Clicca qui per il nuovo sito di Articolo 21 »
Ricerca con Google
Web articolo21.info
 
 
Articolo 21 - INTERNI
Monsignor Nogaro: "Manca la giusta attenzione a lavoratori e immigrati"
Condividi su Facebook Condividi su OKNOtizie Condividi su Del.icio.us.

di Pietro Nardiello

Monsignor Nogaro: "Manca la giusta attenzione a lavoratori e immigrati"

Incontro Mons. Nogaro alla libreria Feltrinelli di Napoli dove si sta per presentare il suo ultimo libro edito da Laterza “Ero straniero e mi avete accolto –il Vangelo a Caserta” scritto insieme al vaticanista del quotidiano “La Repubblica” Orazio la Rocca. Mons. Nogaro è stato vescovo prima a Sessa Aurunca e poi a Caserta e nel dicembre scorso per raggiunti limiti di età ha dovuto terminare il suo impegno che però prosegue in altro modo. E’ friulano, riservato ma come tutto il popolo di quel territorio capace di utilizzare la propria ricchezza interiore per costruire ponti di fratellanza e solidarietà. Mi stringe la mano e la nostra chiacchierata inizia proprio tra le persone già sedute che attendono l’inizio della serata.

Mons. Nogaro che cosa ha significato per Lei aver predicato la Parola di Gesù Cristo a Caserta?

Non ho fatto un’indagine personale per valutare la riuscita o addirittura il fallimento della mia Pastorale. Ho lavorato, questo si, con passione. Ho  messo nel mio lavoro quel sentimento particolare che è l’amore e non tanto la valutazione sociale dell’operato che stavo svolgendo. Credo di avere fatto, vorrei dire, tutto il mio dovere ma l’ho fatto con un animo particolare perché io non mi sento, non mi sono sentito un vescovo uno che dirige e che fa dei precetti, delle disposizioni per la gente ma una persona al  servizio della gente che ho cercato sempre di amare.

A dicembre dello scorso anno ha terminato la Sua Pastorale.

Adesso sono in pensione e mi sento come orfano, vedovo, mi sento scalzato fuori della mia vita autentica. Credo di aver vissuto per inseguire il bisognoso, colui che era in difficoltà. Per questo ero sempre tra i lavoatori e per me questo rappresentava qualcosa di naturale.
Non ho mai fatto un progetto di assistenza specifica, ma sono stato una persona che preferiva essere presente. Sono stato il più possibile e lo sono ancora, per quanto mi è possibile, presente al povero, al bisognoso. Cominciando anche dall’ospedale dove andavo spessissimo.

Lei ha parlato di lavoratori ma la situazione di questo Paese, incastrata in una crisi internazionale, e quella del Sud Italia non è per niente bella.

Due attività mi hanno sempre colpito e anche sconvolto, quella degli immigrati, che ho sempre seguito con grande attenzione, ma prima ancora quella dei lavoratori una categoria più esposta, più maltrattata, non capita. Coloro che hanno tutti i titoli per esercitare una professione ma non hanno uno spazio per intervenire. Costretti al lavoro nero, quando hanno un po di lavoro, che sono sempre precari, che non hanno il sussidio delle maestranze o dei sindacati molte volte. Ecco io, con i lavoratori, ero almeno una volta a settimana e ho visto casi tremendi così come il nuovo precariato che ha investito la scuola e che posso definire qualcosa di drammatico. Avvengono dei suicidi in questo campo e noi non ce ne rendiamo conto.


Manca secondo Lei una vera azione organica dello Stato?

 Lo Stato fa, procura, però non è attento all’entità del vero bisogno. Non si possono lasciare famiglie anche discretamente un tempo benestanti e di carattere anche borghese senza uno stipendio o con uno stipendio minimo. Questo provoca un’instabilità sociale molto rilevante visto che è doveroso mandare  i ragazzi a scuola ma allo stesso tempo avere del vitto sufficiente in casa. Tutta questa drammaticità è presente da tempo anche nella nostra Caserta.

