di Luca Cominassi
Mercoledì 22 settembre il Parlamento Europeo, in seduta plenaria a Strasburgo, ha approvato il controverso c.d. rapporto Gallo (proposto dall'omonima euodeputata francese PPE-UMP) sull'applicazione dei diritti della proprietà intellettuale nel mercato interno in risposta ad una recente comunicazione della Commissione.
Il rapporto Gallo, ritenendo inadeguata la disciplina vigente in materia di violazioni on-line dei diritti di proprietà intellettuale, chiede l'introduzione di misure non legislative insistendo affinché tutti i portatori di interesse (richiamando in particolare i fornitori di accesso ad internet) partecipino al dialogo per trovare soluzioni appropriate. Secondo la redattrice del testo questi nuovi strumenti dovrebbero essere introdotti perché l'aumento dell'utilizzo di piattaforme di file-sharing (per la condivisione di opere protette) rappresenterebbe un problema per l'economia europea anche in termini di posti di lavoro.
Il generico richiamo a misure non legislative intende in realtà promuovere accordi volontari con i fornitori di accesso che potrebbero essere chiamati a bloccare o filtrare lo scambio di materiali protetti on-line. Questi accordi – come prontamente denunciato anche da La Quadrature du net – potrebbero determinare anche limitazioni all'accesso di Internet (eventualmente attraverso l'imposizione agli utenti di contratti ad hoc).
Sebbene il testo approvato non abbia forza di legge il Parlamento manda un chiaro segnale politico di discontinuità con le più recenti posizioni dell'Unione in materia di società dell'informazione (in particolare con la Risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2010 sulla trasparenza e la situazione dei negoziati ACTA laddove si stabilisce peraltro che un'eventuale esclusione dell'accesso individuale a Internet deve essere preceduta dalla verifica da parte di un organo giudiziario).
Lo scorso anno, inoltre, proprio il Parlamento - approvando il c.d. Telecom Package - riconosceva che “qualunque provvedimento di questo tipo riguardante l’accesso o l’uso di servizi e applicazioni attraverso reti di comunicazione elettronica, da parte degli utenti finali, che ostacolasse tali diritti o libertà fondamentali può essere imposto soltanto se appropriato, proporzionato e necessario nel contesto di una società democratica e la sua attuazione dev’essere oggetto di adeguate garanzie procedurali conformemente alla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e ai principi generali del diritto comunitario, inclusi un’efficace tutela giurisdizionale e un giusto processo”
Al di là delle polemiche sorte laddove sono emersi profili discutibili dell'attività dei lobbysti di Eurocinéma (pare che la loro petizione inviata al Parlamento sia stata sottoscritta da artisti del settore...ma deceduti), la tesi del rapporto diretto tra la diffusione del file-sharing ed il pericolo per l'occupazione europea (anticipata nel c.d. studio TERA inviato lo scorso marzo agli europarlamentari) è stata contestata dal Social Science Research Council. Secondo la prestigiosa associazione, infatti, lo studio richiamato non sarebbe credibile per la metodologia scelta che ne comprometterebbe i risultati.
Risulta, quindi, evidente la necessità di una nuova prospettiva fondata su analisi scientificamente affidabili che possano sostenere le istituzioni dell’Unione nella valutazione delle diverse opzioni legislative.
Il caso richiamato mostra ancora una volta l'urgenza di una strumentazione giuridica (meglio se secondo una logica costituzionale) che riconosca principi e diritti a salvaguardia di Internet.
Nel frattempo sul sito della delegazione italiana del PPE si plaude l'approvazione del testo.