a vita Giulio Andreotti che i giornali hanno diffuso ieri dopo che la sua risposta a Minoli era andata in giro nell’opinione pubblica italiana e internazionale: ”Ambrosoli era uno che se l’andava cercando.”
In altri termini, l’avvocato milanese, assassinato da Sindona, o meglio dal suo sicario americano Aricò, l’11 luglio 1979 aveva avuto quello che cercava: una morte violenta per aver difeso i risparmiatori e le persone oneste truffate dal finanziere di Patti e osservato le leggi dello Stato.
Quello che afferma il sette volte presidente del Consiglio è una volta tanto la verità rispetto all’atteggiamento che la classe politica di governo, buona parte delle istituzioni politiche e dei mezzi di comunicazione hanno avuto in tutta la vicenda di Sindona e, di conseguenza, di Ambrosoli.
Ricordo di aver pubblicato nel 2001 un saggio su Giulio Andreotti presso l’editore Garzanti, perché Laterza non lo aveva voluto ricevere, in cui ricostruivo l’atteggiamento tenuto da Andreotti rispetto a Sindona: il suo appoggio costante quando era già nota a livello internazionale la grande statura criminale del siciliano, il tentativo di salvarlo fino all’ultimo dalla bancarotta facendo pressioni sulla Banca d’Italia e più in generale sugli apparati finanziari e istituzionali.
E naturalmente, in quella occasione, citavo il bellissimo libro del giornalista del “Corriere della Sera” Corrado Stajano intitolato “Un eroe borghese” che aveva dedicato ad Ambrosoli un ritratto straordinario mettendo in luce le sue qualità di persona onesta e ligia al dovere in un’Italia che a livello politico era rappresentata in primo luogo da personaggi come Giulio Andreotti che, come ha detto una sentenza della Corte di Cassazione, è stato fino al 1980, e dunque anche negli anni settanta di cui parliamo, vicino a Cosa Nostra.
Ecco, questo è il paradosso di fronte a cui siamo nel nostro paese. In televisione parla Andreotti e non gli storici di questi anni(a me nessuno chiede mai di intervenire in queste vicende, a cominciare dai giornalisti della Rai che si dicono democratici) e dà l’immagine ancora oggi di un’Italia nella quale Ambrosoli è uno che se l’andava cercando e Andreotti è quello che ci rappresenta.
Un’immagine plastica e terribile di una mafia che si è fatta Stato e non ha lasciato ancora la presa.
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