Parliamo di immigrati. A Roma oltre duecentomila persone hanno manifestato ribadendo il proprio no al razzismo. Nel frattempo, però, le imbarcazioni con a bordo tante persone che scappano dai propri paesi vengono respinte in mare.

Gli immigrati non vengono  mai compresi. Inutile dire che l’Italia non è un Paese razzista, lo Stato in modo particolare. Questi poveri immigrati sono totalmente esposti noi li cerchiamo ovunque soprattutto a Castel Volturno e in mezzo a loro troviamo tanta umanità e sofferenza.

Alla luce di quello che realmente avviene possiamo affermare che in noi c’è tanta ipocrisia?

Guardi io non vorrei dire ipocrisia perché non giudico gli altri. Dico che la Chiesa, quella più impegnata, dovrebbe fare qualcosa di più. Non possiamo affidare il tutto al solo volontariato laico o parrocchiale perché non è sufficiente, si tratta di qualcosa, seppur zelante, di non organizzato, di non puntuale e di non avvertito. E’ qualcosa che si disperde. In talia si dovrebbe prestare molta più attenzione agli immigrati  soprattutto con le leggi, con le disposizioni e i provvedimenti.

Cosa potrebbero fare gli organi di stampa nazionali per mantenere alta l’attenzione sui territori del Sud senza rincorrere solamente le notizie di cronaca nera?

Essere più attenti, accendere i riflettori sempre prestando molta attenzione a quello che accade.
Io ho chiesto tante volte alla stampa locale,  noi abbiamo il Mattino e il Corriere del Mezzogiorno, di prestare molta più attenzione alla situzione dell’operaio (non tanto nei confronti dell’immigrato nei confronti del quale possono nutrire più diffidenza e forse più fatica a fare un discorso scientifico e articolato) il lavoratore che è sempre solo, costretto a rischiare la propria vita  e a casa non ha di che vivere.

Cosa chiede allora alla stampa?
Mi riferisco ai “nostri” giornali. Vorrei che la carta stampata mostrasse molto più interesse nei confronti di queste tematiche perché l’aspetto sociale è poco rilevato.
Un giornale locale dovrebbe essere un giornale di citazione di problemi interni; le pagine della cultura, così come per il Corriere del Mezzogiorno sono già sufficienti nella foliazione nazionale.


Vorrei chiudere questo nostro incontro ricordando Don Peppino Diana.
Io non vorrei dire nulla perché non apparteneva alla mia Diocesi però, ultimamente, dopo l’intervento critico dell’On.le Pecorella io l’ho difeso pubblicamente proponendo addirittura la canonizzazione. Lo ribadisco nuovamente che sarebbe necessario che i sacerdoti della sua Diocesi si riunissero per avviare la causa della beatificazione perché per me Don Peppino è l’eroe della libertà, della fede, un martire. Era un mio grande amico, abbiamo scritto insieme il documento “Per amore del mio popolo”….

Mi scusi se  la interrompo. Sicuramente, purtroppo, in questi mesi che verranno ci sarà una parte della stampa locale che sosterrà che questo documento ha rappresentato l’unico impegno di Don Peppino contro la camorra.

Non è vero. E qui io griderò di nuovo anche se sono pensionato.Quando io ero arrivato a Caserta è venuto da me il escovo di Aversa, Gazza ed è venuto ad affidarmelo dicendo “è un matto come te”. Don Peppino veniva regolarmente con me e soprattutto nei primi anni andavamo nelle scuole a parlare agli studenti di impegno contro la camorra.
Credo di averlo sempre difeso mentre nel corso dei processi è stato sistematicamente oltraggiato ed infamato. Io sono stato l’ultimo teste a questi interrogatori, l’on.le Pecorella ha portato con se un pacco enorme di giornali dove erano stati pubblicati i miei interventi, qualche volta solitari, a difesa di Don Peppino, e credo di averla spuntata perché l’ultima testimonianza è stata totalmente a favore di Don Peppeino come martire della libertà perché era tale. Io l’ho conoscuiuto bene, Don Peppino era uno dei pochi preti testimoni, fin dai primi anni di chierico ha sempre manifestato il proprio impegno contro la camorra.
 


Letto 1260 volte
Dalla rete di Articolo 21