di Claudia Pratelli
Portaci a Pomigliano. Cosa succedeva prima dell’Aprile 2010 nella fabbrica?
Per capire Pomigliano parto da me: ho 35 anni, da 10 lavoro in questa fabbrica e mi ritengo uno degli anziani. Sembra paradossale, eppure non lo è. Negli ultimi 4 anni la fiat tra mobilità e cassa integrazione ha mandato via la memoria storica della fabbrica fatta di molte persone, dai 50 anni in su, che hanno costituito la spina dorsale del lavoro e della coscienza dei lavoratori.
Mentre accadeva non ci rendevamo conto che l’allontanamento di quelle persone stava dentro una Campagna della Fiat rivolta ai lavoratori più giovani per annullare il conflitto. Creare una cesura con la memoria storica del movimento operaio di Pomigliano era il primo strappo di una lunga serie. Presto è arrivato il secondo. Nel 2008 Marchionne presentava un piano consistente in un percorso che si chiamava di “Rieducazione”, non è uno scherzo si chiamava davvero così… Nelle premesse doveva essere un piano per insegnarci le regole per produrre le macchine e le regole del contratto nazionale, un corso di formazione e aggiornamento per il lavoro, in cui, però, si doveva anche promuovere una conoscenza più dettagliata delle regole del contratto e delle regole aziendali, dato che in fabbrica, secondo i vertici Fiat, c’era una pessima disciplina e non venivano rispettate le regole. Incredibile, secondo me, perché le regole e i doveri si conoscono perfettamente, casomai quello di cui i lavoratori sanno davvero poco sono i diritti di cui dispongono.
In realtà questo piano tutto era tranne che aggiornamento e lo si è visto fin dal principio. Il 3 gennaio 2008, giorno in cui doveva cominciare il piano di “Rieducazione” ci siamo ritrovati tantissimi vigilanti in fabbrica, i quali, ogni volta che esprimevamo (noi lavoratori ndr) un giudizio sulle regole o sull’azienda, prendevano nota di chi-diceva-cosa. Ci siamo sentiti in un regime di polizia. Per questo il secondo giorno del corso di formazione c’è stato un grande sciopero spontaneo contro la presenza di queste ambigue figure dei vigilanti, a cui l’azienda ha risposto con una “sospensione cautelare” (che è sempre stato sinonimo di licenziamento) per 7 persone di cui 4 sindacalisti –me compreso-, con la motivazione che avevamo disturbato il corso di formazione. Dopo 10 giorni i vertici nazionali, prima volta nella storia di Pomigliano, hanno ritirato i provvedimenti nei confronti di questi 7. Scongiurati i licenziamenti, però, è rimasta la paura.
Venendo alle vicende recenti. Fiat dixit che il piano presentato ai sindacati serviva per traghettare la fabbrica nell’era dopo Cristo. Un piano orientato all’efficienza e necessario per sostenere la competizione internazionale. Qual è il tuo racconto?
E’ un racconto molto diverso. La Fiat ha giocato sul clima di paura costruito negli anni passati di cui parlavo prima, ulteriormente esacerbato dalla crisi economica che ha colpito duramente il nostro stabilimento. Pomigliano, è bene saperlo, ha pagato cara la crisi perché produceva modelli vecchi e con poco mercato come l’alfa 147, quasi estinta, l’alfa 159 e l’alfa GT, macchine di alta gamma che non hanno un mercato di massa. Tra l’altro lo stabilimento non ha usufruito degli incentivi statali perché quelli erano rivolti ai modelli a basso impatto ambientale. Su questo terreno nasce la trattativa. Una trattativa che fin dal primo incontro è sembrata più un’imposizione che un luogo dove si poteva contrattare.
Nel merito del piano proposto il problema è complessivo: là dentro c’è una diminuzione dei diritti fondamentali.
Di fatto, si vieta il diritto allo sciopero, perché si prevede che non si possa fare sciopero sulle materie oggetto dell’accordo. Si tratta, però, di un accordo a 360°, che parla di tutto: dalla malattia alle mense, dallo straordinario allo svolgimento della prestazione e altro ancora… Sostanzialmente i lavoratori sono impossibilitati a protestare su tutto. La seconda cosa riguarda la malattia. L’azienda scrive nell’accordo che non copre le giornate di malattia in concomitanza con eventi di conflittualità. Non si tratta solo di un’azione ingiusta, ma anche di un fatto tutto ideologico. E ti spiego perché ideologico: lo sai come funziona quando ci sono gli scioperi? Di solito i capi vanno dai lavoratori a chiedere a chi fa sciopero di mettersi in malattia con la chiara intenzione di diminuire e nascondere l’adesione allo sciopero…
Sui tempi, poi, hanno calcato la mano. Prima di tutto i turni. Si introduce l’odiosa normativa dei 18 turni di lavoro con riposo solo la domenica e giornata a scorrimento. In realtà l’accordo sui 18 turni già è presente nel contratto nazionale quindi su questo c’era anche una disponibilità… anche se sappiamo bene che l’unico luogo in cui è stata applicata è Melfi e sappiamo com’è andata a finire… (21 giorni di sciopero ecc.)
In più è prevista una riduzione delle pause. Ora abbiamo due pause di 20 minuti nella giornata e le vogliono ridurre ulteriormente. Pomigliano sarebbe l’unico stabilimento ad avere una restrizione delle pause di questo livello.
E ancora lo straordinario obbligatorio. La Fiat chiede di derogare dal contratto e aumentare le ore di straordinario da 40 a 120. Ma io mi domando: quando le dobbiamo fare queste ore di straordinario? La Fiat risponde che le dobbiamo fare durante le pause mensa o la domenica. Ci rendiamo conto?! E’ impossibile: stare alla catena di montaggio è faticoso e il ciclo continuo lo è ancora di più.
Ma non finisce qui perché a tutto questo si aggiunge la nuova metrica di lavoro che Fiat vuole introdurre a Pomigliano: si chiama Ergo-uas e si tratta di una metrica di lavoro, ovvero una pianificazione dei tempi tecnici per eseguire le operazioni, non certificata (!) che vuole aumentare l’intensità dei ritmi di lavoro del 25%. E’ una metrica applicata in via sperimentale a Mirafiori in alcune linee campione. Lì però viene valutata insieme alle Asl competenti di Torino, le quali non mi risulta ne abbiano dato una valutazione particolarmente positiva…
Proviamo a descrivere le ricadute di tutto questo sulla quotidianità degli operai di Pomigliano. Con i 18 turni, la giornata a scorrimento, la diminuzione delle pause e lo straordinario, come si svolgerà la vostra giornata?
Non è un difficile esercizio di fantasia. Considera che il lavoro in fabbrica si svolge su tre turni di otto ore ciascuno: dalle 22.00 alle 6.00; dalle 6.00 alle 14.00; dalle 14.00 alle 22.00. La fabbrica è sempre attiva: dalla notte della domenica alla sera del sabato. Unico giorno di riposo la domenica. Un operaio che per una settimana lavora nel turno di notte, la settimana successiva passerà al turno diurno e quella dopo ancora al turno serale. Questo è il ciclo continuo con giornata a scorrimento: una modalità a cui non ci si abitua mai perché cambia continuamente l’orario di lavoro, stravolgendo i ritmi biologici.
Con l’abolizione dei due giorni consecutivi di riposo, la domenica, unico giorno di riposo che rimane, rischia di essere un’altra giornata di fatica perché è quella in cui bisogna reimpostare il ritmo sonno/veglia in funzione della settimana successiva…
Immagina di lavorare per sei giorni dalle 22.00 alle 6.00. Finisci la settimana alle 6.00 di sabato e che fai: dormi? No, perché dal lunedì dopo devi fare il turno di giorno (dalle 6.00 alle 14.00) e quindi devi sforzarti di resistere per andare a dormire la sera alle 10.00 e riprendere un ritmo quasi normale. Difficile uscire il sabato sera, sei troppo stanco. Un po’ troppo stanco lo sei anche per giocare con i tuoi figli. Per stare con tua moglie. Per andare a fare una gita fuori città.
Altro capitolo è quello della mensa che viene spostata a fine turno. Immagina un lavoratore che inizia il turno alle 6.00. Per arrivare a lavoro probabilmente (Pomigliano impiega lavoratori da un vasto interland ndr) questa persona si alzerà alle 4.30 del mattino. Sai a che ora riuscirà a mangiare? Poco meno di 10 ore dopo quando si è svegliato…Passare la mensa a fine turno vuol dire cancellarla. Tutto questo immaginatelo con una sola pausa di venti minuti e a ritmi superiori del 25% a quelli attuali che, credimi, già sono intensi.
Parliamo del referendum: la Fiom che da sempre lo chiede a gran voce perché ne ha contestato lo svolgimento a Pomigliano?
Perché i diritti indisponibili non sono contrattabili né col sindacato, né con nessun altro.
E poi perché è stato un falso atto di democrazia: un po’ come andare a votare sotto gli occhi di un capopartito armato. In un referendum democratico la scelta è tra due opzioni. In questo caso non esisteva l’opzione 2 perché non c’era la prospettiva di riaprire, eventualmente, la trattativa. Anzi. Sostanzialmente si sapeva che un no avrebbe comportato i licenziamenti.
Nonostante questo l’esito del referendum non è andato come Marchionne sperava.
E nonostante l’Azienda (e Cisl e Uil) si fossero molto impegnati per promuovere la partecipazione al referendum e ottenere un plebiscito di sì. Il Direttore dello stabilimento ha addirittura mandato un dvd ai lavoratori dove lui (il direttore, ndr) parla ai lavoratori in piedi davanti allo stabilimento spiegando che la Fiat è l’unica scelta possibile per il nostro futuro…
Vi sentite in competizione con gli operai polacchi?
Proprio no. Anzi. Abbiamo contatti con operai polacchi che hanno il coraggio di dire che non si sta affatto bene nel loro paese. Purtroppo non sono tantissimi, c’è molta paura e una coscienza sindacale non fortissima, ma sappiamo da che storia viene quel popolo. Da parte nostra c’è una grande solidarietà con loro, ma soprattutto c’è la consapevolezza che dobbiamo unirci perché è l’unica possibilità per renderci davvero forti. Vanno unificate le lotte, serve a loro e serve a noi. Se non uniamo i movimenti dei lavoratori di tutto il mondo per avere regole e diritti comuni rischiamo di farci concorrenza tra di noi.